Strage di Bologna, la sorte di Cavallini è segnata: andavano aperti gli armadi scomodi della Repubblica

31 Mag 2023 19:20 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo

Il commento di Alessandro Pellegrini – il quale, insieme a Gabriele Bordoni, forma il collegio difensivo dell’imputato – non lascia adito a dubbi. Nell’affermare come “non si voglia far luce sugli aspetti oscuri della vicenda del 2 agosto 1980, a partire dal tabù della 86esima vittima”, ammette implicitamente anche come il processo di appello per Gilberto Cavallini si sia incanalato in un viottolo stretto stretto. Al termine dell’udienza odierna della Corte d’Assise di secondo grado – rigettando praticamente tutte le istanze avanzate dalla difesa e su cui la Procura generale ha fatto opposizione – la sorte dell’imputato appare, se non segnata, quasi.

Processo Cavallini, Pellegrini: non si vuole fare luce, a partire dal tabù della 86esima vittima

Nessun nuovo teste al banco, a partire dal terrorista Carlos. Nessun nuovo esame peritale sui resti di Maria Fresu. Sì, è vero, sono stati “accolti” i nuovi documenti del “servizi segreti” di cui si è scritto nei giorni scorsi, ma che non colmano l’incredibile e impossibile silenzio che, di fatto, sembra caratterizzare l’attività degli spioni nostrani tra il 2 luglio e il 23 settembre del 1980. Carte che non possono non esistere, ma che non sono state “scoperte” nei tempi previsti dalla Giustizia. Magari serviranno agli storici. Di sicuro, se e quando salteranno fuori, certificheranno una sconfitta politica

Alla verità giudiziaria non crede più nessuno

Il processo per la strage di Bologna, infatti, ha tre distinti profili: giudiziario, storico e politico. Sotto il primo aspetto, anche una nuova condanna non cambierebbe di molto la realtà percepita. Poiché – absit iniura verbis! – ai giudici di Bologna non crede più nessuno, da tantissimi anni, quando si parla della Strage alla stazione. Le sentenze sono care e indiscutibili solo per il Pd – neanche per tutto il Pd, a dire il vero – e per qualche giornalista de “Il Fatto quotidiano” e dei giornali che furono di Carlo De Benedetti. Da un punto di vista storico, proprio ciò i magistrati rigettano con più veemenza è preso in massima considerazione da studiosi di valore delle più svariate origini e convinzioni ideali e politiche.

La tesi di Gelli suscita colossali risate

La tesi di Gelli che paga i Nar perché compiano la strage nel 1980 per impedire al Pci di scalare legittimamente il potere è sì, allo stato attuale, una verità processuale. Ma che suscita colossali risate in tutto il resto del Paese e negli ambienti intellettualmente più dotati e prestigiosi. Certo, magari non ancora nei talk-show, dove i custodi delle varie “vulgate” ancora la fanno da padroni. Ma il prestigio intellettuale non lo riconosce lo “share”. Quello porta giusto una montagna di soldi a coloro che si prostituiscono alla logica del mainstream. Senza dubbio, però, l’andamento di questo processo – al pari dei due primi gradi a carico di Cavallini e Bellini – e l’eventuale conferma del verdetto, sanciscono e sanciranno una vittoria politica della Sinistra.

Era importante desecretare certi documenti nascosti

Certo, sarebbe ingiusto non evidenziare adeguatamente come un solo anno scarso – un anno anche tempestoso, a dirla tutta – può essere insufficiente per illuminare adeguatamente ciò che è stato occultato per oltre 40 anni. Ma sarebbe stata importante la desecretazione di certa documentazione nascosta in qualche armadio sporco della Repubblica in tempo per l’appuntamento di oggi. Anche perché consentire e per chissà quanto tempo ancora di inquinare il dibattito pubblico alla luce di risultanze processuali così fragili e discutibili è un problema delicato più per i politici che per gli altri soggetti a vario titolo interessati alla vicenda. Chi ha l’interesse e la passione civile per l’affermazione della verità storica e giudiziaria, continuerà nella sua opera, per quanto sempre più difficile e ingrata. 

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