“Repubblica” pensa già al 2 agosto: Meloni ha l’obbligo di definire “fascista” la strage di Bologna
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Oggi Repubblica recensendo il nuovo libro sulla strage di Bologna di Paolo Morando, tradisce un intento tutto politico. Svelato da Stefano Cappellini quando scrive che l’energia spesa per scoprire la verità sul 2 agosto 1980 di giornalisti e politici della Destra italiana, sarebbe operazione da cui si chiede a Giorgia Meloni, in modo implicito, ma chiarissimo, di prendere le distanze: pena la perdita di credibilità istituzionale:
Strage di Bologna: l’articolo di Stefano Cappellini su Repubblica
“Sarà interessante capire – scrive maliziosamente ancora Stefano Cappellini, nella sua recensione – se e come la presidente del Consiglio onorerà la memoria della bomba di Bologna”. Cosa significa, questo appello? Si tratta di un classico messaggio in codice, una sorta di “pizzino giornalistico”, il cui significato è perentorio: guardati bene, se non vuoi essere travolta dalla contestazione mediatica che i custodi della “vulgata” sono già pronti a scatenarti contro, dal togliere il “segreto di stato” dai documenti del Centro Sismi di Beirut e degli altri uffici degli stessi “spioni” che trattarono le vicende del cosiddetto “lodo Moro”. In quelle carte, infatti, che Giorgia Meloni ha già più volte affermato di voler mettere a disposizione di chiunque abbia interesse a leggerle, c’è scritta una parte consistente della verità sugli accadimenti tremendi quel periodo storico. E, naturalmente, si tratta di una parte di verità che non si accorda per nulla con quella costruita su una sequenza alquanto contraddittoria – per non dire peggio – di sentenze penali.
I fatti ignorati. Cercare la verità per Repubblica “è sconcio”
Di più. Il nuovo contesto politico potrebbe preludere anche a una più approfondita analisi, anche sul piano mediatico – da parte delle televisioni, per esempio -, delle verità scientifiche, emerse proprio nel processo di primo grado a carico di Gilberto Cavallini. E davanti alle quali la Corte d’Assise, come fiutò l’odore di bruciato, decise, com’era in suo potere fare, purtroppo, di voltare lo sguardo da un’altra parte. Il riferimento è lampante: il corpo mancante di Maria Fresu e l’innegabile esistenza di una vittima – “Ignota 86”, come è stata definita proprio da questo giornale -, di cui per 40 e più anni si è cercato di nascondere l’esistenza, anche perché, come ha testimoniato l’esame del Dna, apparterrebbe a un gruppo etnico di cui non si registrò formalmente la presenza di alcun membro alla stazione di Bologna, quel maledetto giorno. Gruppo etnico, quello della persona misteriosa che morì il 2 agosto ‘80 a Bologna e i cui resti furono nascosti nella bara attribuita alla Fresu, vicino in modo alquanto inquietante a quello delle donne che, nella notte precedente, dormirono sotto falso nome negli hotel davanti alla stazione e in compagnia di noti terroristi comunisti, delle Brigate rosse o di gruppi fiancheggiatori delle Br.
Per Repubblica è “inaccettabile” il giornalismo indipendente…
Per non parlare dei resti umani – fatto dimostrato al di là di ogni dubbio – che, invece di essere cristianamente seppelliti, come ordinato dalla magistratura, qualcuno fece sparire per sempre chissà come e chissà dove. E non saranno – non ce ne voglia Morando e ancor meno Cappellini – le storie, un po’ “strappalacrime”, più da pseudo-cronaca alla Barbara D’Urso che da giornalismo investigativo, a diminuire il valore e a sottrarre consistenza a chi ha scritto in materia sempre e solo sulla base di documenti inoppugnabili. In modo ? Forse, su questo, Morando e Cappellini hanno ragione: nel nostro Paese, l’unico giornalismo inaccettabile è quello indipendente e che si fonda su dati oggettivi, quello che, per di più, non è finanziato non da grandi case editrici, ma alimentato solo dalla passione civile e professionale di chi vi spende il proprio tempo e le proprie capacità. Un giornalismo che non s’attaglia alle moderne – o eterne – esigenze di propaganda e ha come fine non quello di coprire gli “arcana” inconfessabili dello Stato o di qualche partito, ma di portare alla luce i fatti. Che solo quelli contano.