Acca Larenzia 45 anni dopo: il “giuramento” e l’omaggio a Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni

7 Gen 2023 12:09 - di Gloria Sabatini

Quarantacinque anni. Tanti ne sono passati dalla strage di Acca Larenzia. Da allora tutto è cambiato. Ma non l’omaggio che di anno in anno, da quasi mezzo secolo, puntuale ritorna. Ogni 7 gennaio, tra gli occhi lucidi di chi c’era e gli sguardi increduli di chi è nato dopo ma conosce ogni dettaglio di quella storia.

Strage di Acca Larenzia 45 anni dopo

Una data maledetta, una ferita mai rimarginata, una tragedia senza colpevoli. Era il 7 gennaio 1978 quando a Roma, davanti alla sezione missina di Acca Larenzia, quartiere Tuscolano, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta vengono freddati da una mitraglietta scorpion. Sono due giovani militanti del Fronte della Gioventù. Hanno appena 18 e 20 anni. Di lì a poco resterà sul selciato un altro ragazzo innocente, Stefano Recchioni di Colle Oppio, 17 anni.

L’esecuzione di Bigonzetti e Ciavatta, il colpo alla testa di Recchioni

Franco e Francesco erano  pronti a uscire dalla sezione per un volantinaggio quando scatta l’esecuzione di un commando di 5 o 6 terroristi, rivendicata dai Nuclei Armati per il contropotere territoriale. Una delle tante sigle utilizzate da Potere operaio. Stefano Recchioni, invece, muore colpito alla testa da un uomo (in divisa?) che spara ad altezza d’uomo. Morirà dopo due giorni di agonia, il 9 gennaio. Sarebbero state tre le armi a sparare. Ma nessuno degli inquirenti seguì seriamente la pista della mitraglietta skorpion, che sarebbe passata di mano in mano. Appartenuta al cantante Jimmy Fontana, poi venduta a un commissario di polizia.

Gli scontri davanti alla sezione missina

La notizia della morte di Bigonzetti e Ciavatta si diffonde in fretta in città. Centinaia di ragazzi di destra, in un tam tam impazzito e disperato, accorrono spontaneamente sul luogo dell’assalto. E Stefano Recchioni era tra questi. Acca Larenzia fu una strage, come è scolpito sulla targa di marmo accanto alla porta della sede. Dove questa mattina una delegazione di Fratelli d’Italia e Gioventù nazionale della Capitale hanno deposto una corona di fiori prima del consueto ‘saluto’ ai fratelli portando la mano al cuore. Fu un’esecuzione in piena regola della sinistra armata che si allenava cinicamente sui giovani di destra per poi alzare il tiro verso altri obiettivi.

“Uccidere un fascista non è reato”

Acca Larenzia fu una strage. Resa ancora più cupa dal clima di omertà. Dalla responsabilità della stampa e del sistema politico che assecondarono l’obbrobrio della tesi “uccidere un fascista non è reato”. Con Radio Onda Rossa a esultare per la morte dei tre “fascisti”. Con i consiglieri comunali del Pci a brindare per l’uccisione dei topi fascisti. Una strage che portò al suicidio pochi mesi dopo del papà di Ciavatta.

La morte di Di Nella rompe gli schemi

Soltanto con la morte di Paolo Di Nella nel 1983 le istituzioni riconobbero la dignità umana di quelle vittime. Con la visita a sorpresa del presidente partigiano Sandro Pertini al Policlinico di Roma dove giaceva in coma il giovane dirigente del FdG della sezione Trieste Salario.

Una strage senza giustizia dopo mezzo secolo

Come ogni 7 gennaio, anche oggi Franco, Francesco e Stefano vengono ricordati con diverse iniziative. Per non dimenticare, per rinnovare un giuramento silenzioso. Dopo Fratelli d’Italia e Gioventù nazionale, un cuscino di fiori è stato deposto anche dal Cis (Centro iniziative sociali) Alberto Giaquinto. Nel pomeriggio il ‘presente’. Sui muri della Capitale manifesti che invocano giustizia.  Altri con il profilo di un gabbiano su fondo rosso firmati ‘La comunità’. Che recitano “Figli d’Italia. Una strage di 45 anni fa. Il sole scaccia le tenebre, il sacro illumina la miseria. Saremo degni del vostro sacrificio. Franco, Francesco, Stefano, di padre in figlio”. Per dire che quei morti non appartengono alla memoria di una parte politica, ma sono ‘pezzi viventi’ della nostra storia nazionale.

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