Pd senza idee, gli rimangono solo il passato e…Di Maio. Saranno guai per Zingaretti

18 Mag 2019 9:31 - di Carlo Cozzi

Lo confesso, questa volta mi ero proprio convinto che fosse fondata e veritiera quella metafora popolare, di cui fu autore un cardinale di Curia prima di essere immortalata da Andreotti, che recita: ”A pensare male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca”. La lettura delle pagine del “Corriere della Sera” degli ultimi due mesi aveva data la netta sensazione che il quotidiano avesse subito una sgradevole metamorfosi. Avevo la netta sensazione che il glorioso quotidiano avesse inopinatamente abdicato a quel rigore tradizionale di obiettività che l’aveva reso, nel corso di un secolo e mezzo di vita, lo specchio più fedele della vita politica e civile della nostra Nazione. Tutto, dalla titolazione della prima pagina fino al contenuto ed all’impostazione di editoriali, servizi e approfondimenti, palesava che il quotidiano di Luciano Fontata aveva scelto una linea ed una rotta precise, dettate da una opzione univoca e fortemente sbilanciata. L’inedita bussola emergeva senza tanti sottintesi dall’uniformità nel puntare fino alla noia sulla divaricazione di posizioni politiche fra i due vicepremier Salvini e Di Maio. Una titolazione di prima pagina che deve aver messo certamente a dura prova la stessa padronanza dell’assortimento di sinonimi e metafore posseduto dai sapienti colleghi del “Corriere”. Questo era avvenuto ancor prima che lo scontro fra le due anime inconciliabili della maggioranza gialloverde divenisse, come appare oggi in tutta chiarezza, una rissa dichiarata e quotidiana. Un fenomeno di maieutica attiva di indirizzo e influenza sul divenire fattuale dei fatti politici, oppure una manifestazione ammirevole di preveggente visione profetica?

Due editoriali chiarificatori

Poi, improvvisamente, all’inizio della settimana, ecco arrivare da Milano uno sprazzo di luce chiarificatrice, per riportare nella sfera dell’onesta ragionevolezza l’analisi di una campagna elettorale un po’ schizofrenica e alquanto furbastra. Lunedì e martedì, in serrata successione, i due massimi editorialisti del Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco sono intervenuti sui due temi centrali su cui gira la giostra semantica della presente campagna elettorale: l’appello “fuori tempo massimo” e troppo sovraccarico di meschina strumentalizzazione politica, di un “allarme antifascista” squillato proprio da ambienti che sono i meno storicamente legittimati a sollevare questa bandiera, che ebbe indubbiamente un giusto ruolo votato al culto della libertà, ma tanti, tanti anni fa, nella storia unitaria della nostra Patria, ma che oggi ha un suono sordo come una moneta falsa, certamente uscita “fuori corso”.

A 24 ore di distanza. Angelo Panebianco ha affrontato un tema suscitatore di molti e amletici dubbi, che investe lo stesso ubi consistere e lo stesso ruolo oggi della sinistra in Italia. Il primo tema è quello del vero e proprio “tradimento” del messaggio antifascista, quello vero cioè, quello che portò il nome purissimo di Matteotti, dei fratelli Rosselli e di Pertini, una speculazione perpetrata ultimamente in Italia, destrutturandolo e umiliandolo a strumento meschino, teso unicamente al recupero di un consenso popolare perduto, come si assiste sin dall’aperture della campagna elettorale europea.

La Costituzione e l’inclusione

Questo fenomeno Galli della Loggia lo ha vivisezionato nel suo editoriale con una logica razionale che definirei cartesiana. Ha analizzato i fatti storici che sono oggetto delle XII disposizioni transitorie e finali della Costituzione e vietano la ricostituzione del partito fascista, per passare quindi alle leggi che sanzionano l’apologia di quel regime. Li ha analizzati con una oggettiva durezza, che ancora può farci forse soffrire, ma che da sempre consideriamo necessaria e indispensabile per poter finalmente arrivare al traguardo civico di una storia comune del ‘900 italiano, finalmente riconosciuta da tutte la parti e da “tutte” le anime che hanno formato e formano la sostanza dell’unità nazionale. Con il rigore proprio dello storico che non soggiace al vezzo deprecabile delle interpretazioni di natura ideologica, l’editorialista del Corriere ha messo a sinottico confronto quelle norme costituzionali con la loro traduzione in leggi sostanziali. Ed ha dimostrato quale fu lo spirito patriottico che animò il padri costituenti nel concepire quel comparto legislativo. I costituenti, sottolinea con chiarezza Galli della Loggia, ritennero che la nascente democrazia italiana, reduce oltretutto da una sanguinosissima guerra civile culminata in stragi fratricide dolorose che aprirono ferite a fatica risanabili, e la stabilità stessa di questa nostra democrazia avessero vitale necessità di una volontà inclusiva nei confronti dei nemici sconfitti. Sanzionando però al tempo stesso e doverosamente il ricorso alla violenza, senza però mai proporsi di reprimere e perseguire la libera espressione del pensiero e delle idee. Riaffermando cioè, con una forte ispirazione “volterriana”, il principio cardine della democrazia liberale. Secondo cui tutte le opinioni debbono poter essere libere di essere espresse, anche che le più sciocche e aberranti. Stabilendo contemporaneamente che soltanto il ricorso alla violenza, mirante a farle prevalere con la forza, debba essere represso, con forza inesorabile.

L’antidemocratico Salone del Libro

Ne scaturisce una netta deplorazione del comportamento inopinatamente illiberale di un responsabile di una istituzione che vanta un passato ammirevole di attivismo culturale, come il Salone del Libro di Torino. Un dirigente che ha tentato (inutilmente) di mettere all’indice e discriminare un editore noto per la rigorosa linea di ricerca intellettuale, storiografica e filosofica, del suo catalogo, come il giovane Francesco Giubilei, arrivando poi fino all’assurdità di vantare comeuna luminosa vittoria della libertà la chiusura e l’ostracismo decretato a danno di una minuscola e indigente casa editoriale, ritenuta “colpevole” addirittura di aver pubblicato la biografia di Salvini, cioè di un leader di punta dell’odierno panorama politico della democrazia italiana.

Ottusità politica

La cosa che impensierisce e allarma è il fatto che il signore in questione, che è pur investito a Torino di un ruolo delicato di “operatore culturale”, non si è nemmeno reso conto di aver seguito una prassi tipica dei regimi antidemocratici, dei poteri storicamente persecutori del pensiero “eretico” o “politicamente scorretto”. Quella passi oscurantista che, da un millennio e più, si è impegnata con lugubre ottusità a mettere all’indice o demonizzare i libri ritenuti “trasgressivi del dogma”. La storia mondiale ci insegna che si cominciò sempre, dopo gli ostracismi, con i pubblici falò dei Libri. Per finire poi, ineluttabilmente, con i roghi e le torture degli autodafé, con le stragi degli eretici e dei vinti, con i terrificanti Olocausti. La difesa strenua del Libro si definisce allora come un perno centrale della Democrazia.

Pd, ritorno allo statalismo vecchia maniera

Seguendo una linea d’indagine che si colloca con autorevolezza a cavallo del magistero di Niccolò Machiavelli, della lezione di politologia lasciataci da Prezzolini e da Gramsci, dell’analisi storiografica di Ugo Spirito e di Renzo De Felice, Angelo Panebianco analizza con limpidissima e implacabile forza razionale l’attuale realtà fenomenologica del “ principe” della sinistra oggi in Italia, il PD. Panebianco registra come il PD, chiusa la stagione renziana, tenti oggi con Zingaretti un “ritorno alla radici”, con un programma “di sinistra-sinistra”, che invoca da una lato piani straordinari di investimenti pubblici europei e tasse sulle multinazionali, con un’accentuazione dei temi vetusti di uno statalismo vecchia maniera. Ma, contemporaneamente lancia un messaggio in codice che contiene la disponibilità ad allearsi con i 5 Stelle”. Le previsioni sul redde rationem che coinciderà con la consultazione europea, commenta Panebianco, superano i confini labili dell’ipotizzabile. Se il risultato elettorale del PD sarà “così così e se, contemporaneamente o poco dopo, il governo cadesse, allora per il Pd sarebbero dolori. Perché dovrebbe sedersi a un tavolo per cercare di trattare con i 5 Stelle. A quel punto – annota ancora Panebianco – con la stessa inesorabilità con cui la (leggendaria) mela di Newton cade in terra anziché fluttuare nell’aria, il PD dovrebbe fronteggiare una nuova scissione: di tutti quelli che non ci stanno ad andare a braccetto con Di Maio”.

«Al Pd senza idee rimane solo il passato»

A proposito di un domani che “potrebbe arrivare molto presto” – conclude icasticamente la sua analisi l’editorialista del Corriere – annotando che “quando non hai idee, l’unica cosa che puoi fare è aggrapparsi al passato. E’ quanto sta facendo il Pd. Ma il passato non ritorna mai”. Panebianco ammonisce che se, dopo la consultazione europea, si arriverà ad una prevedibilissima “convergenza fra rossi e gialli, gli uni oppure gli altri potrebbero uscirne con la schiera rotta”. Ed a schiantarsi non è detto che debba essere necessariamente il partito sovranista di Di Maio. Comunque vada l’esito del voto, per il Pd si annunciano anni duri . Soprattutto perché  “le forze che, non importa se al governo o all’opposizione, occuperanno la scena politica di domani non saranno identiche a quelle di oggi”. Quel giorno ormai vicinissimo, osiamo aggiungere noi, si aprirà forse la stagione, che auspichiamo sia un gioioso e felice voltar pagina, della Terza Italia. Un paese democratico e libero, restituito sovrano ad un popolo che saprà costruire un futuro di pace e di progresso per la nostra amata Patria.

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