Feb 07 2021

Gioventù Nazionale racconta la verità sulle foibe su Radio University. Segui la diretta

Oggi, 7 febbraio, alle ore 11, Gioventù Nazionale con il contributo della Fondazione AN, il Secolo d’Italia e Radio University, porta in onda un convegno intitolato “E allora i cretini? La verità sulle foibe contro le menzogne degli anti-italiani”. Un momento per fare chiarezza. parteciperanno autorevoli relatori: il vice presidente del Senato Ignazio La Russa, Walter Pancini, l’on. Roberto Menia, il presidente del comitato 10 Febbraio Emanuele Merlino e il giornalista Edoardo Cigolini. E’ importante ricordare e analizzare quanto il pregiudizio e la strumentalizzazione ruotino ancora a questo giorno di cordoglio nazionale.

L’istituzione del Giorno del Ricordo ha rappresentato un tassello fondamentale nell’opera di pacificazione tra gli italiani e la loro storia. Il riconoscimento da parte dello Stato del dramma subito dagli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, prima infoibati e poi costretti all’esodo dai partigiani titini, rende giustizia alle innocenti vite spezzate dall’odio anti-italiano.

E c’è ancora chi riabilita i massacri dei comunisti

Eppure, a distanza di settant’anni da quei fatti e a distanza di diciassette anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, esistono ancora infami voci che, con teorie revisioniste, pongono dubbi sulla reale portata di quanto hanno subito i nostri connazionali del confine orientale. È il caso di un recente libro, intitolato “E allora le foibe?”, edito da Laterza, che con argomentazioni scarne restituisce legittimità ai massacri compiuti dai comunisti jugoslavi.

 

di: Fabio Roscani @ 11:05


Gen 21 2021

Zingaretti inaugura Radio Immagina: dem sempre più egemoni nei media. La destra prenda appunti

Si chiama Radio Immagina, ha già un robusto palinsesto e potrà essere ascoltata tramite App e attraverso le nuove tecnologie. Il Partito democratico l’ha presentata con notevole enfasi. E l’enfasi, per chi segue la comunicazione politica, è pienamente giustificata.  A chi chiede, infatti, come mai la sinistra sia da sempre egemone nei media, la risposta può arrivare anche da questa iniziativa del Pd.

Oggi il partito di Zingaretti, ragionando in un’ottica miope, non avrebbe bisogno di “investire” in una radio tutta sua. Ha già un plotone di giornalisti “in quota Pd”, a viale Mazzini. Alcuni di loro in posizioni apicali. Vanta opinionisti e conduttori esplicitamente espressione delle vecchie Botteghe Oscure.  Ma anche nel campo degli editori “indipendenti”, le radio “filodem” non mancano. Ad esempio, basta dare una sbirciata ai palinsesti e ai giornalisti e conduttori di Radio Capital (gruppo Gedi) per averne conferma. Anziché accontentarsi, come hanno fatto i politici di centrodestra negli anni berlusconiani, i dirigenti del Pd, con Zingaretti in primis, rilanciano. Investono quindi ulteriormente nei media e nei nuovi media.

E pensare che la destra sulle radio era arrivata prima

Da qui una radio web, un palinsesto serio, una redazione giornalistica corposa. E qualcuno di quei giovani redattori, c’è da scommetterlo, tra qualche anno sarà al Tg3, all’Ansa o in un grande quotidiano. E forse, un domani, alla direzione del Corriere della Sera. Già, perché anche l’attuale direttore Luciano Fontana, si è fatto le ossa all’Unità.

In questo contesto, lascia l’amaro in bocca sapere che la destra, negli anni ’70, era arrivata prima di tutti. Infatti, i pionieri della radio libera sono stati proprio i ragazzi del Msi. A Roma, con Radio Alternativa di Teodoro Buontempo. A Milano, con Radio University con Ignazio La Russa . Proprio l’attuale vicepresidente del Senato conduce ogni domenica sulla pagina Fb del Secolo una diretta streaming. Un bell’omaggio ideale a quella esperienza. Chissà che, la nuova radio del Pd non sia da sprone anche alla sponda avversaria. Magari iniziando a “immaginare” una Radio Immagina di destra.

di: Valter @ 16:02


Set 11 2020

Teresa è morta in Svizzera per salvare tre bambini. Ma era italiana e il governo se ne frega

Segnatevi questo nome e questo cognome: Teresa Scavelli. E se siete cristiani fatevi il segno della croce. Forse, in Vaticano, non lo sanno ancora. Ma lei è già in paradiso.

Teresa era una migrante. Ma era una migrante che non fa notizia. Era una lavoratrice italiana all’estero. Teresa era italiana, ma di lei il governo italiano se n’è fregato da viva. E fa altrettanto ora che è morta. Teresa era cattolica, eppure su di lei il Papa non ha ancora proferito una parola.

Teresa è morta in Svizzera. Ma anche i civilissimi svizzeri se ne fregano. In fondo, dal loro punto di vista è normale: se ne frega Roma, se ne frega il Vaticano, perché dovrebbero interessarsi loro? E poi gli svizzeri sono civilissimi, ma hanno criteri singolari per i parametri nostrani. Ad, esempio, pensano prima ai loro connazionali.

Chi era Teresa Scavelli

Teresa Scavelli aveva lasciato Cotronei, piccolo centro della provincia di Crotone, per trovare lavoro. Prima in Veneto. Successivamente, in Svizzera, come baby sitter e cuoca. La sua terra non è stata generosa con lei. Ma a 46 anni era ancora piena di entusiamo e di coraggio. Quello stesso coraggio che le ha fatto affrontare a mani nude lo psicopatico che voleva uccidere i tre bambini per i quali era un seconda mamma. Teresa è morta il 2 settembre a San Gallo, massacrata dalla furia omicida dal maniaco. Una furia che la polizia elvetica è riuscita a fermare solo a colpi di pistola.

Il racconto di quegli attimi è drammatico. «Teresa ha visto dalla finestra che quel bastardo stava seguendo le due bambine che tornavano da scuola, è corsa verso di loro per proteggerle, è riuscita a portarle a casa al sicuro ma quello era un demonio, si è infilato dentro assieme a loro e ha fatto quel che ha fatto…».

«Tre bambini svizzeri sono vivi perché una donna italiana si è sacrificata per loro. È morta perché un folle ha agito indisturbato nonostante le turbe di cui soffriva e la sua storia ne avessero rivelato l’estrema pericolosità sociale». Così l’avvocato Francesco Verri che assiste la famiglia Scavelli.

Verri ha chiesto al premier Conte e al presidente Mattarella di attivarsi. «Teresa merita la medaglia d’oro al valor civile ma anche che l’Italia si interessi al suo caso e attivi i propri canali diplomatici per indurre la Svizzera ad assumersi le proprie responsabilità e a farsi carico delle esigenze dei prossimi congiunti di Teresa». In una nazione normale, sarebbe il minimo.

 

di: Valter @ 19:46


Mag 11 2020

Se ne è andato “Volantino”, colonna del Prenestino e fedelissimo di Almirante

Antonio Butolo, indimenticato attivista del Msi fin dagli anni Sessanta, non è riuscito a compiere 75 anni, ma se ne è andato un mese prima. Per tutti era “er Volantino”, quasi nessuno conosceva le sue generalità, come si usava negli anni di piombo. Era un fedelissimo di Angelino Rossi del Prenestino, e frequentava il “giro” della palestra di via Rivera. Volantino era uno del quartiere, dove tutti lo conoscevano. Ma soprattutto era un attivista h24, inserito stabilmente nel servizio d’ordine del Movimento Sociale Italiano.

Volantino iniziò la militanza a 15 anni

All’età di 15 anni ebbe il suo soprannome che lo avrebbe accompagnato tutta la vita. I ragazzi infatti nelle sezioni del Msi e della Giovane Italia erano utilizzati per distribuire i volantini politici, mentre i “grandi” guardavano loro le spalle. Ma Volantino faceva qualcosa di più, racconta Domenico Gramazio: “Prendeva intere risme di volantini e li lanciava per le tutte le strade del Prenestino”. Siccome lui era sempre disponibile – caratteristica che conserverà per tutta la vita – divenne Volantino, e lo fu per sempre. Coraggiosissimo, intrepido, non si tirava mai indietro. Seguì insieme con gli altri del servizio d’ordine il segretario Giorgio Almirante nelle trasferte più pericolose in tutta Italia: da Genova a Milano, da Padova a Torino.

Era a Genova quando fu assassinato Ugo Venturini

Volantino era sotto il palco di Almirante a Genova Brignole, quando fu assassinato dai comunisti del 1970 l’operaio Ugo Venturini. Ed era a Milano al comizio di Mario Tedeschi a piazza Castello. Era il 1972, e i “katanga”, gli extraparlamentari di sinistra famosi per la loro durezza (il loro slogan era: “casco, spranga, arrivano i katanga!”), avevano detto che i fascisti non avrebbero parlato. Ma i “fascisti” parlarono e misero pure in fuga i cortei degli extraparlamentari che caricarono il comizio missino. Volantino era, insieme con Giulio Caradonna, Angelino Rossi e molti altri, agli scontri dell’università di Roma nel marzo del 1968.

Volantino rimase sempre fedele ad Almirante

Amico di Caradonna, appunto, Michele Marchio, Domenico Gramazio, il dottor Trombetta, il fondatore di Villa Irma sulla Casilina, Giuseppe Ciarrapico. Il suo giro di amicizie era comunque nel suo quartiere, il Prenestino. Frequentava Raul Tebaldi, Gigi D’Addio, Valterino Benvenuti, Angelo il postino, Paolo Iannilli ma soprattutto Daniele Rossi, fratello di Angelino, morto a soli 37 anni, nel 1977, in un incidente stradale. Con Daniele, Volantino era infatti quel 16 marzo negli scontri di Valle Giulia. Negli anni Sessanta finì pure in carcere per motivi politici, come la maggioranza degli attivisti missini di quell’epoca. Ma non si fermò mai: la cifra di Volantino è stata sempre la sua assoluta fedeltà a un’idea e a chi la incarnava.

Era un cosiddetto militante di base: non era un ideologo, un teorico, ma le idee le aveva chiarissime. Non aveva dubbi, la sua lealtà fu sempre assoluta. Pur partecipando ai dibattiti all’interno del partito, seppe sempre da che parte stare, insieme al suo gruppo di camerati. E anche negli anni successivi, continuò a frequentare l’ambiente. Fino a pochi mesi fa andava a trovare Domenico Gramazio al Cis di piazza Tuscolo e partecipava a tutte le iniziative culturali del centro.

Nel 2002 fondò il circolo di An inaugurato da Mirko Tremaglia

Chi lo ha frequentato a lungo fu Marco Cottini, detto “er tedesco”, un altro attivista della Prenestino degli anni ruggenti. “Sì, anche dopo la fine di quel periodo continuammo a frequentarci nel quartiere. Fino a che, nel 2002, insieme con lui, fondammo il circolo di Alleanza nazionale di via Amico da Venafro e lo intitolammo proprio a Daniele Rossi. Ricordo che l’inaugurazione fu fatta da Mirko Tremaglia. Volantino era commosso”. Innumerevoli sono gli episodi della vita di Volantino, Cottini ne ricorda uno in particolare. “Fu il 20 novembre 1975, al Prenestino. Stavamo commemorando Mario Zicchieri, assassinato un mese prima davanti la sezione Prenestino a fucilate. Gli extraparlamentari di sinistra vennero a disturbare la cerimonia, ma gli andò male. Volantino e altri li misero in fuga rapidamente”.

Domani la tumulazione a Prima Porta

Antonio Butolo qualche anno fa ebbe un ictus che ne limità i movimenti. Per questo viveva nella Casa di Riposo Carlotta a via dell’Omo, dove è morto per un tumore ai polmoni. Dice Cottini: “Lui era talmente altruista che si trascurava. Per pensare agli altri non pensò mai a se stesso, e anche il tumopre purtroppo fu scoperto tardi”. Volantino lascia due figli, Rocco e Angela, e due nipoti. Oggi dalle 14 alle 16 ci sarà la camera ardente in via dell’Omo 171 a Roma. Domani alle 17 la cerimonia del presente sempre a Casa Carlotta. Sempre domani ci sarà la tumulazione a terra al cimitero Flaminio. Quando finirà l’emergenza Volantino sarà ricordato adeguatamente dai suoi “vecchi” amici e camerati a piazza Tuscolo.

di: Antonio Pannullo @ 19:05


Mag 09 2020

Cultura di destra, un ricordo di Francesco Grisi: la battaglia per la libertà degli scrittori

Desiderando riportare alla dovuta attenzione la figura di Francesco Grisi in occasione della ricorrenza della data della sua nascita 9 maggio 1927 avvenuta a  Vittorio Veneto, ritengo sia utile riportare tra le altre  anche la mia, seppur marginale testimonianza. Ebbi la fortunata occasione di poterlo conoscere e frequentare. Questo avvenne, poiché dopo un insieme di mie esitazioni, incertezze, ripensamenti, sciolsi gli ormeggi e decisi di  portare alla sua attenzione, un dattiloscritto.  Grazie a lui diventò il mio libro di esordio letterario con il titolo “Ferdinand”. Sono ancora onorato della presentazione che ne fece.  Ebbi modo così, di trovarmi di fronte  a un personaggio di grande spessore.

Le domande e la paglietta

L’impressione che avevo di lui, era articolata. Composita. Avvertivo, come sovente, nel suo essere presente, inaspettatamente diventasse lontano. Assorbito, da “domande?”, “interrogativi?”, “riflessioni?” che come uno sprazzo di luce lo rapivano. All’ inizio non capivo, l’oggetto di questi pensieri.  Cosa che compresi in seguito, grazie alla lettura dei suoi libri e a una maggior confidenza raggiunta. Domande, quelle che si poneva, alle quali è veramente difficile riuscire a dare risposta. Quesiti, sulla ricerca di “senso”. Sulle finalità dell’esistenza. Il tutto forgiato, al lume di una solida, quanto irrequieta fede cattolica. Il cappello di paglia, che portava assiduamente, forse non era abbastanza capiente per contenere tutte le risposte. Alcune rimanevano sospese.

Il dono dell’ironia

Di questo costante rovello, che avevo percepito con esperienza diretta, trovai circostanziata conferma leggendo i suoi libri. “Maria e il vecchio” in primis.  Grisi era un affabulatore di grande rilievo. Accompagnava il suo dire con lo sguardo dei suoi occhi chiari in fuga verso un “altrove” remoto, indefinito. Riusciva a determinare momenti di intensa riflessione tra i suoi ascoltatori. Per poi con vera e propria, istrionica maestria, alleggerire il clima con l’ironia che gli era propria. Avere in dote il dono dell’ironia, l’aiutava a superare certe “strettoie”. Era il grimaldello che  sapientemente rendeva scintillante, per sostenere le varie amarezze e disdette dell’esistenza. Uno scrittore, come Grisi, che lavorava abbandonandosi al “flusso di coscienza”, era più che presente sul fronte immaginario, di coloro i quali trasformano in“dicibile”, ciò che appare come un gomitolo inestricabile di pensieri, emozioni, sensazioni. Terreno proprio di poeti e scrittori.

Paladino del pluralismo culturale

Queste tematiche, non gli impedivano certo di sviluppare un intensa attività di organizzatore e promotore di vicende culturali. Fu un vero e proprio paladino del pluralismo culturale. Fondando, con altri intellettuali, e ricoprendone il ruolo eminente di Segretario, il Sindacato Nazionale Libero Scrittori nel 1970. L’opera che riuscì a dispiegare Francesco Grisi   a favore della  promozione di quella organizzazione fu veramente formidabile. Il Sindacato raccoglieva le migliori e qualificate energie intellettuali, che cercavano spazi di libertà e indipendenza da qualsiasi impostazione ideologica d’impronta marxista.  In quegli anni era un impresa veramente impegnativa. Ma la intensa partecipazione alla vita pubblica, Grisi la confermò anche con l’impegno politico che profuse per la nascita del nuovo soggetto politico che stava nascendo allora Alleanza Nazionale.

La grande sfida intellettuale

La sua famiglia era di origine della Calabria. Terra alla quale rimase fortemente legato. Come lo fu alla cittadina di Todi, in Umbria. Dove aveva la residenza della tranquillità agreste. In questa sede amava dedicarsi anche alla pittura  Produsse testi sia di letteratura che di saggistica. Ne citiamo alcuni: A futura memoria, Maria e il vecchio, La poltrona nel Tevere. Per la saggistica ricordiamo: La protesta di Jacopone da Todi, Scrittori cristiani volenti o nolenti, Storia dei carabinieri.  Rileggendo in questi giorni il suo libro Maria e il vecchio, ho ritrovato il Grisi attentamente presente nella sua contemporaneità,  amalgamata con le temperie dell’inquietudini esistenziali. Increspature, che per lo scrittore, non potevano non passare, attraverso l’esperienza della fede. “Da una parte c’è la vita della logica, dall’altra c’è la vita del mistero … che soprattutto per un cattolico è un problema teologico … Dio non ci viene dato tutti i giorni, è tutti i giorni che lo dobbiamo conquistare”. La protagonista Maria, è una giovane terrorista che coinvolge a sua insaputa il Prof Francesco Malaparte (alter ego dell’autore), nella sua attività . Come minimo il professore s’invaghisce di lei. Da questa  piattaforma letteraria, in  Maria e il vecchio , l’autore fa decollare  alcune  riflessioni, che a uno sguardo superficiale, possono apparire fuori contesto. In realtà, prendeva  il lettore in contropiede. Lo portava su territori alti, ripidi poco frequentati. Per far  condividere il suo profondo sentire. Ne danno prova tra i tanti passaggi uno che troviamo in “Maria e il vecchio”: “Dio lavora nell’eternità. Una mia amica mi diceva che è il cerchio senza confini e quindi senza centro. Leggevo che dona agli uomini il presente che è il punto dove il tempo dell’uomo tocca l’eternità. Vedi. Dio esiste come eternità e il diavolo  come storia”.  Alla luce di un trionfante “pensiero debole”, le considerazioni di Grisi, che si spingeva a  parlare addirittura del diavolo, costituivano l’ennesima limpida sfida intellettuale come gli era abituale fare.

di: Aldo Di Lello @ 15:19


Mag 04 2020

Il cantautore Skoll ci racconta italiani straordinari in concerto su web (video)

Il cantautore identitario Skoll ieri sera si è esibito in un concerto dal vivo, Storie d’Italia. Da casa sua, ovviamente, a Milano. Un concerto molto breve, solo sette canzoni, ma molto intenso. “L’idea mi è venuta perché moltissime persone mi hanno chiesto di fare un concerto sul web, e così ho deciso di accontentare un po’ tutti”, ci dice il cantautore milanese. “Tra l’altro il 29 aprile insieme con altri gruppi avevamo fatto il tradizionale concerto per Sergio Ramelli, e così ieri ho inserito alcune canzoni nella mia diretta”.

Skoll ricorda Sergio Ramelli e la madre

Sì, Skoll ha cantato due brani storici su quella tragica vicenda, Più caro agli dèi e Anita, dedicato quest’ultimo alla mamma di Sergio Ramelli, che Skoll ha conosciuto personalmente. E’ una canzone che, chi conosce la vicenda, ascoltandola non può non commuoversi. “Grazie a Guido Giraudo – racconta Skoll – ho avuto il privilegio e l’emozione di conoscere mamma Ramelli, un pomeriggio a casa sua. Proprio in quella casa sotto la quale si è consumato il massacro. Lei mi ha parlato di Sergio, ma riusciva a raccontare Sergio solo da bambino, da piccolo. Come quando mi indicò il balcone dove lui una volta si stava arrampicando e dove lei corse a salvarlo. E’ un’emozione che non scorderò mai più”.

“Racconto le storie di persone straordinarie”

E quando mamma Ramelli, alla vigilia del Natale del 2013, raggiunse il suo Sergio, Skoll, quel giorno stesso scrisse la canzone Anita, per me tra le sue più belle. “La cantai – ci dice – nell’anniversario successivo, in aprile, e ricordo che fu accolta molto bene”. A parte la valenza politica e comunitaria, la canzone è davvero molto bella e sentita. L’altra sera Skoll ha cantato oltre a Più caro agli dèi, anche Campi Elisi, brano anche questo molto commovente, in cui si racconta che dopo la morte “chi ha creduto” si riunirà con i suoi fratelli. Poi altre canzoni del suo ormai vastissimo repertorio.

L’esempio e le idee

D’Annunzio, dall’omonimo albun su D’Annunzio e la Grande Guerra, Zero geografico assoluto, dedicato al veronese Ettore Arduino, componente la spedizione del dirigibile Italia, che con la sua abnegazione salvò molti suoi compagni, poi la sua famosissima Italia, e infine K2, sul tricolore italiano che sventola sul tetto del mondo, incurante della bufera. Zero geografico assoluto è inserito nell’ultimo disco di Skoll, NeoGeo, che tra ricordi di uomini straordinari e denuncia della modernità offre grandi spunti di riflessione.

di: Antonio Pannullo @ 18:28


Mag 04 2020

Addio al senatore pugliese Pino Specchia: la sua fu l’integrità morale del vero missino

Addio al senatore Specchia. Giuseppe – per tutti Pino – Specchia era nato a Roma durante la guerra, ma era di origine pugliese, di Ostuni per la precisione, dove si è spento all’età di 77 anni ieri. Specchia sin da giovanissimo si avvicinò al Movimento Sociale Italiano, per il quale fu eletto consigliere comunale della sua città nel 1972. Di professione era funzionario regionale. Specchia fu un autentico protagonista della destra pugliese, molto vicino a Pinuccio Tatarella. Che lo propose come senatore già nel 1987. Per altre quattro volte poi fu confermato a furor di popolo a Palazzo Madama dai suoi conterranei, fino al 2006.

Specchia consigliere comunale del Msi di Ostuni nel 1972

In Senato ebbe diversi incarichi, tra cui quello di Questore. Fu inoltre componente della commissione Ambiente e della commissione d’inchiesta sui rifiuti e sulle attività illecite connesse. Specchia nel partito fu sempre un coerente e convinto almirantiano. Riteneva la destra un punto di riferimento sociale, ed è stato sempre strenuo difensore della sua Puglia. Anche dopo il ritiro dalla politica attiva, Specchia ha sempre seguito con grande attenzione le vicende politiche  e sociali nazionali e pugliesi.

Il dolore della Fondazione Tatarella

Chi se lo ricorda bene è Fabrizio Tatarella: “Era un vero missino, provvisto di quella purezza e di quella integrità morale che era la cifra caratteristica dei missini di allora. Ma, pur essendo rigoroso, era una persona amabile, dolcissima. Come Fondazione Tatarella abbiamo pubblicato la dolorosa notizia sulla pagina Facebook”. Scrive infatti la Fondazione Tatarella: “Addio al senatore Pino Specchia. La Fondazione e la famiglia Tatarella ricordano con grande affetto il Senatore Pino Specchia amico leale di Pinuccio e Salvatore, raro esempio di onestà ed integrità politica di cui oggi si avverte assenza significativa.Vicini alla famiglia per una grande perdita”.

Gasparri: lo ricordo come un punto di riferimento costante

Il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia ne condivise le battaglie politiche e sociali: “Pino Specchia è stato un fiero militante della destra politica italiana. Lo ricordo al gruppo regionale pugliese, a Bari, come punto di riferimento per tutti nostri dirigenti, operoso ed attivo. E poi ha meritato un’elezione in Senato, che è riuscito a confermare per ben cinque legislature, dove ha svolto un lavoro di competenza, di presenza, di serietà. Sempre radicato sul suo territorio. Sempre impegnato e operoso. Mai alla ricerca del proscenio ma sempre coerente nella sua appartenenza alla destra politica italiana. In Senato ha ricoperto incarichi importanti e ha sempre mantenuto un rapporto stretto col suo territorio. Lo ricordiamo così, sin dai tempi del consiglio regionale, sempre interprete dei bisogni e delle esigenze della sua Puglia. E anche per le politiche ambientali fu un riferimento costnte di competenza e di serietà”.

Il cordoglio di Fratelli d’Italia

Moltissimi i messaggi di cordoglio  per la scomparsa del senatore: “La classe dirigente di Fratelli d’Italia Puglia si stringe al dolore della famiglia del senatore Pino Specchia, storica figura e punto di riferimento della destra locale, spentosi ad Ostuni. La politica perde una valida guida di cui faremo tutti tesoro”, dice un commosso coumnicato di Fratelli d’Italia. Da parte sua Raffaele Fitto, parlamentare di FdI, lo ricorda:Ho conosciuto Pino Specchia molti anni fa. Un politico serio ed attento al suo territorio, che amava profondamente, e che interpretava il ruolo politico come servizio alla sua gente, della quale rappresentava i veri bisogni. Per questo per ben cinque volte è stato eletto al Senato. Ci mancherà. Nel ricordarlo sono vicino alla famiglia”.

Con Specchia la destra pugliese si fece popolare

Gianni Mastrangelo, nel suo librio su Pinuccio Tatarella, disse che con Specchia la destra si svincolava dalle posizioni nobiliari per diventare più popolare. E Specchia apparteneva a quella passata generazione di galantuomini della politica ma attentissimi al sociale. Come ricorda il presidente del consiglio comunale di Ostuni Zaccaria, che ne dipinge un bellissimo ricordo. “Noi giovanissimi studenti liceali iscritti al Fronte della Gioventu’, quasi scattavamo sull’attenti quando ci dicevano nella sezione del Msi che è arrivato il senatore. Tu sei stato colui che ha lottato per la costruzione e la assegnazione degli alloggi popolari, colui che fino all’ultimo ha combattuto per i diritti delle famiglie.

Sei stato forse l’unico politico che ha servito la politica senza servirsene per interessi personali. Io voglio ricordarti perennemente con la sigaretta tra le dita. Sempre in giacca e cravatta, tranne la domenica, quando, in ossequio ad antica abitudine, facevi i giri tra le campagne e le masserie per acquistare e distribuire ai tuoi cari i prodotti della nostra terra, primo fra tutti il pane”.

Anche la Fondazione Alleanza nazionale ha espresso, per il tramite del presidente senatore Giuseppe Valentino, “il più profondo cordoglio per la scomparsa del senatore che diede lustro ad Alleanza nazionale in tutta la sua onorata e lunga carriera parlamentare. La Fondazione di stringe intorno alla famiglia di Pino e alla sua comunità”.

di: Antonio Pannullo @ 13:27


Apr 29 2020

Ricostruzione dopo la pandemia, liberismo al tramonto: lo riconosce anche Bankitalia

«L’economia avrà bisogno di un adeguato periodo di sostegno e rilancio, durante il quale politiche di bilancio restrittive sarebbero controproducenti». Lo afferma il Capo del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia Eugenio Gaiotti in audizione sul Def. Sembra un’affermazione meramente tecnica e neutra. Ma non lo è perché anche la massima istituzione monetaria nazionale riconosce implicitamente che il liberismo è al tramonto. E non è cosa da poco, dal momento che Bankitalia  è parte integrante del sistema di potere finanziario europeo, che ha trovato finora, proprio nel liberismo, le sue linee guida.

Liberismo addio nel nuovo dopoguerra

Non è solo un problema italiano, ma globale. Il contrasto agli effettivi recessivi del coronavirus è paragonato a una guerra. E le guerre comportano sempre la fine di un ordine economico. Con la conseguente nascita di un altro ordine. Questa  pandemia è un unico nella storia mondiale e i suoi effetti non possono certo essere considerati meramente congiunturali. Nel “nuovo dopoguerra”, come è definita la fase post-coronavirus, ci sarà sempre meno spazio per le dottrine monetariste (egemoni per oltre un trentennio nelle istituzioni politiche occidentali). E si assisterà invece alla riscoperta delle teorie keynesiane, con la fine dei tagli selvaggi alla spesa pubblica e la conseguente riaffermazione di politiche di bilancio espansive.

Il liberismo aveva del resto già ricevuto un duro colpo dalla crisi finanziaria del 2008. Ora il coronavirus sembra infliggergli il colpo decisivo. E vale la pena anche notare la differenza con quanto accadde dodici anni fa. Se  all’epoca gli aiuti pubblici finirono nelle casse delle banche in difficoltà, oggi il flusso di risorse prenderà la via dell’economia reale.

Così negli Usa di Trump, dove i 2000 miliardi di dollari annunciati dal presidente sono in gran parte destinati alle imprese e ai cittadini. A differenza di quello che fecero George W. Bush e Barack Obama.

Il ritorno della “mano pubblica”

Discorso non dissimile riguarda l’Europa. «La“mano pubblica” – scrive Diego Bolchini sul Sole 24Ore del 12 marzo– dovrebbe poter lavorare liberamente, quando la cosiddetta “mano invisibile” appare spaventata, smarrita, evanescente o non rintracciabile dietro la saracinesca chiusa di un esercizio commerciale. In questo senso, in quadro congiunturale totalmente mutato da quanto fu firmato nel 1997 il Patto di Stabilità, l’Europa dovrebbe poter lasciare adeguati margini di flessibilità fiscale e di deficit pubblico sufficienti, pur traguardando all’importanza dell’accordo sul nuovo bilancio del 2021-2027. Incoraggiante in questo senso quanto espresso dall’attuale Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, tratteggiando il suo bilancio dei primi 100 giorni di attività».

«Ciò in quanto la politica fiscale è strettamente interrelata al bilancio dello Stato ed è per definizione espansiva in fase di recessione e restrittiva in fase di espansione (anticiclica). Un G “puro”, un intervento diretto su infrastrutture e acquisti di ordini dalle aziende potrà dare ossigeno al complesso e rilevante sistema di PMI nazionali ed europee, se si considera che micro, piccole e medie imprese (MPMI) costituiscono oltre il 95% del tessuto imprenditoriale dell’Unione Europea. Salvaguardare il tessuto industriale è inoltre fondamentale non solo nel breve ma anche nel lungo periodo, per non fare perdere nel medio periodo posizioni competitive già acquisite».

La mano invisibile del mercato non è più una regola assoluta

Nel 1945, il dopoguerra della ricostruzione post-bellica prese la via di nuovi istituzioni economiche internazionali (Fmi, Banca mondiale) e del Piano Marshall. Le prime due istituzioni, unite alla convertibilità  oro-dollaro, furono la sostanza dei famosi accordi di Bretton Woods.

Oggi non sappiamo come sarà il nuovo ordine mondiale del dopo-coronavirus. Però due cose sono certe. Primo, non si potrà comunque tornare alla fase del deficit spending keynesiano, perché  il debito sovrano è in tutti gli Stati elevatissimo. Secondo, non si potrà però nemmeno  invocare la “mano invisibile” del mercato come regola intangibile e assoluta. Come è avvenuto in questi decenni di riduzione del welfare state, di politiche di bilancio restrittive e di impoverimento inesorabile dei ceti medi.

 

 

 

di: Aldo Di Lello @ 16:28


Apr 16 2020

Goffredo Parise, le trasformazioni italiane osservate da un “irregolare”

“I ragazzi non  conoscono più niente,  non  conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita, perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere” Questa è una frase estrapolata dall’articolo dal titolo “Il rimedio è la povertà” comparso il 30 giugno 1974 sul Corriere della Sera. La firma dell’ articolo, è dello scrittore, poeta e sceneggiatore Goffredo Parise. La motivazione più accreditata, alla stesura dell’approfondimento, risiede nell’intendimento dell’estensore, di andare in “soccorso” dell’amico Pier Paolo Pasolini.

L’autore  di “Ragazzi di vita”, da tempo aveva inquadrato nel suo mirino di critica e denuncia lo snaturamento strutturale che l’affermarsi “della società dei consumi” stava provocando.  Ciò gli aveva  creato più di un ostilità. Parise, era più piccolo di alcuni anni di Pasolini,  era nato a Vicenza l’8 dicembre del 1929. Apparteneva quindi,  alla generazione che più direttamente si troverà coinvolta,  nella trasformazione   impetuosa, dell’Italia da Paese Agricolo a Paese industriale.  Tutto l’articolo, cui si fa riferimento,  è permeato da spunti di antica saggezza.  Quella di saper conoscere le cose, saper dare loro il giusto valore, individuarne l’effettiva necessità. Insomma, senza che sia esplicitato chiaramente, nell’articolo fa capolino l’antica saggezza contadina. Elemento, che in una fase, gli anni “70, di complessiva contrapposizione ideologica, politica e sindacale, restava negletto e residuale.  Lo scrittore vicentino era un impolitico. Il contenuto di quello che scriveva era frutto del suo  acuto senso di osservazione della realtà. Scevro  da condizionamenti ideologici, quindi il più aderente possibile a una sempre auspicabile realtà oggettiva. Pochissima polvere si è andata a depositare su quel “pezzo”.

Le drammatiche vicissitudini che hanno colpito noi e il mondo intero, lo rendono attuale. Non si può dare tutto per scontato. La salute, la libertà personale di movimento, il benessere. Certezze che si davano per acquisite,  spazzate via in un sol colpo, da una Guerra  improvvisa con la quale non si era preparati a misurarsi. La quale sta provocando una serie impressionante di lutti e dolori. Riportare oggi  all’attenzione l’articolo di Parise,  è un invito alla riflessione  Etica e Morale, categorie di pensiero alle quali, la pandemia ci ha severamente riportati. Sotto tutti i punti di vista. Non pensiamo che in discussione sia il “consumo in sé”, che è, e rimane indispensabile strumento di sviluppo, ma la responsabilità meno casuale e maggiormente motivata confronto ad esso.  Le problematiche a noi contemporanee, ci impongono di cercare e trovare un equilibrio tra priorità dell’investimento pubblico e  di quello privato.  Tematica articolata e complessa, le cui risposte da dare sono in evoluzione. Certo è, che la pandemia ha evidenziato limiti e contraddizioni della “globalizzazione”.

Goffredo Parise fu un reporter autorevole del  Corriere della Sera. Testata per la quale fece servizi dalla Cina, Stati Uniti, Vietnam. Quello che riuscì a fare dal Laos fu un vero e proprio scoop, la sua corrispondenza fu un esclusiva mondiale. “Lungo la pista di Ho Chi Min”, unico punto di  passaggio di materiale logistico per  i Vietcong, con i quali riuscì a fare accettare la sua presenza fra loro.  Importante, per la sua capacità di interpretare il futuro,  una corrispondenza da Parigi nella quale preconizzava a proposito dell’integrazione della comunità musulmana: “ i ferri vanno arroventandosi e Parigi cova in seno i futuri ribelli”.  In tempi non sospetti  il reporter aveva colto un punto nevralgico, che si estenderà a gran parte dell’Europa.

Negli anni “50 cominciò a pubblicare dei suoi romanzi. “Il ragazzo morto e la cometa” fu il suo libro d’esordio. Nel 1953 pubblica il romanzo “La grande vacanza” opera che riceve una lusinghiera recensione di Eugenio Montale sul Corriere della Sera”. Avendo ottenuto lavoro, presso la casa editrice Garzanti, si trasferisce da Venezia a Milano. Città dove ebbe l’opportunità di conoscere Leo Longanesi. Quest’ultimo, deus ex machina  di tante vicende culturali di quel periodo, lo esortò a non abbandonare la narrativa. Parise, seguì l’incoraggiamento. Nel 1954 pubblicò “Il prete bello”. Con questo lavoro lo scrittore vicentino,  ottenne attenzione e plausi rilevanti in Italia e all’estero. Il libro infatti ebbe decine di traduzioni in altre lingue.  Aveva solo venticinque anni, quando la sua vita andò a incrociarsi con la notorietà.

Questa esperienza, fu il trampolino di lancio per consolidare amicizie con personaggi di primo piano della cultura nazionale quali Guido Piovene, Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda. Svolse anche, come fecero scrittori di quel periodo,  attività di sceneggiatore per il cinema. Collaborò in questa veste con registi quali Luciano Salce, Mauro Bolognini, Tonino Cervi. La consacrazione letteraria avvenne nel 1982. Vinse il Premio Strega con Sillabario. Un racconto in prosa poetica, che prendendo ogni singola lettera dell’alfabeto, la sviluppa secondo il sentimento del quale può essere iniziale. Cominciando con la lettera A incontreremo Amore, Amicizia etc.  In “Sillabario”, sono raccolti brevi racconti, sui sentimenti essenziali, che saranno pubblicati in quegli anni dal Corriere della sera. “ Gli uomini d’oggi, secondo me hanno più bisogno di sentimenti  che di ideologie”,da questo principio trova spunto questo suo lavoro al quale fu assegnato il prestigioso e ambito riconoscimento.  Principio, che soprattutto in quelle temperie politiche e  culturali, fa di questo autore un ”irregolare” a pieno  titolo. Decise di ritirarsi, nella sua casa di Salgaredo, nel trevigiano. Vicino alle rive del Piave . Ci abbandonerà il 31 agosto 1986. Il progetto di “Sillabario” doveva riguardare tutte le lettere dell’alfabeto dalla A alla Z. L’autore arrivato alla lettera S di solitudine non ce la fece a proseguire. “La poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti”. L’onestà intellettuale di Goffredo Parise riluce in questa dichiarazione. Pensiamo che questa era  la linea del  Piave della sua creatività. Chissà quanti avrebbero avuto la sua stessa limpida fermezza.

 

 

 

di: Aldo Di Lello @ 15:44


Apr 15 2020

15 aprile 1944: uccidendo il 70enne Gentile i partigiani mostrarono il loro volto anti-italiano

Oggi ricorre l’anniversario di uno dei crimini più odiosi dei partigiani. L’assassinio di Giovanni Gentile, un filosofo di 70 anni la cui unica colpa era quella di essere fascista. Ed era uno che al fascismo aveva dato tantissimo. Mite, colto, equilibrato, studioso, autorevole, conciliante: questo era Gentile. Ma anche convintamente fascista, tanto che aderì alla Repubblica Sociale italiana per ribadire il giuramento fatto venti anni prima. Ed è questo che i partigiani rossi non gli hanno mai perdonato.

Gentile rimane un gigante nella storia d’Italia

Gentile è un gigante nella storia d’Italia. Ministro, senatore, filosofo, docente universitario, accademico d’Italia, fondatore della enciclopedia Treccani, autore della riforma della scuola, e molto altro ancora. Su di lui si sono scritti trattati, libri, articoli, saggi, ma il suo assassinio non è mai stato condannato ufficialmente dalla sinistra né dai suoi intellettuali. All’epoca, il Partito Comunista non condannò l’omicidio, anche se l’efferato assassinio divise il fronte dei partigiani, che peraltro era egemonizzato dal Pci.

L’assassino di Gentile ebbe pure la medaglia d’oro

Il suo assassino, Bruno Fanciullacci, “Massimo”, in seguito ebbe pure la medaglia d’oro al valor militare, con una motivazione del tutto edulcorata delle sue azioni da terrorista. Alcuni comuni toscano gli hanno intitolato vie e dedicato strutture, compreso quello di Firenze dove il 15 aprile due partigiani spararono all’anziano filosofo inerme. Fanciullacci faceva parte dei Gap, il gruppo guerrigliero organizzato dal Pci dopo l’8 settembre. I Gap non erano una forza militare, ma un gruppo che compiva attentati, sabotaggi, azioni contro gli eserciti regolari nemici. Azioni eroiche come quella di via Rasella, per intenderci. Come vogliamo chiamarlo?

Il partigiano sopravvisse di poco alla sua vittime

“Massimo” si distinse da subito per il suo carattere violento e sanguinario. Partecipò in prima persona ad attentati contro esponenti della Rsi o presunti collaborazionisti. Dopo appena sei giorni dall’omicidio di Gentile, partecipò all’attentato contro Bruno Landi, noto fascista fiorentino, che rimase ferito. Pochi giorni dopo finì a Villa Triste, da dove lo liberarono armi alla mano altri partigiani. Nel luglio continuò con le sue azioni violente e illegali, fino a che rientrò il galera, grazie a una delazione non si sa di chi. Certo non dei fascisti. . Morì per una raffica di mitra di un milite fascista mentre tentava di fuggire.

Un attentato terrorista preparato con cura

Così il carnefice di Gentile non sopravvisse di molto alla sua innocente vittima. L’assassinio fu preparato con grandissima cura, cosa che i comunisti hanno sempre fatto nelle esecuzioni di chi non la pensa come loro. Gli orari di Gentile furono esaminati, così come i suoi spostamenti. Ma va detto che il bersaglio era facilissimo, perché non aveva scorta e girava disarmato. Quel giorno Fanciullacci e tale Igniesti attesero Gentile davanti la casa dove risiedeva, alla Salviatina sotto Fiesole. Si avvicinarono con dei libri sottobraccio all’auto in cui Gentile stava tornando a casa. Scambiandoli per degli studenti, Gentile abbassò il finestrino per ascoltarli ma ricevette subito una raffica di colpi.

Come al solito, dopo l’assassinio fuggirono

I due poi si dileguarono in bicicletta e si nascosero a casa del pittore Ottone Rosai, che stigmatizzò duramente l’accaduto. La rappresaglia fascista fu fermata la sera dalla stessa famiglia di Gentile, per confermare il costante atteggiamento del filosofo contro la violenza e per la pacificazione nazionale. L’allievo di Gentile, tale Giovanni Spadolini, scrisse un articolo di fuoco condannando il fatto che non fosse stato proclamato il lutto nazionale ed elogiando il popolo fiorentino per la massiccia partecipazione ai funerali di Gentile, tenutesi in Santa Croce il 18 successivo.

Mussolini: chi ha ucciso Gentile era un anti-italiano

Si è delineata, anche con l’omicidio di Gentile, la strategia comunista messa a punto in questo periodo e poi perseguita sempre: quella di colpire gli elementi fascisti più capaci, onesti, concilianti, retti, al fine di eliminare le persone che un domani potessero ricostruire l’Italia. E questo si è visto in numerosi omicidi politici dei Gap. Il commento di Mussolini fu il più illuminante: “Giovanni Gentile non è stato ucciso soltanto perché era fascista, egli è stato assassinato perché italiano e il suo assassino non è un patriota italiano”.

La resistenza si divise su questo ignobile gesto

La resistenza, come detto, si divise su questa ennesima atrocità. La prima, vaga, rivendicazione dell’atto terroristico si ebbe sull’Unità, che parlò di “giustizia popolare” che si abbatteva sul traditore Giovanni Gentile… E mentre il Pci quasi incondizionatamente approvò, il Partito d’Azione si divise, così come lo stesso Cln, che sconfessò anche dei volantini di rivendicazione. Quasi tutti si scaricarono la coscienza dicendo che l’omicidio era un atto di guerra e che Gentile alla fine se lo era meritato perché fascista. Democristiani compresi. E ancora oggi, sulla biografia di Fanciullacci nel sito dell’Anpi, non c’è traccia dell’omicidio di Gentile.

di: Antonio Pannullo @ 17:36


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