Mag 14 2024

“Cie Già”, decolla l’utilizzo della Carta d’identità elettronica per i servizi della PA: ecco come funziona l’app

La digitalizzazione? C’è già, anzi “Cie Già”. Con questo claim lo scorso 19 marzo è stata lanciata la campagna di comunicazione istituzionale del Dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri per promuovere l’utilizzo della Carta d’Identità Elettronica (CIE) – abilitata dall’app CieID – come strumento per accedere in maniera semplice e soprattutto sicura ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione.
Per la campagna, con Marco Camisani Calzolari testimonial insieme al figlio, è stato rilasciato uno spot televisivo trasmesso sulle reti televisive RAI, su Sky, su Mediaset, sulle principali emittenti televisive di ogni Regione, e uno radiofonico veicolato su radio nazionali (Rai, Rtl 102.5 e RDS). Prevista inoltre un’ampia diffusione digital e social e passaggi nei principali circuiti cinematografici per un totale di 766 sale che ha raggiunto quasi 800mila spettatori.
Positivi i risultati. Dopo il flight della campagna a metà aprile risultano essere quasi 17 milioni e mezzo i download dell’app Cie ID. Al contempo sono state quasi 5,5 milioni le attivazioni dell’App per un incremento del 13% nel periodo di on-air della campagna (da inizio 2024 alla data di partenza degli spot l’incremento è stato in media dello 0,5% a settimana). Il confronto con i dispositivi attivi ad aprile 2023 segna un significativo +55% di attivazioni di Cie ID (Fonte Google Play Console + App Store Connect).

Decolla la Carta d’identità elettronica: ecco i numeri

Le visite al portale cartaidentita.interno.gov.it durante il mese di campagna sono state oltre 14 milioni, a testimoniare il crescente interesse dei cittadini per uno strumento chiave per accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione. Numeri importanti raggiunti anche grazie alla capillare diffusione sui principali social media dove le impression sono state circa 12,5 milioni per oltre 2 milioni di visualizzazioni (Fonte Ministero dell’Interno e Dipartimento Informazione ed Editoria).

I risultati della campagna “Cie Già” sono incoraggianti – dichiara il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica Alessio Butti – e dimostrano un uso crescente dei 44 milioni di Carte d’Identità Elettronica rilasciate. La conferma arriva anche dai 23 milioni di accessi ai portali della PA nei primi 4 mesi dell’anno (nell’intero 2023 erano stati 36 milioni). Rispetto al primo quadrimestre del 2023 quest’anno registriamo un notevole +130%. Aumentano anche le PA (sono 9.635 per un +65% rispetto a un anno fa) che sui loro portali istituzionali presentano il bottone “Entra con CIE” e abilitano i servizi con la Carta d’Identità Elettronica tramite l’App Cie ID”.

L’app CIE ID serve ad attivare il servizio

Vista la crescente sensibilità degli italiani all’utilizzo di un’unica Identità Digitale e nel rispetto del cronoprogramma per traguardare l’avvento dell’IT Wallet, il Sottosegretario Butti aggiunge: “Continueremo a promuovere l’uso dell’app CIE ID nei prossimi mesi, sottolineandone anche l’utilità ricorrente negli appuntamenti che i cittadini hanno nei confronti della PA, partendo dalle scadenze fiscali e arrivando alle iscrizioni a scuola o alla prenotazione delle visite mediche”.

La Carta d’Identità Elettronica è il documento d’identità fisico e digitale dei cittadini italiani emesso dal Ministero dell’Interno e prodotto dal Poligrafico e Zecca dello Stato che permette l’accertamento dell’identità del possessore e l’accesso ai servizi online delle Pubbliche Amministrazioni. A seconda del servizio richiesto, i cittadini possono autenticarsi tramite tre livelli di sicurezza.

Livello 1: accesso mediante una coppia di credenziali (username e password);
Livello 2: accesso mediante le credenziali di livello 1 e l’aggiunta di un secondo fattore di autenticazione che certifichi il possesso di un dispositivo (ad esempio, l’utilizzo di un codice temporaneo OTP oppure la scansione di un QR code);
Livello 3: accesso mediante l’utilizzo di lettore o uno smartphone dotato di tecnologia NFC per la lettura della CIE.

Oltre ad abilitare alcune funzionalità della propria Carta d’Identità Elettronica, grazie all’app CieID è possibile accedere ai servizi della PA in maniera veloce e semplice utilizzando tutti i livelli di sicurezza. Per il massimo livello di sicurezza è necessario avere uno smartphone dotato di tecnologia NFC, avvicinando semplicemente la CIE al telefono. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito: www.cartaidentita.interno.gov.it.

di: Luca Maurelli @ 15:38


Mag 14 2024

Stellantis venderà in Italia auto elettriche cinesi prodotte in Polonia: accordo con Leapmotor

L’accordo “non è un cavallo di Troia” dell’industria automobilistica cinese, garantisce l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ma certo fa effetto apprendere che la storica fabbrica italiana di auto farà da “piazzista” per conto di chi è più avanti, molto più avanti, nella tecnologia elettrica. “Inizieremo portando i veicoli Leapmotor in nove Paesi, compresa l’Italia, la Francia, il Belgio, la Spagna e il Portogallo. Il piano sarà supportato da almeno 200 punti vendita, le concessionarie Stellantis & You saranno parte integrante di questa distribuzione. Partiremo a settembre 2024», ha detto Tavares, durante la conferenza stampa.

«Dal quarto trimestre entreremo anche in altre regioni importanti, ovvero Sud America, regione cruciale per Stellantis, poi procederemo con Medio Oriente e Africa, quindi con India e Asia Pacifico». A proposito del “cavallo di troia” cinese, Tavares sottolinea come “l’intesa non include la condivisione di tecnologia: ora puntiamo all’esportazione e alla commercializzazione di modelli Leapmotor su alcuni mercati”. Tavares ribadisce l’importanza del fattore prezzo: le auto della joint venture “saranno posizionate in modo da competere con altri brand cinesi, non intendo lasciare il mercato aperto a questa concorrenza”. Ma come si riuscirà a tenere i prezzi delle auto cinesi bassi? Facendole assemblare in Europa, perché Stellantis ha scelto la Polonia come sito europeo per montare le auto di Leapmotor proprio per effetto dei minori costi salariali. Le prime ad essere vendute saranno le T03, (nella foto in alto) le city car elettriche che ricordano la Cinquecento.

Stellantis e le auto cinesi, sindacati sul piede di guerra

Non a caso i sindacati sono già sul piede di guerra. “Chiediamo che la produzione e l’assemblaggio dei modelli Leapmotor siano realizzati negli stabilimenti Stellantis in Italia e che sia convocato il tavolo alla presidenza del Consiglio con l’AD Carlos Tavares, così come da tempo abbiamo chiesto unitariamente. Stellantis ha una responsabilità sociale verso le lavoratrici e i lavoratori che, a differenza degli altri Paesi, sono in cassa integrazione, e quindi è necessario un piano con nuovi modelli, che garantiscano l’occupazione anche delle aziende della filiera della componentistica”, dichiara in una nota Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità.

Il segretario generale della Fim torinese, Rocco Cutri’ sostiene che “oggi è più che mai necessario capire dove saranno allocate queste produzioni e soprattutto con quale catena di fornitura in quanto il nostro obiettivo è anche quello di preservare l’indotto italiano. “È necessario che il Governo sia celere a calendarizzare gli ultimi tavoli istituzionali al fine di inserire questo elemento come parte integrante degli accordi vincolanti per la produzione di autoveicoli nel nostro Paese”, conclude il sindacalista.

“Le affermazione di Tavares confermano le nostre analisi. È assolutamente necessario che in Italia ci sia almeno un secondo produttore d’auto. In Italia ce ne è solo uno, che tra l’altro intende importare e vendere nella propria rete auto elettriche o comunque auto cinesi”, è invece il parere del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso intervistato a ‘Il giorno de La Verità

L’intesa con i cinesi nell’ottobre del 2023

Nell’ ottobre 2023, le due società avevano annunciato l’investimento da parte di Stellantis di circa 1,5 miliardi di euro in Leapmotor, per l’acquisizione di circa il 21% delle quote di Leapmotor, un’azienda automobilistica classificata nel 2023 tra le prime 3 startup cinesi di veicoli elettrici.

L’accordo di oggi prevede la costituzione di Leapmotor International, una joint venture in cui il gruppo guidato da Tavares ha il 51% per l’esportazione, la vendita e la produzione di modelli Leapmotor al di fuori della Cina. La partnership, si legge in una nota, mira a incrementare ulteriormente le vendite di Leapmotor in Cina, il più grande mercato automobilistico del mondo, beneficiando al contempo della consolidata presenza commerciale di Stellantis sui mercati internazionali per aumentare le vendite del brand Leapmotor in altre regioni. L’offerta di veicoli elettrici di Leapmotor International, prosegue la nota, è complementare all’attuale tecnologia e al portafoglio di brand iconici di Stellantis e garantirà ai clienti più soluzioni di mobilità economicamente accessibili. Alla fine del 2024 le operazioni commerciali di Leapmotor verranno estese anche al Medio Oriente & Africa (Turchia, Israele e territori d’oltremare francesi), all’India & Asia Pacifico (Australia, Nuova Zelanda, Thailandia, Malesia e India) e infine al Sud America (Brasile e Cile).

Le trattative del gruppo per acquisire una fonderia di nichel in Indonesia

Stellantis sarebbe in trattative per investire in una fonderia di nichel in Indonesia e assicurarsi le forniture del metallo fondamentale per i suoi piani di espansione dei veicoli elettrici. Lo afferma il Financial Times, secondo cui la negoziazione, di cui non si conoscono i termini finanziari, è con l’indonesiana Vale e la cinese Huayou Cobalt, uno dei maggiori produttori mondiali di nichel e cobalto, che come la casa automobilistica non hanno voluto rilasciare commenti.

di: Luca Maurelli @ 14:53


Mag 12 2024

Nazione & finanza. La ricetta per risanare senza fallire? La sovranità con qualche sacrificio

Se c’è un’idea comune alla destra di ogni tempo e luogo è che dipendere dai banchieri sia una brutta, brutta idea. Per qualcuno è una posizione ingenua, per qualcuno addirittura razzista. D’altronde cosa non è razzista oggi? Io credo sia, invece, un’idea corretta nelle basi, ma con alcuni errori di fondo nella realizzazione. Il primo errore è pensare che la finanza, da cui dipendiamo per rifinanziare il debito, sia un gruppo di tetri signori in tight, con la tuba e il monocolo, chiusi in una cupa sala.

Non funziona così. La finanza è, in ultima analisi, la nonna che chiede allo sportello di paese come vanno i suoi BOT. Il resto è sovrastruttura. Ma la finanza siamo noi. E senza di noi lo Stato non può, ovviamente, esistere. Il secondo errore è credere che, siccome la finanza siamo noi, il debito sia una cosa buona. Anche perché, dopotutto, uno Stato Sovrano può non rimborsarlo. Chiedete a nonna come reagirebbe se, a scadenza del titolo, i soldi non le fossero rimborsati. E poi raccontatemi se sarebbe una buona idea non farlo.

Tutto ciò premesso, oggi come stiamo messi a debito in Italia? Male, grazie per l’interessamento. Siamo al 145% del PIL nel 2023. Per il prossimo anno puntiamo al 139%. Vuol dire che ci vorrebbe un anno e una stagione senza spesa pubblica per ripagarlo. Quest’anno saranno 400 miliardi da rifinanziare. Il Governo, gli va dato atto, sta tamponando l’emergenza, e nel 2024 dimezzerà il deficit, portandolo al 4,4%. Puntiamo al 3% come richiesto dagli impegni internazionali come il nuovo Patto di Stabilità nei prossimi anni.

Tutto ciò premesso, è chiaro che in queste condizioni tutta la nostra influenza in Europa viene usata per galleggiare. La bella notizia, in ogni caso, è che non si tratta di un destino inevitabile. Ce lo dimostra quotidianamente Milei in Argentina: non esistono abissi così profondi da cui non si possa risalire. La Sovranità è, prima di tutto, una condizione dello spirito. Se ci si vuole rialzare, la catena del debito si può spezzare. Farà male, perché farà male. Ma non è meglio soffrire in piedi che languire in ginocchio?

Come si fa a rialzarsi? Ci si deve aggrappare ai propri principi e su di essi restare fermi: sovranità è responsabilità, per i prossimi anni dobbiamo fare sacrifici per restituire una Patria libera ai nostri figli, non esistono formule magiche, solo sangue e sudore, per vincere questa guerra. Giorgia Meloni ha correttamente detto che la via è tagliare la spesa. A partire da ogni forma di bonus. E per chiudere non bisogna aver paura di alzare la voce quando in Europa offrono soldi a tassi stracciati.

In definitiva, si può essere sovrani, come ci insegna Hegel, solo se dimostriamo al mondo di non temere la morte. Una cosa che la destra nella storia ha sempre saputo fare. Per cui, senza paura, abbiamo il diritto e il dovere di dire: taglio delle catene del debito, se non ora, quando? Se non noi, chi?

di: Antonio Rapisarda @ 11:02


Mag 07 2024

Meloni ai commercialisti italiani: “L’attesa riforma del fisco ora c’è, lavoriamo insieme” (video)

“Per diverse edizioni non sono mancata all’assemblea generale dei commercialisti. Lo dico perché voi siete un valore aggiunto per il nostro tessuto economico e sociale, rappresentate un punto di connessione insostituibile tra lo Stato e i cittadini, tra l’amministrazione finanziaria e le famiglie e le imprese”. Guarda al futuro con ottimismo, la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio indirizzato agli Stati generali dei commercialisti nel quale fa il bilancio delle cose fatte ma delinea anche gli scenari di collaborazione che il governo sta aprendo con le categorie professionali.

Meloni presenta la riforma del fisco ai commercialisti

“Negli anni abbiamo avuto modo di confrontarci più volte, e non credo di sbagliare se dico che il comune denominatore del nostro dialogo è sempre stato lo stesso, ovvero la necessità di riformare il sistema fiscale italiano per renderlo più giusto, più semplice, più organico e più razionale. Eravamo, cioè, della stessa idea: l’Italia non poteva più rimandare una riforma che aspettava da quasi cinquant’anni, che era proprio la riforma fiscale. Era necessaria una riforma che costruisse un nuovo rapporto tra fisco e contribuente, che – rimarca la presidente del Consiglio – abbassasse la pressione fiscale e ponesse le condizioni per un’Italia più attrattiva per le imprese e per gli investimenti. Allora, appena ci siamo insediati, noi ci siamo messi subito al lavoro e abbiamo rapidamente approvato la legge delega e, come sapete, ne stiamo dando rapidamente attuazione”.

Il tredicesimo decreto attuativo della riforma

“Appena pochi giorni fa, in Consiglio dei ministri, abbiamo approvato il tredicesimo decreto attuativo della riforma. Molto si è detto, ovviamente, e si è scritto su questo provvedimento, come sempre accade per ogni scelta che questo Governo fa, però la verità è che questo decreto ci consente – oltre a rafforzare il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti più esposti – di fare un passo avanti molto importante nel cammino per un sistema tributario più semplice e più equo. Perché questo è un decreto che tocca tutte le tipologie delle imposte sui redditi, dai redditi agrari ai redditi diversi, e contiene norme che semplificheranno notevolmente la vita di molti professionisti”.

Il nostro obiettivo è stato quello di avvicinare il reddito da lavoro autonomo a quello dell’impresa – dice ancora Meloni -, creando una base normativa che fosse più semplice e più omogenea. È un passaggio estremamente rilevante, che permette di cancellare le disparità che esistevano tra le due categorie di reddito. Altro punto qualificante del decreto tocca il sostegno delle aggregazioni degli studi professionali, seguendo il principio della neutralità fiscale, proprio come avviene nel mondo delle imprese. Si tratta anche qui di un traguardo importante, direi storico, verso una maggiore equità fiscale e una migliore organizzazione di molti settori professionali”.ù

Valorizzare la figura dei commercialisti

“Però sono diversi i provvedimenti che questo Governo ha approvato in un anno e mezzo che puntano a valorizzare la figura del commercialista. Penso, ad esempio – ricorda Meloni -, al concordato preventivo biennale o al nuovo regime sull’adempimento collaborativo. Due strumenti nei quali i commercialisti hanno un ruolo cruciale e che ci consentiranno, se lavoreremo tutti insieme e lavoreremo bene, di raggiungere due obiettivi: cambiare l’approccio dell’amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente e semplificare il quadro normativo”.

“Quando questa riforma fiscale sarà completa, innovando quelle di Visentini e Vanoni e dando agli italiani un sistema più equo e efficiente, sarà anche per merito vostro, sarà anche per merito del vostro contributo. Ma la collaborazione tra Governo, Parlamento e commercialisti sta dando frutti importanti, anche su altri fronti – rimarca la premier -. Come sapete, siamo a un passo dalla riforma della disciplina del regime di responsabilità dei componenti del collegio sindacale. È anche qui un’innovazione attesa da tempo, contenuta in una proposta di legge all’esame del Parlamento, e ringrazio davvero chi ci ha lavorato e chi ci sta lavorando. Proseguiamo su questa direzione per dimostrare che se la politica, le Istituzioni, le organizzazioni di categoria, il mondo delle professioni lavorano insieme possono ottenere grandi cose per il bene comune”.

di: Luca Maurelli @ 12:56


Mag 06 2024

Lavoro, oltre il primo maggio c’è di più: in un sondaggio l’opinione dei lavoratori su partecipazione, sicurezza, salari

In occasione  dello scorso 1° maggio, è stata presentata a Roma una Ricerca su popolazione e lavoratori, a cura dell’Istituto Piepoli per l’Ugl, sul tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e sull’adeguatezza della retribuzione. Si tratta di argomenti che, per la loro centralità, vengono dati per scontati ed “acquisiti” presso la più vasta opinione pubblica. In realtà, visti i risultati dell’Indagine Piepoli-Ugl, molto pare che ci sia ancora da fare per allargare la consapevolezza rispetto a queste tematiche, facendone oggetto di un più ampio coinvolgimento presso i  soggetti direttamente interessati e non solo.

Lavoro, la “Ricerca su popolazione e lavoratori” a cura dell’Istituto Piepoli per l’Ugl

A partire da un tema – per noi cruciale – qual è la Partecipazione, in ragione della piena attuazione dell’art. 46 della Costituzione («Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende»). Impegnati, da decenni, sui crinali “partecipativi” abbiamo dato per scontato il coinvolgimento (o comunque la conoscenza) del mondo del lavoro e della più vasta opinione politica rispetto a questa cruciale tematica, fissata nell’articolo inattuato della Costituzione. In realtà così non è.

Cosa ci dice il sondaggio su partecipazione, sicurezza e retribuzioni

Sondaggio alla mano, questo articolo risulta molto poco conosciuto dall’opinione pubblicail 76% della popolazione italiana non lo ha mai sentito nominare –. E anche dagli stessi lavoratori: il 38% di chi lavora lo conosce, il 62% no. Eppure, una volta spiegato, l’articolo risveglia l’interesse presso molti, lavoratori e non: il 75% della popolazione e il 77% dei lavoratori lo trova importante.

Il diritto dei lavoratori alla partecipazione alla gestione delle imprese

Si è di fatto raccontato che questo articolo stabilisce il diritto dei lavoratori alla partecipazione alla gestione delle imprese, attraverso lo scambio di informazioni aziendali, la governance con una parte dei rappresentanti dei lavoratori, gli utili dell’impresa, il possesso di azioni delle aziende quotate. Tuttavia, nonostante ciò, i lavoratori fanno fatica a realizzarne la piena applicabilità nel posto di lavoro: il 21% dei lavoratori sarebbe molto favorevole all’attuazione dell’articolo. Il 27% contrario. Si prefigura poi una partenza in “punta di piedi”, iniziando dalla partecipazione a livello informativo (39%), poi quella economica (25%), l’organizzativa (20%) e, da ultimo, la partecipazione finanziaria (16%).

Teoria e declinazione pratica del concetto di “partecipazione”

L’articolo risulta perciò un concetto da spiegare bene. Ma soprattutto da valorizzare nella sua portata pratica, e da declinare nei suoi vantaggi concreti per il lavoratore: la percentuale dei favorevoli alla sua applicabilità passa, infatti, dal 21% del totale lavoratori al 35% tra chi lo conosce già. Mentre quella dei riluttanti scende dal 27% all’8% tra i conoscitori. Un altro tema indagato dalla ricerca Piepoli-Ugl, anche in questo caso in ottica di coinvolgimento e partecipazione, è stato quello della sicurezza nei luoghi di lavoro. Agli intervistati sono stati presentati dati ufficiali, pubblici e molto diretti, sul tema della sicurezza: «In Italia la media degli infortuni sul lavoro è di un ferito al minuto, un morto ogni otto ore. In media, quindi, 3 morti al giorno sul luogo del lavoro».

Gli infortuni sul lavoro: ecco i dati sulla conoscenza del fenomeno

Ancora pochi sono pienamente consapevoli dei dati reali e della rilevanza drammatica degli infortuni sul lavoro, anche tra gli stessi lavoratori: il 61% della popolazione e il 49% dei lavoratori non era a conoscenza di questi dati. A ben vedere, la potenza di questo fenomeno si scarica tutta sul livello di preoccupazione. Sensibilizzati sulla tematica, praticamente tutti dichiarano la propria apprensione rispetto al tema: fortissima per più di un lavoratore su due (57%), forte per tutti gli altri. Un tema che, se compreso nella sua portata, coinvolge quindi in modo massivo e massiccio tutti gli individui.

La sicurezza sul lavoro: ecco le valutazioni dei lavoratori

La maggioranza dei lavoratori si sente, tuttavia, abbastanza confidente rispetto all’attenzione ai temi della sicurezza prestata nel luogo dove lavora: il 26% la ritiene positiva, il 57% abbastanza soddisfacente. Tuttavia, il 17% dei lavoratori esprime la propria sfiducia su questo aspetto. E questa situazione raggiunge picchi molto più alti presso le categorie più coinvolte: il 55% degli operai, di fatto, valuta negativamente l’attenzione prestata dalla propria azienda ai temi della sicurezza sul lavoro. Il problema è talmente rilevante che la volontà di contribuire in modo positivo e attivo al miglioramento dello stato attuale delle condizioni della sicurezza sul lavoro è molto alta: un lavoratore su due (49%) dichiara che potrebbe certamente fare qualcosa in più/qualcosa di diverso per aumentare/migliorare lo status quo.

Il salario: per il 58% dei lavoratori la retribuzione attuale è percepita come “inadeguata”

Ultima questione presa in esame: il salario. Per più di un lavoratore su due (il 58%) la retribuzione attuale è percepita inadeguata alla propria mansione/anzianità di servizio. La percezione negativa sale ulteriormente presso i lavoratori dipendenti: tocca il 65% degli impiegati, per arrivare al 75% tra gli operai. Ancora più critica la percezione sull’andamento del potere d’acquisto degli ultimi anni: in questo caso, quasi il 70% degli individui accusa una perdita del proprio potere d’acquisto. La criticità si conferma presso i lavoratori dipendenti (76%) e soprattutto tra gli operai (87%).

Le rinunce legate ai salari

La situazione pone i cittadini di fronte a delle rinunce. Prima di tutto si cominciano a sacrificare le spese accessorie, ancorché legittime: rinunciare a fare una vacanza è la prima scelta di chi accusa una riduzione del suo potere d’acquisto. Poi si passa a rinunciare a comprare un’auto. E, messi alle strette, anche a investire per i figli, comperare una casa; fino ad arrivare alla rinuncia di cose fondamentali come il diritto alla salute: il 15% rinuncia alle spese per visite mediche/cure sanitarie, dato che sale al 40% tra i pensionati andando ad intaccare una delle categorie di persone teoricamente più bisognosa di queste attività.

Partecipazione, sicurezza, retribuzione: i tre punti cardine della Ricerca

Il quadro, che esce dalla  Ricerca su popolazione e lavoratori,  a cura dell’Istituto Piepoli per l’Ugl, offre importanti elementi di riflessione e, insieme, invita ad una più marcata iniziativa informativa e formativa. Centrale appare il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese anche in rapporto alla sicurezza del lavoro e alla retribuzione. Tutto si lega, nella misura in sui i temi della sicurezza del lavoro appaiono strettamente connessi al coinvolgimento dei lavoratori nelle modalità produttive/organizzative delle aziende (e dunque – come richiesto dagli stessi lavoratori – nel coinvolgimento per migliorare lo stato delle condizioni di sicurezza).

Le premesse per una nuova stagione del mondo produttivo

Discorso analogo per le questioni connesse alla retribuzione, rispetto alle quali  possono essere realisticamente sviluppate organiche politiche partecipative connesse alla ridistribuzione degli utili e all’estensione di benefit aziendali. In sintesi: l’interesse  del personale risulta essere un terreno fertile per favorire anche l’adozione di pratiche più sicure. Investire sulla formazione e sull’addestramento dei lavoratori. Valorizzare le best practice. Ridistribuire gli utili. L’applicazione dell’art. 46 della Costituzione va vista anche in questa prospettiva. Oltre il superamento del conflitto di classe e nella collaborazione tra capitale e lavoro, si può aprire veramente una nuova stagione per il mondo produttivo. Basta crederci ed impegnarsi di conseguenza, allargando l’informazione, e quindi la consapevolezza. Le condizioni per ben riuscire ci sono tutte.

di: Priscilla Del Ninno @ 16:06


Mag 05 2024

Transizione ecologica? Bonificare per la sicurezza e la prosperità del territorio

Il territorio italiano è caratterizzato da un elevato grado di fragilità naturale; il dissesto idrogeologico è un problema  antico e non solo un prodotto della modernità: frane e alluvioni, anche  catastrofiche, si sono sempre verificate in Italia sin dalle epoche più remote. Nel 2021  il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto , oltre 1,3 milioni di abitanti vivono  in zone a rischio frane, mentre sono circa 7 milioni gli abitanti residenti in aree a rischio alluvione. 

Solo esattamente un anno fa lEmilia-Romagna è stata colpita tra l1 e il 3 maggio e tra il 16 e il 18 maggio 2023 da allagamenti, esondazioni, frane che hanno provocato la morte di 17 persone.  Si sono  registrati picchi di pioggia anche superiori a 600 mm in appena 48 ore, 23 corsi dacqua sono esondati per un volume di 350 milioni di metri cubi.   La grande violenta alluvione ha devastato 91 comuni nelle  province di Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena,  Rimini, Modena, Reggio Emilia e parte di Marche e Toscana,  con danni stimati intorno ai 10 miliardi.

La furia delle acque non è purtroppo un isolato evento eccezionale, dovuto alle conseguenze del cambiamento climatico, ma appare come una costante nella storia della nostra terra. Secondo  un recente studio del CNR, in Italia frane e inondazioni sono frequenti e causano danni disastrosi alle strutture e infrastrutture nonché vittime, feriti e sfollati ogni anno. Dal  2007 al 2021 le persone che hanno perso la vita a causa di tali eventi sono complessivamente 336, di cui 188 per le inondazioni e 148 per le frane.

Un quadro  di dissesto strutturale che nella sua sua storica gravità, è frutto anzitutto della costituzione geofisica del territorio italiano, a prescindere dalle attività antropiche e dalle propagande colpevoliste. L’Italia è un paese geologicamente giovane, ed è quindi ancora esposto a fenomeni di orogenesi; la  natura litologica delle rocce è per due terzi sedimentaria, cioè erodibile abbastanza facilmente e rapidamente. A questo fattore naturale di rischio geologico bisogna poi aggiungere gli andamenti pluviometrici: il clima è caratterizzato da estati calde e secche e precipitazioni concentrate a inizio primavera e a fine autunno. Piogge brevi e violente accompagnate da lunghi periodi di siccità, che ovviamente determina un elevato livello di minaccia idrogeologica. Queste caratteristiche climatiche sono ovviamente note da sempre. Nel 1870 il naturalista e botanico Giuseppe Pasquale scriveva: La distribuzione della pioggia in queste province  è così incostante in tutti i mesi, e così diseguale nelle sue cadute, che spessissimo cade fuori tempo, e, quando pur fosse opportuna ed a tempo cade in acquazzoni, si che il danno superi lutile”. Sempre Pasquale, in un suo lavoro di poco precedente  notava la diffusa presenza di  “torrenti rapidissimi, i quali in buona parte precipitano da cateratta in cateratta fino al mare … e scendendo formano colmate e sollevamenti di terreno, portando devastazioni alle campagne ed abitati vicini”.

Lo stato ambientale italiano appare definito  quindi complessivamente da un elevato grado naturale”  di rischio idrogeologico, anche aggravato dagli  effetti del cambiamento climatico. Per la prima volta nel 2022 lItalia ha raggiunto una temperatura media di 14 °C, la più alta di sempre: è stato anche lanno della più grave siccità degli ultimi 500 anni in Europa, che per lItalia si è tradotto in un crollo delle precipitazioni medie, in un solo anno, di oltre il 20% rispetto alla media del trentennio 1990-2020. Oltre alla siccità, laggravarsi della crisi climatica sta causando eventi estremi sempre più frequenti e dannosi. Nel 2022 abbiamo raggiunto un nuovo record: sono stati oltre 3 mila gli eventi climatici estremi registrati in Italia in un solo anno, il numero più alto degli ultimi 15 anni.

L’analisi del rischio? Non è così “scontata”

Tuttavia, considerata la lunga serie storica di frane e alluvioni  appare semplicistico, riduttivo e fuorviante, nonostante alcune dominanti retoriche ambientaliste, attribuire, per una predisposizione atavica al senso di colpa, soprattutto  a cause antropiche le responsabilità  dei fenomeni del  dissesto; più corretto logicamente sarebbe attribuire a cause antropiche l’inefficacia delle politiche per la mitigazione del rischio e per ridurre al minimo limpatto dei furiosi e nefasti  eventi naturali sulluomo e sulle aree dove egli vive.  La  colpa umana è proprio nel non aver fatto, nellaver si pensato, e con unenorme struttura burocratica,  alle opere di contenimento e mitigazione del rischio necessarie alla sicurezza del territorio, senza però realizzarle per tempo; nel vivere programmando un futuro di regole su  regole anziché di  opere pubbliche, nellaver governato con incertezza  il necessario e permanente  processo di bonifica e messa in sicurezza del territorio italiano e dei suoi cittadini.

Allo stesso tempo  però non  sembra sensato porre unicamente  lattenzione alla costituzione geologica dei terreni o ai livelli pluviometrici, limitandoli così  a una serie di fatalità, ma occorre comprendere senza pregiudizio ideologico se, e in che modo, il processo di modernizzazione ha alterato i quadri ambientali. Einnegabile che  lavanzare di uomini ed economie ha modificato gli assetti territoriali, specialmente in Italia  nellera del boom economico, per un incessante e spesso incontrollato  disboscamento, consumo di suolo e abuso della risorsa idrica: evidentemente da molti anni senza parallele, integrate ed efficaci azioni di controllo, mitigazione e bonifica.

Ma se in  Italia sin dalla metà del secolo scorso il consistente incremento demografico, il  frenetico espandersi dell’urbanizzazione e il turbolento sviluppo economico hanno determinato profonde trasformazioni dell’uso del territorio, allo stesso modo, e quasi per paradosso,  nei  tempi attuali  caratterizzati dalla crisi demografica e soprattutto dal fenomeno delle cosiddette aree interne fragili,  ovvero dall’esodo di gran parte della popolazione verso le aree urbane, è proprio la perdita  delle attività antropiche nelle tante aree del paese abbandonate a costituire un ulteriore fattore di rischio

Il processo di spopolamento ha avuto ed ha un impatto devastante sul fronte ambientale: la scomparsa ad esempio di intere comunità insediate tradizionalmente in area montana si traduce in una minore manutenzione del territorio, per  la fine improvvisa  di una serie di attività –  opere di sostegno, incanalamento delle acque meteoriche, gradonamenti, pulizia del sottobosco e delle aree golenali – che le popolazioni locali ponevano in essere per prevenire l’erosione del suolo ed i fenomeni di dissesto.  Attività appunto quasi d’un tratto  abbandonate,  senza che peraltro a questi abbandoni sia poi subentrata un’efficace politica pubblica sostitutiva.

I terribili eventi catastrofici che si sono avuti in tutti questi decenni, i morti e le distruzioni che continuano anche ai giorni nostri,  mostrano con tutta evidenza  la grande priorità dei principi della sostenibilità nel nostro  paese: la bonifica e la messa in sicurezza del territorio, superando  la stucchevole retorica green dei monopattini elettrici e  l’enorme macchina burocratica multilivello.

La bonifica per la messa in sicurezza del territorio: una priorità. Ecco perché

Nell’era della transizione ecologica e della sostenibilità appare evidente la primaria e urgente  necessità della messa in sicurezza dei territorio. E certamente il nostro paese è stato all’avanguardia per la realizzazione di un efficace sistema normativo e operativo per la bonifica e il contenimento del dissesto idrogeologico. Infatti già   90 anni fa, a dimostrazione di quanto il tema del dissesto idrogeologico sia radicato nel tempo,  con la legge Serpieri nel nostro paese si introduceva un puntuale e organico modello di governo per la messa in sicurezza e lo sviluppo sostenibile del territorio basato sul concetto, quanto mai attuale e di rinnovata vitale importanza, di bonifica integrale. Modello che può ancora dare interessanti stimoli di riflessione per una politica del territorio meno dipendente dallo stato di emergenza permanente.

La legge del 1933 arriva d’altra parte dopo un decennio di attività legislativa volta a definire i percorsi per la bonifica e la messa in sicurezza del territorio – a dimostrazione di quanto la problematica del dissesto fosse anche un secolo fa molto pressante – tra cui la  legge del 24 dicembre 1928, contenente già i  provvedimenti per la bonifica integrale, che contemplavano contributi del 75% per la costruzione degli acquedotti e delle altre opere necessarie al completamento della bonifica, e il Regio decreto 26 luglio 1929, contenente nuove disposizioni in materia di bonifica integrale, con i quali lo stato stanziava fondi pubblici  per le opere di bonifica,  ed istituiva a partire dal 1929 uno speciale sottosegretariato con competenze tecniche molto specifiche, affidato proprio  alla direzione di Arrigo Serpieri.

La legge del 1933 introduce nell’ordinamento una profonda riforma per il governo del territorio attraverso un sistema organizzativo e operativo della bonifica fondato sulla nozione di bonifica integrale. “Possiamo oggi definire la bonifica integrale … come la coordinata attuazione di tutte le opere ed attività che occorrono per adattare la terra e le acque ad una più elevata produzione e convivenza rurali ” : compare dunque per la prima volta nell’ordinamento italiano un regime giuridico unitario per quell’insieme di interventi diretti alla “ conquista di un determinato territorio alla produzione”(Serpieri, 1948).  Il concetto della bonifica integrale collega organicamente la bonifica montana con le opere idrauliche di pianura nel quadro di un intervento organico di natura economica e sociale, costituito da tutte quelle opere pubbliche e private aventi la comune finalità della difesa, tutela e valorizzazione del territorio (opere di sistemazione idraulica, opere di scolo, drenaggio, dighe di ritenuta, casse di espansione, opere di regolazione e utilizzazione delle acque a fini irrigui, strade, acquedotti e altre opere civili necessarie allo sviluppo del territorio).

Una visione d’insieme che appare immediatamente nel titolo I  della legge: “Alla bonifica integrale si provvede per scopi di pubblico interesse, mediante opere di bonifica e di miglioramento fondiario. Le opere di bonifica sono quelle che si compiono in base ad un piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici o sociali, in comprensori in cui ricadono laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costituiti da territori montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da territori estensivamente utilizzati per gravi cause d’ordine fisico e sociale, e suscettibili, rimosse queste, di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo. ..”.  E’ dunque sin  dal primo articolo che si individuavano con chiarezza gli obiettivi  “igienici, demografici, economici o sociali” della bonifica  integrale, che  nel   discorso del dicembre 1934, in difesa del Disegno di legge su norme  per assicurare l’integralità della bonifica, Serpieri rafforza col  valore etico “non tanto e non solo economici, quanto sociali e morali della bonifica integrale”, e partecipativo, “per il  ruolo innovativo e importante dei Consorzi di bonifica ed anche sulla necessità di avere il contributo fattivo dei proprietari, confermando però anche la necessità di interventi ed espropri in caso di inadempienze…”.

Il grande valore fondante  della storica riforma del 1933 sta proprio nella capacità di sintetizzare fattori economici, sociali e ambientali, anticipando di decenni la teoria dello sviluppo sostenibile,  e di definire un percorso di bonifica integrale adatto alle specificità  di ogni singolo territorio,   basato  sulla stretta interazione tra pubblico e privato. La Legge Serpieri per la bonifica integrale definisce infatti un percorso chiaro per la realizzazione dell’obiettivo della bonifica e della messa in sicurezza del territorio, denotando un modernissimo pragmatismo: dal  piano generale di bonifica alla  definizione di un preciso  ambito territoriale, individuato sulla base delle specifiche necessità del territorio e delle azioni da svolgere, che il legislatore del 1933 denomina comprensori;  dalla definizione dell’insieme di opere e di interventi tra loro complementari e coordinati, per la difesa e sistemazione idraulica e per lo  sviluppo economico e sociale,  alla integrazione dell’azione pubblica con quella privata e al coordinamento dell’intervento dello Stato con quello dei privati; dalla partecipazione dei privati,   finanziaria e gestionale, in una impresa pubblica,  all’istituzione dei consorzi di bionica  per realizzare  il coordinamento sul piano operativo dell’azione pubblica con quella dei privati. 

La legge Serpieri sulla bonifica integrale portò alla messa in atto di un programma imponente di lavori di opere pubbliche che investivano comprensori di bonifica estesi sulla metà del territorio nazionale: dalla bonifica igienica di risanamento, di riscatto delle terre dalle paludi e dalla malaria e di colonizzazione alla bonifica idraulica di difesa e di sistemazione dei terreni, alla bonifica economica e di valorizzazione, alla tutela e alla salvaguardia delle risorse ambientali.  Nel 1934 la superficie soggetta a bonifica superò i 15 milioni di ettari, e non si trattava più solo di bonifica idraulica in piano, ma anche di sistemazioni nelle aree montane (per circa 7,5 milioni di ettari).

La validità della legge Serpieri trova conferma in epoca repubblicana, tanto che Giuseppe Medici, già  Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche ed Irrigazioni, nel 1967 scrisse nella prefazione a un libro sul bilancio storiografico delle bonifiche in Italia «Con la legge del 1933, il Paese è stato dotato di validi strumenti che le hanno permesso, dopo la seconda guerra mondiale, di guidare la ricostruzione e di continuare il processo di sistemazione idraulica del territorio e lo sviluppo dell’irrigazione. La legge di bonifica, pur concepita in un periodo storico nel quale era stata interrotta la vita democratica del Paese, doveva dimostrare la sua piena validità anche dopo la costituzione della Repubblica. Ed è stato proprio durante l’ultimo quarantennio che questa legge, che trovava nel Consorzio di bonifica il suo strumento esecutivo, ha dimostrato la fecondità del concetto fondamentale che la anima, secondo il quale soltanto con la collaborazione fra lo stato e i singoli imprenditori si può conseguire, con la realizzazione delle grandi opere, l’utilizzazione dei terreni guadagnati alla bonifica o sottoposti all’irrigazione ».                                                                

Nonostante  il dibattito sul concetto di bonifica integrale sia ancora presente nella letteratura e nei convegni, nella maggior parte dei recenti provvedimenti nazionali e regionali relativi alle tematiche ambientali, si citano le leggi di riferimento, come la 215/33 o la 991/52, senza però citare la  bonifica integrale.  E sembra che non solo nella dialettica giuridica ma anche nella pratica abbia prevalso il concetto più moderato della  bonifica di ripristino alla bonifica  di trasformazione  e alla  integralità della opere. 

Eppure il ritorno alla cultura della “bonifica integrale” sembrerebbe quanto mai urgente, anche considerando l’urgente ricerca di efficaci  politiche  per mitigare il  dissesto idrogeologico e gli effetti nefasti del cambiamento climatico, e per contenere il gravissimo fenomeno dello spopolamento delle aree interne. Rispetto all’avanzata del dissesto idrogeologico gli interventi parziali hanno effetti parziali: si deve intervenire con una visione sistemica sugli  interi bacini con le necessarie opere di bonifica montana per  governare il deflusso delle acque, attivare i consorzi di bonifica, definire i piani forestali, coordinare le proprietà private e realizzare  azioni concrete per rendere il territorio produttivo, sicuro e abitabile per le comunità che vivono le aree interne, invertendo l’esodo.

Rispetto al dissesto idrogeologico e al disastro ambientale occorre  attivare la forza e lo spirito della  bonifica integrale “per la conquista di un determinato territorio alla produzione” .

 

Docente di economia dell’ambiente e del territorio, Università Guglielmo Marconi
Membro del comitato scientifico del Pomos-Università La Sapienza
Socio e membro del comitato scientifico della Fondazione Sviluppo Sostenibile

Membro del comitato scientifico dell’Istituto Stato e Partecipazione

di: Valter @ 08:52


Mag 03 2024

Crédit Agricole in Italia: utile netto a 390 milioni di euro nel primo trimestre 2024

Sono stati resi noti i dati del primo trimestre 2024 del Gruppo Crédit Agricole in Italia, che ha fatto registrare un risultato netto aggregato pari a 390 milioni di euro (+4% a/a).

Sotto la guida di Giampiero Maioli, Amministratore Delegato di Crédit Agricole Italia e Senior Country Officer, le diverse linee di business hanno potenziato ulteriormente il loro coordinamento sinergico facendo registrare una crescita del totale dei finanziamenti all’economia pari a circa 98 miliardi di euro e una Raccolta Totale pari a 339 miliardi di euro.

Numeri ancora una volta in aumento per un Gruppo che nel nostro Paese, suo secondo mercato domestico, è presente con circa 16.100 collaboratori e circa 6 milioni di clienti. Il Gruppo è composto, oltre che da Crédit Agricole Italia, anche dal Corporate e Investment Banking (Cacib), e dalle società di Servizi Finanziari Specializzati (Agos, Ca Auto Bank), Leasing (Crédit Agricole Leasing, parte di Crédit Agricole Italia) e Factoring (Ca Factor), Asset Management e Asset Services (Amundi, Caceis), Assicurazioni (Crédit Agricole Vita, Crédit Agricole Assicurazioni, Crédit Agricole Creditor Insurance) e Wealth Management (Ca Indosuez Wealth Management in Italia e Ca Indosuez Fiduciaria).

Crédit Agricole Italia (Gruppo Bancario)

Anche Crédit Agricole Italia ha presentato i risultati relativi al primo trimestre 2024, confermando la capacità costante di generare utili in modo continuativo. L’utile netto consolidato si attesta a 237 milioni di euro (+13,7% a/a).

Prosegue il forte sostegno finanziario a famiglie e imprese. Registrato un progressivo consolidamento delle quote di mercato mutui: stock al 7,4% e domanda al 6,4%; in termini di richieste, nel primo trimestre del 2024 CA Italia registra un incremento annuale superiore rispetto al sistema (+2,4% vs +1,9%). In crescita anche i finanziamenti verso clientela, con un +1,4% a/a rispetto ad un settore bancario in calo (-2,6% a/a). Continuo l’incremento delle quote di mercato Agri-Agro che salgono al 8,1%, con buon andamento dello stock crediti, che cresce del +0,5% a/a a fronte di un mercato in contrazione (-3,2% a/a).

Significativo il dinamismo commerciale con l’acquisizione di 50mila nuovi clienti (+29% a/a), con apporto considerevole del canale digitale, che si porta al 45%, e conferma la costante progressione nel tempo (36% dic-23, 30% dic-22). Forte crescita dei collocamenti Wealth Management: 3,4 miliardi di euro nei primi tre mesi del 2024 (+66% a/a), con significativa performance del comparto bancassurance (+91% a/a).

Ulteriormente rafforzata la posizione patrimoniale con un Common Equity Tier 1 Fully Loaded che sale al 13,6%, e un Total Capital Ratio pari al 18,6%, mantenendo un buffer ampiamente superiore rispetto ai requisiti minimi assegnati dalla Bce. A dimostrazione della solidità del Gruppo e a seguito della revisione dell’outlook sul debito sovrano italiano, Moody’s ha confermato il rating (Baa1) con outlook stabile al livello più alto del sistema bancario italiano.

Il digitale e l’innovazione continuano a dare un contributo importante: cresce la quota dei digitalizzati (che hanno superato l’80%), degli utenti attivi sui canali digitali (pari a oltre il 60%) e delle transazioni effettuate in digitale (complessivamente pari a circa l’88%). In particolare, l’App registra livelli di utilizzo in costante aumento.

L’attenzione per l’innovazione si è declinata anche nell’ulteriore sviluppo del sistema dei Village by Ca: sono oltre 150 le startup complessivamente ospitate dagli ecosistemi di Milano, Parma, Padova e Sondrio, che si sono imposti come punti di riferimento del settore a livello nazionale e regionale. Nel corso del 2024 l’ecosistema dei Village italiani crescerà ulteriormente grazie alla nuova sede in apertura a Catania. In vista dell’inaugurazione di questo nuovo hub, verrà lanciata una prima “Call4startup” volta ad attrarre le startup e supportarle nello sviluppo industriale direttamente sul territorio siciliano.

Grande importanza hanno rivestito le misure approntate per i colleghi e le nuove generazioni. In linea con il “Progetto Persone”, è proseguito nel trimestre l’inserimento di nuovi colleghi che, per il 60% ha interessato giovani fino a 35 anni. Crédit Agricole Italia, oltre ad aver ottenuto la certificazione Top Employer 2024 per il sedicesimo anno consecutivo, è stata confermata per il secondo anno tra le migliori aziende italiane che si sono distinte per la capacità di attrarre studenti e giovani laureati, grazie alle strategie di comunicazione portate avanti negli spazi digitali, come certificato dalla classifica generale di Potential Park.

Raggiunte nuove tappe per il Gruppo nel suo percorso di miglioramento continuo e di sostegno ai dipendenti e alle loro famiglie; in tema di genitorialità condivisa, ad inizio 2024 ha preso avvio il progetto “Asilo Nido Diffuso” che consiste nella creazione di un circuito che connette i migliori nidi di Italia per dare un sostegno di valore ai colleghi e alle colleghe neogenitori, indirizzandoli ad un network di strutture di alta qualità che offrono condizioni agevolate in esclusiva.

Un esempio di attenzione ai territori e di accompagnamento dei clienti nella transizione climatica è l’assunzione da parte di Crédit Agricole Italia del ruolo di Banca Partner e consulente finanziario del Comune di Parma nel progetto 100 Climate-Neutral and Smart Cities. L’iniziativa, finanziata dall’Ue all’interno del Green Deal, ha l’obiettivo di rendere climate neutral entro il 2030 più di 100 città europee (Parma tra le 9 città italiane), e vedrà la Banca impegnata a fornire le risorse e l’esperienza per iniziative di mobilità urbana sostenibile e di efficienza energetica degli edifici.

Nell’ambito dell’impegno nel sociale numerose le raccolte fondi legate a tematiche di inclusione, educazione, sanità, sport e cultura pubblicate su CrowdForLife.

Crédit Agricole

Il Gruppo Crédit Agricole nel suo complesso ha ottenuto un utile netto reported di 2,384 miliardi nel primo trimestre del 2024, con ricavi pari a 9,525 miliardi di euro.

di: Annamaria @ 12:35


Mag 03 2024

Si festeggia anche il 3 Maggio (senza Gennarone): nuovo record di occupati, l’Istat zittisce i sindacati

Al netto della lagna del Primo Maggio della sinistra e dei sindacati, le cose, sul fronte lavoro, non vanno affatto male, anzi. Anche il 3 maggio, senza particolari feste di piazza e cantanti che insultano il premier, come a Foggia il rapper Gennarone, si festeggia il lavoro che aumenta a livelli record rispetto al mese precedente e allo scorso anno. Un trend inarrestabile, da un anno a questa parte, e non lo dice la Giorgia, ma l’Istat: aumentano gli occupati e gli inattivi, diminuiscono i disoccupati. Secondo i dati dell’Istituto di statistica, a marzo sono state registrate +70mila unità (+0,3%) per uomini e donne, per dipendenti e autonomi e per tutte le classi d’età a eccezione dei 35-49enni che registrano un calo. Su anno, il numero di occupati a marzo supera quello di marzo 2023 dell’1,8% (+425mila unità). L’aumento coinvolge uomini, donne e tutte le classi d’età, a eccezione dei 35-49enni per effetto della dinamica demografica negativa: il tasso di occupazione, che nel complesso è in aumento di 1,0 punti percentuali, sale anche in questa classe di età (+0,6 punti) perché la diminuzione del numero di occupati 35-49enni è meno marcata di quella della corrispondente popolazione complessiva. “Le misure del governo Meloni sostengono l’occupazione e rendono più efficiente il mercato del lavoro. Più occupazione stabile soprattutto nel Mezzogiorno e incentivi per chi assume donne a tempo indeterminato. Con Fratelli d’Italia e il governo di centrodestra l’Italia volta pagina e l’economia nazionale riparte”, è il commento del vice capogruppo vicario di Fratelli d’Italia alla Camera, Manlio Messina.

Istat: aumenta il lavoro, ma cala anche la disoccupazione

Cala anche, e non è scontato, la disoccupazione, a conferma che le teorie del sindacato e della sinistra, secondo cui i dati, anche quelli buoni, non rispecchiano la realtà economica del Paese: rispetto a marzo 2023, calano sia il numero di persone in cerca di lavoro (-7,4%, pari a -148mila unità) sia quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-1,7%, pari a -213mila). Merito soprattutto dell’abolizione del Reddito di cittadinanza.

Il tasso di occupazione sale al 62,1% (+0,2 punti). Similmente, il numero di persone in cerca di lavoro diminuisce (-2,8%, pari a -53mila unità) per entrambi i generi e in ogni classe d’età tranne per i 35-49enni. Il tasso di disoccupazione totale scende al 7,2% (-0,2 punti), quello giovanile al 20,1% (-2,3 punti).

La crescita del numero di inattivi (+0,1%, pari a +12mila unità, tra i 15 e i 64 anni) si osserva solo per gli uomini e gli under 50; tra chi ha almeno 50 anni l’inattività diminuisce. Il tasso di inattività si mantiene stabile al 33,0%. Confrontando il primo trimestre 2024 con il quarto 2023, si registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,2%, per un totale di 56mila occupati. La crescita dell’occupazione, osservata nel confronto trimestrale, si associa alla diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-2,1%, pari a -40mila unità) e all’aumento degli inattivi (+0,3%, pari a +40mila unità). Ed ancora: il numero degli occupati, 23 milioni 849mila, è superiore di 425mila unità rispetto a marzo 2023, come conseguenza dell’incremento di 559mila dipendenti permanenti e di 46mila autonomi, a fronte della diminuzione di 180mila dipendenti a termine. Su base mensile, il tasso di occupazione sale al 62,1%, quello di disoccupazione scende al 7,2%, mentre il tasso di inattività è stabile al 33,0%.

di: Luca Maurelli @ 10:54


Mag 01 2024

Contrafforti per una Civiltà europea del lavoro: il genio italiano e l’umanesimo di Adriano Olivetti

La Festa dei lavoratori coincide quest’anno con l’avvio della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo. I partiti avranno tempo fino alle 20 del  I° maggio, infatti, per depositare l’elenco con i nomi dei candidati in corsa per un seggio all’Europarlamento. La coincidenza temporale suggerisce, dunque, un percorso ideale e politico che partendo dall’Italia e dalla sua Costituzione possa giungere all’affermazione di una nuova “Civiltà del lavoro” a livello europeo.

Del resto, le complesse intersezioni dell’economia globalizzata, gli stravolgimenti già determinati dalla rivoluzione telematica e quelli ormai avviati dalla affermazione dell’intelligenza artificiale, la progressiva finanziarizzazione del sistema produttivo rischiano di determinare, insieme alla ricerca della massimizzazione dei profitti “senza produzione”, nuove e più accentuate diseguaglianze, originali forme di alienazione del cittadino-lavoratore e una definitiva crisi dello Stato sociale.

È proprio dai principi della “Costituzione economica” italiana, spesso accantonati sull’altare della costruzione dell’Europa dei mercati e della ricerca della stabilità monetaria, che occorre, dunque, ripartire per la costruzione di un Umanesimo del lavoro del terzo millennio. Nella Costituzione italiana la centralità della persona umana trova immediato riflesso nel rapporto di strumentalità dello Stato rispetto ai diritti e alle libertà del cittadino, ma anche nella indisponibile centralità del lavoratore nel modello economico di riferimento.

Il lavoro è, già nell’art. 1 della Costituzione, misura del sistema democratico e della dignità sociale dei cittadini, in capo ai quali si radica il diritto-dovere di lavorare, “svolgendo, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 Cost). In questi termini, quindi, il lavoro non è (o non è soltanto) fattore di produzione, ma innanzi tutto strumento di elevazione materiale e spirituale del cittadino e della comunità politica nel suo insieme. Tale presupposto è, del resto, coerentemente declinato nel titolo III della Carta fondamentale, dedicato ai Rapporti economici, nella prospettiva di una visione politico-filosofica ed economico-sociale che affonda le sue articolate radici nel pensiero gentiliano, nella Dottrina sociale della Chiesta Cattolica e naturalmente anche nelle differenti correnti del socialismo non materialista.

Il rilievo costituzionale del lavoro, come strumento di elevazione materiale e spirituale, è perciò il fondamento di quella finalizzazione della libertà di iniziativa che impedisce che la stessa possa svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana” (art. 41 Cost.) La centralità del lavoratore è, inoltre, il presupposto del rilievo assegnato alla libertà sindacale (art. 39 Cost.); alla funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità (art. 45, I comma, Cost.); della tutela dell’agricoltura (art. 44 Cost.) e dell’artigianato (art. 45, II comma, Cost.), quali attività che più simbolicamente evocano la capacità dell’uomo di plasmare la materia, così elevandosi sopra di essa; del diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro” e “in armonia con le esigenze della produzione” (art. 46 Cost.)

Si tratta di una visione che pone l’uomo al centro dell’economia e che vede nel lavoro, in tutte le sue forme, il principale strumento di partecipazione democratica e di crescita della comunità. Un modello che già all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione aveva stimolato il pensiero e l’azione di Adriano Olivetti: uno straordinario esempio del “genio italiano”, per il quale l’equilibrio tra profitto, libertà e solidarietà sociale doveva essere fondato su una idea di impresa e di organizzazione del lavoro in cui il benessere del lavoratore e la felicità collettiva costituiscono altrettanti generatori di opportunità, di crescita diffusa e di efficienza.

È questa, dunque, la tavola di valori politici e principi costituzionali che dobbiamo rilanciare per una nuova Civiltà europea del Lavoro: un nucleo di “pensiero forte” che ci consenta di mantenere centrale l’elevazione materiale e spirituale dell’uomo e del lavoratore nelle nuove dinamiche politiche, sociali ed economiche che seguiranno inevitabilmente alla rivoluzione tecnologica in cui siamo già completamente immersi.

*Ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico e Componente del Consiglio Superiore della Magistratura

di: Antonio Rapisarda @ 11:09


Mag 01 2024

Guardare alla Costituzione nell’ottica del riformismo sociale: per attuarla oltre anacronistiche divisioni

Il 1° maggio 2024 sembra portare con sé un’aspettativa nuova, che va rimarcata e colta nella sua essenza: la prima, concreta realizzazione normativa, in Italia, del dettato partecipativo. E’ il segno dei tempi. Dopo decenni di dibattiti, ma soprattutto di aspettative mai concretizzate, a causa del prevalere, nelle relazioni sociali e negli orientamenti politici, di una visione classista e conflittuale, si è registrato negli ultimi mesi un interesse “trasversale” rispetto alla volontà di dare piena attuazione all’art. 46 della Costituzione italiana, il quale riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. Il risultato è stato il varo di un testo di legge che dovrà andare, a breve, in discussione alla Camera, con un’ampia maggioranza parlamentare e la condivisione di due confederazioni sindacali, la Cisl e l’Ugl. Vedremo finalmente, in quella sede, la posizione della sinistra, da quella più radicale alla “riformista”, sempre molto reticente sul tema.

L’approvazione di una legge attuativa dell’art. 46 della Costituzione offre l’occasione, in questo 1° maggio 2024, per riaprire una seria discussione sugli orientamenti sociali della nostra legge fondamentale, troppo spesso fraintesa e snaturata. E’ noto come la Costituzione italiana sia il frutto del compromesso tra diversi filoni politici e culturali. Ne sono testimonianza i verbali delle commissioni , che fotografano le tesi a confronto ed il lavoro di integrazione-rettifica, che ha portato al testo definitivo. Particolarmente significativo, da questo punto di vista, il dibattito sui temi del lavoro, della giustizia sociale, del ruolo del sindacato, che innervano tutto l’impianto costituzionale, a cominciare dall’art. 1, autentico fondamento programmatico della nascente Repubblica, “fondata sul lavoro”, a cui, in sede di voto, venne opposta, in alternativa, la definizione, dalle evidenti ascendenze classiste, “repubblica democratica di lavoratori”, respinta per soli dodici voti.

Lo citiamo, in occasione della festa del 1° maggio 2024, proprio perché crediamo che sia maturo il tempo per una riflessione-riconsiderazione del valore della nostra Costituzione, al di fuori della vecchia vulgata classista e delle radicalizzazioni interpretative, che ne hanno segnato la storia, falsandone spesso l’applicazione, anche nella prospettiva, a livello legislativo, di un chiaro impegno “partecipativo”. In troppe occasioni, soprattutto negli Anni Sessanta-Settanta, la nostra carta fondamentale è stata trasformata nello strumento attraverso cui sperimentare lo scontro sociale, svuotandone così il senso reale, la vera sostanza. E’ accaduto, partendo dalla stessa concezione del lavoro, quello citatissimo del primo articolo della Costituzione, spesso visto in chiave classista, laddove invece il
dettato costituzionale, all’art.35, lo tutelava “in tutte le sue forme ed applicazioni”. A questa idea di lavoro bisogna iniziare a guardare, in occasione della festa che lo celebra, dando ad esso il pieno e totale riconoscimento, senza alzare perciò vecchi steccati, quanto piuttosto riportandolo al suo valore fondativo per la nostra coesione sociale e alla sua dimensione partecipativa.

Lo dice l’art.46, fino ad oggi disatteso, individuando in esso la reale volontà di realizzare l’“elevazione economica e sociale del lavoro”, non solo all’interno delle aziende, ma nel diritto, costituzionalmente garantito, ad “una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro” (art. 36) all’attenzione per le esigenze familiari, alla tutela della donna lavoratrice, alla difesa e valorizzazione degli inabili. In questo ambito, proprio alla luce del crollo dei vecchi miti della conflittualità sociale, il tema è oggi “rinegoziare” i salari sulla base di una remunerazione partecipativa, la quale superi i vecchi (e nuovi) meccanismi salariali, collegando la retribuzione ai risultati d’impresa attraverso un sistema collaborativo fra i dipendenti ed il management. Con ciò realizzando un sistema retributivo legato ai profitti, in un mix tra salario fisso e quota variabile, rendendo i lavoratori partecipi dei risultati conseguiti e nel contempo avviando, su base aziendale, quelle politiche “ridistributive” più volte annunciate, ma mai concretamente realizzate.

Dal mero livello salariale può insomma partire un più organico processo partecipativo, collegato, nelle aziende, alla trasparenza informativa, alla codeterminazione e alla programmazione: un salto di qualità essenziale per rendere realmente efficienti le scelte aziendali, soggette alle trasformazioni tecnologiche, e favorire nuove dinamiche di sviluppo. Nell’ambito della “partecipazione” tout court (finalizzata a rendere i lavoratori partecipi dei destini dell’impresa) la “partecipazione finanziaria” rappresenta, del resto, una componente essenziale, laddove – come si può leggere in Il Codice della partecipazione. Contributo allo studio della partecipazione dei lavoratori (Giuffrè, 2011) di Roberta Caragnano– “comprende tutte le ipotesi in cui i prestatori di lavoro siano coinvolti – in quanto tali e in ragione della attività lavorativa svolta – nei risultati economici dell’impresa e, in generale, si attua nelle forme della partecipazione agli utili e della partecipazione azionaria dei lavoratori, quest’ultima da realizzarsi anche con la creazione di fondi di investimento collettivo”. E’ ritrovando laicamente il valore spirituale e materiale del lavoro che bisogna “tornare” alla Costituzione. Per scoprirla e sentirla per ciò che è realmente, liberandola dalle strumentalizzazioni e dalle manipolazioni ideologiche.

Alla luce di una nuova aspettativa “partecipativa” il 1° maggio si eviti allora di lasciare l’idea costituzionale del lavoro in mano agli esegeti di parte. Riprendiamoci piuttosto, anche da destra, la prospettiva “programmatica” della Costituzione, per quel tanto che culturalmente ci appartiene e per realizzarla laddove essa è ancora inapplicata: una grande opportunità per un nuovo riformismo sociale, che ponga il lavoro al centro dell’ iniziativa politico-sociale e che sia “premiante” per  i lavoratori; una grande occasione di confronto e di integrazione sociale piuttosto che un elemento di divisione, come è stato per tanti, troppi anni.

 

di: Annalisa @ 08:23


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