Reggio Calabria ricorda la rivolta popolare del 1970 e i suoi protagonisti

14 Lug 2019 18:44 - di Antonio Pannullo

Oggi si è rinnovato l’appuntamento con una delle pagine più dolorose e, nel contempo, più esaltanti della storia di Reggio Calabria: i Moti del 1970. Giuseppe Agliano, Presidente del “Comitato 14 luglio”, che raggruppa Associazioni, Movimenti e Partiti della Destra reggina che da sempre si adoperano affinché questa ricorrenza non cada nell’oblio e per tenere sempre vivo e attuale lo spirito di quei fatti, dà appuntamento all’anno prossimo, quando cadranno i 50 anni della rivolta, rivolta che causò ben 5 vittime, per le quali oggi le associazioni hanno deposto una corona di fiori.

Il governo mandò i carri armati a Reggio Calabria

Sulla rivolta di Reggio Calabria del 1970 sono stati scritti libri, saggi, fatti documentari e servizi giornalistici, ma forse nessuno ha inquadrato veramente quelli che furono i motivi della più lunga rivolta sociale italiana, e quella più determinata,che costrinse il governo a mandare l’esercito nella città calabrese. Convenzionalmente si stabilisce nel 14 luglio l’inizio della rivolta, perché effettivamente è il giorno in cui la città insorse dopo il comizio del missino Natino Aloi e del sindaco Dc Battaglia, ma avvisaglie c’erano state anche nelle settimane precedenti. Se dovessimo indicare la data che dette il via alla sacrosanta rivolta popolare, diremmo certamente il 17 gennaio di quell’anno, quando la Dc in una riunione a Roma, si espresse per Catanzaro capoluogo, soluzione vista con favore anche da Psi e Pci. Dopo le prime contestazioni, anche da parte dei Dc calabresi, ci fu una parziale marcia indietro, e la Dc disse che nessuna decisione definitiva era stata presa, preferendo rinviare il problema a dopo le elezioni amministrative e regionali del 7 giugno, dove il Msi arrivò solo quarto, dopo Dc, Pci e Psi. E il primo luglio si annunciò la convocazione del consiglio regionale a Catanzaro per il 13 luglio successivo. Il sindaco e il Msi annunciarono la mobilitazione davanti a migliaia di persone in piazza del Duomo, seguiti anche da esponenti repubblicani e liberali. Ma a volte il diavolo ci mette la coda e il 6 luglio il presidente del Consiglio Mariano Rumor si dimise lasciando Reggio senza alcun interlocutore. A Villa San Giovanni Amintore Fanfani ammise di non avere soluzioni e venne sonoramente fischiato dalla gente. E quella sera, il 12 luglio, comparvero in città i primi blocchi stradali. Il 13 luglio il consiglio si svolse a Catanzaro, ma senza la Dc e il Msi, che anzi convocarono un controconsiglio a Reggio. I commercianti proclamarono lo sciopero e il popolo si mobilitò.

Il 14 luglio Reggio Calabria insorge

Il 14 la città insorge: cortei si svolgono nelle strade principali e il Msi con Aloi e Ciccio Franco e il sindaco Battaglia animano la protesta. I blocchi stradali si moltiplicano, interi quartieri si rivoltano come gli ormai famosi Sbarre e Santa Caterina. Le forze dell’ordine tentano di smontare le barricate ma esse si moltiplicano sin sull’autostrada. Il regime fa affluire a Reggio uomini e mezzi, ma da tutta Italia giungono in sostegno del popolo calabrese gli attivisti del Msi e di Avanguardia nazionale, che prendono la guida della rivolta popolare. La città piomba nel caos: in serata sul lungomare e via della Marina iniziano gli scontri, la polizia effettua alcuni fermi ma è costretta a liberare i manifestanti dopo un’ulterior eprotesta, i binari e le stazioni vengono occupate, il popolo non si disperde, e la città è completamente isolata. Il 15 luglio è peggio: alla popolazione si aggiungono operai, studenti, ferrovieri, ci sono altri scontri con feriti, le szioni di Psi e Pci vengono incendiate, il fumo avvolge la città. Gli attivisti dell’estrema destra sono instacabili: corrono da una parte all’altra della città, controllano che le barricate non vengano rimosse, prestano soccorso ai feriti, rispondono con sassaiole alle cariche e ai candolotti lacromogeni delle forze dell’ordine. Vengono lanciate le prime molotov. E in questo giorno c’è la prima vittima, Bruno Labate, ferroviere 46enne trovato morto in via Logoteta: non si saprà mai chi l’ha ucciso. Il 16 luglio viene dichiarato il lutto cittadino e il ministro dell’Interno Restivo si affretta a dichiarare che la scelta di Catanzaro è solo provvisoria, ma ciò non basta  aplacare gli animi, perché non fu una rivolta di campanile, come disse la sinistra, ma una autentica rivolta popolare di gente che accumulava frustrazione e rancore contro una classe politica depredatrice e infingarda.

La rivolta si estese rapidamente in tutta la provincia

Nei giorni successivi gli scontri proseguirono sempre più aspri, i manifestanti raggiunsero Villa San Giovanni dove bloccarono i traghetti per la Sicilia, cinquemila donne sfilarono in corteo, il tritolo fece esplodere una filiale Fiat e un ispettorato di Ps, insorsero anche Melito Porto Salvo e Gambarie d’Aspromonte, decine di arresti e altrettanti feriti. Il 30 luglio migliaia di persone accorsero al comizio del Comitato d’azione di Aloi e Franco a Reggio. Quest’ultimo ricevette assicurazione dal sondaco Battaglia che la protesta sarebbe andata avanti. I primi di agosto venne negata l’autorizzazione per un comizio di Junio Valerio Borghese ma concessa a Pietro Ingrao, che però fu contestato e cacciato dalla folla. La protesta proseguì in sordina ma si riaccese a settembre, quando si registrò un’altra vittima, Angelo Campanella, autista di autobus. Arrestati due leader del Comitato d’azione, Ciccio Franco e  Alfredo Perna. La reazione del popolo fu terribile: armerie prese d’assalto, la questura assaltata, un agente morì di infarto, lo stesso arcivescovo Ferro scesee tra la folla per calmare gli animi. L’esercito è ora costretto a controllare le linee ferroviarie.

Solo il Msi difese le ragioni di Reggio in parlamento

Ora la battaglia si sposta in parlamento, mentre molti paesi del Reggino di rivoltano a a Reggio compare una bandiera azzurra con scritto “Repubblica di Sbarre”. La rivolta durerà molti mesi e  con il solo appoggio politico del Msi. Gli uomini migliori che Reggio potesse esprimere al tempo, per citarne alcuni: Ciccio Franco, Nino Tripodi, Raffaele Valensise, Fortunato Aloi, Renato Meduri, Giuseppe Reale, Vico Ligato e lo stesso Battaglia, con tenacia e duri confronti, riuscirono a strappare alcune importanti istituzioni, tra le quali la Corte d’Appello, l’Università, la sede del Consiglio regionale, l’Università per Stranieri. A dicembre Ciccio Franco e altri arrestati ottengono la libertà provvisoria, ma gli scontri e i disordini proseguono ovunque, cortei indetti dal Comitato d’azione di decine di migliaia sfilano per la città. Solo il 12 febbraio, piegato dalla rivolta popolare, il nuovo presidente del consiglio Emilio Colombo annuncia che il governo ha deciso salomonicamente che Catanzaro sarà capoluogo e sede della giunta e Reggio sede del consiglio regionale. Inoltre, dice Colombo, sarà creato un quinto centro siderurgico dell’Iri che assicurerà migliaia di posti di lavoro. Ma oggi abbiamo visto come è finita. La protesta però prosegue per tuytta l’estate, il sindaco Battaglia di dimette per protesta contro il governo. Il 20 settembre il segretario di Avanguardia nazionale Adriano Tilgher tiene una conferenza stampa a Reggio. Il 17 ottobre, poiché a Reggio erano proibite le manifestazioni pubbliche, il segretario del Msi Giorgio Almirante tiene un affollatissimo comizio a Villa San Giovanni, schierandosi dalla parte dei reggini. La rivolta di Reggio può dirsi conclusa, grazie anche ai carri armati per le strade che mai si erano visti dopo il 1945, vergogna nazionale di uno Stato debole e nello stesso tempo arrogante.

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