Albania, 32 anni fa gli studenti abbattevano la statua del dittatore comunista Enver Hoxha
Era il 20 febbraio del 1991 quando decine di migliaia tra studenti e cittadini albanesi si organizzarono per abbattere il monumento dedicato al dittatore Enver Hoxha, rimasto ininterrottamente al potere dal 1944 al 1985, anno della sua morte. Quel monumento, piazzato nel centro di Tirana, era il simbolo stesso della tirannide comunista che da quasi mezzo secolo opprimeva l’Albania. Da allora sono trascorsi 32 anni, ma di quell’evento pochi in Europa si ricordano e ancora meno lo celebrano, quasi che la dittatura sperimentata nella nazione schipetara fosse di rango minore rispetto alle altre che si imposero nell’Europa dell’Est sull’onda dello stalinismo trionfante. Invece, no. Per genesi, furore ideologico e ferocia repressiva il regime di Enver Hoxha merita un posto di assoluto rilievo tra le dittature di matrice comunista. Paragonabile persino alla terrificante esperienza dei Khmer rossi cambogiani.
L’Albania aveva rapporti solo con la Cina maoista
Basti pensare che in Albania rischiavano dieci anni di carcere a dare ai figli un nome legato alla religione. Nell’ininterrotto profondo rosso che a est di Trieste si spandeva per migliaia di chilometri fino a bagnarsi negli oceani Pacifico e Indiano, l’Albania intratteneva rapporti solo con la Cina maoista. Recisi persino quelli con la Unione Sovietica: Tirana non aveva mai digerito la destalinizzazione avviata da Nikita Krusciov. Deliri ideologici che uccidevano i popoli. E quello albanese non poteva certo fare eccezione. Anzi, le catene che lo tenevano oppresso risultavano, se possibile, ancor più insopportabili di quelle strette alle caviglie di ungheresi, polacchi, cecoslovacchi e via elencando. Il regime albanese era nello stesso tempo tirannico e isolato. In più, attraversato da una miseria materiale che non aveva eguali neppure nel mondo comunista. Una tortura, insomma.
Regime feroce e popolo in miseria
Non stupisce, perciò, se all’indomani della caduta del Muro di Berlino gli albanesi decidessero di liberarsi a qualsiasi costo. Al potere, nel frattempo, non c’era più Hoxha bensì Ramiz Alia, il cui tentativo, per altro timido, di riformare il regime si rivelò del tutto inutile. Il crollo del comunismo era ormai inarrestabile e avrebbe travolto anche la specificità del modello albanese. È in questo clima che si arriva al febbraio del ’91. L’epicentro della rivolta è l’Università di Tirana, a quel tempo intitolata ad Hoxha. L’incipit è uno sciopero della fame che comincia il 18. Due giorni dopo, agli studenti si uniscono i cittadini. Ne nasce un’immensa protesta che culmina nell’abbattimento del monumento di Enver Hoxha. Uno dei cavi usati per tirarlo giù è esposto al Museo nazionale di Tirana, nel padiglione dedicato al Terrore Comunista. Ne consigliamo la visita anche a molti intellettuali italiani. Per non dimenticare.