Messina Denaro catturato col “metodo Dalla Chiesa”. Il comandante dei Ros: lezione ancora vincente

17 Gen 2023 9:07 - di Gabriele Alberti
Messina Denaro Dalla Chiesa

“Il metodo Dalla Chiesa” è stato evocato a più riprese come chiave di volta per arrivare alla cattura di Matteo Messina Denaro. Lo ha affermato in conferenza stampa il comandante dei carabinieri,  Teo Luzi. Lo ha rivendicato il comandante dei Ros Pasquale Angelosanto che si è trovato altre volte ad arrestare latitanti di spicco: trent’ anni fa da giovane capitano mise le manette a Carmine Alfieri, all’epoca numero uno della camorra. Tuttavia parla della giornata del 16 gennaio e delle ore trascorse prima di procedere all’operazione come di un unucum. «Quella che non dimenticherò mai è l’ora più lunga, che è trascorsa dal momento in cui siamo entrati in azione nella clinica a quando siamo stati sicuri che si trattava proprio di Messina Denaro», racconta a Repubblica.

Messina Denaro catturato col “metodo Dalla Chiesa”

«Con Matteo Messina Denaro si chiude una stagione cominciata negli anni Settanta con l’ascesa del potere corleonese. E che ha portato alle stragi. Lui era l’ultimo protagonista di quella strategia». Una strategia di ferocia inaudita. Anche il comandante dei Ros ha evidenziato il valore di un metodo ancora infallibile, quello inaugurato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che portò alla decapitazione delle Brigate rosse e che inflisse duri colpi alla Cupola. La raccolta di tantissimi dati informativi,  tanti reparti dei carabinierisulla strada, intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative. Un lascito fondamentale.

Il generale dei Ros: “I pilastri del metodo Dalla Chiesa”

«La sua lezione era fondata su due pilastri – dice Angelosanto- : lo studio dei fenomeni e l’attività dinamica di controllo sul territorio, che sono la base del metodo del Ros. Dalla Chiesa aveva anche sottolineato l’importanza della tecnologia ed è in questo campo che rispetto a 50 anni fa ci sono stati gli sviluppi più importanti. Credo che su questo fronte noi possiamo conquistare un vero vantaggio ed arrivare a essere un passo avanti rispetto alla criminalità organizzata». Ma c’è un altro aspetto del “motodo” sul quale insiste. Un elemento decisivo: “la componente umana, lo straordinario lavoro svolto dalle donne e dagli uomini dei carabinieri che anche ieri si è rivelato decisivo. La valorizzazione del personale è forse la lezione più importante che ci ha lasciato il generale Dalla Chiesa”, sostiene il comandante Angelosanto. Una qualità che la fitction Rai “Il nostro Generale”, in onda in queste settimane sta mettendo bene in evidenza.

Il comandante Angelosanto: “I tre livelli di indagine”

Il Ros, Raggruppamento operativo speciale, è nato proprio per sistematizzare gli insegnamenti del Generale ucciso dalla mafia nel 1982 a Palermo: la capacità di agire come invisibili, infiltrandosi dove i criminali si sentono più sicuri, avendo però il vantaggio degli strumenti tecnologici più avanzati. E infatti tali elementi si sono intersecati in un’indagine sviluppatasi su più livelli: «C’è quello tecnico, soprattutto con le intercettazioni. Quello dinamico, con i pedinamenti e i controlli sul territorio. E quello informativo, per valutare qualsiasi spunto possa contribuire a integrare il quadro delle ricerche. In questo caso ci hanno colpito le discussioni che familiari e fiancheggiatori facevano su una specifica patologia oncologica. Ovviamente, temevano le intercettazioni e non ne parlavano riferendosi al latitante. Ma quelle attenzioni non ci sono sembrate frutto di un interesse scientifico astratto: era chiaro che tante preoccupazioni erano rivolte a una persona che per loro aveva grande importanza».

Messina Denaro, Angelosanto: “Le indagini sulle coperture stanno proseguendo”

Un altro fattore determinante è avere fatto terra bruciata intorno al latitante, scalfendo la  sua rete di protezione. Un lavoro annoso. Spiega il comandante dei Ros:
«Le indagini hanno provocato un logoramento dell’organizzazione militare e di quella economica che permetteva la latitanza, in modo da depotenziarla.
Soltanto noi carabinieri abbiamo arrestato quasi cento persone e sequestrato beni per 150 milioni: sono colpi che ogni volta hanno obbligato la sua rete a creare nuove relazioni. Se guardiamo anche all’attività delle altre forze dell’ordine, l’effetto complessivo è stato quello di renderlo più vulnerabile». E adesso?  Il procuratore De Lucia ha parlato di una “borghesia mafiosa” che ha protetto la latitanza. Spiega Angelosanto: “Le indagini sulle coperture stanno proseguendo, anche in queste ore. Come tutti quelli che si occupano di criminalità organizzata, so benissimo che la forza delle mafie consiste nella capacità di gestire relazioni esterne. Queste sono intessute con pezzi della borghesia: imprenditori, professionisti, funzionari della pubblica amministrazione. Ma bisogna sempre tenere presente che sono rapporti personali, non con intere categorie: le generalizzazioni non aiutano le inchieste».

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