Il fanatismo giacobino ai tempi del coronavirus: cronaca vera di 30, grotteschi minuti in città

6 Mar 2020 16:51 - di Aldo Di Lello

«No, scusa, non dovevi farlo». «Che cosa non dovevo fare?». «Non dovevi mettere i soldi sul bancone».  La proprietaria del bar, dove da almeno vent’anni, ogni mattina, consumo caffè, cornetti o altre delizie, mi rimprovera duramente. Ho violato uno dei Sacri Princìpi della Salute Pubblica. «Monete e banconote possono trasmettere il contagio. E non puoi appoggiarle dove serviamo caffè e bevande. O me le consegni direttamente in mano (guantata n.d.r.) o le lasci nell’apposito piattino di vetro vicino al registratore di cassa». Comincia così, con una reprimenda, la mia giornata nell’emergenza coronavirus. I venticinque-trenta minuti che seguono, il tempo di arrivare in redazione, sono degni di un romanzo di Camus oppure del teatro dell’assurdo di Ionesco e Beckett. Il Nemico, il Virus, è ovunque. E guai a fare il suo gioco. Ma il vero contagio è quest’ondata di fanatismo arrivata all’improvviso. Insospettata, gigantesca e, appunto, contagiosissima. Rapporti e comportamenti umani sono deformati. Del resto, Salute Pubblica è termine che riporta al fanatismo giacobino. Ricordate il Comitato di Salute Pubblica di Danton e Robespierre? Qualcosa di simile sembra governare oggi la mente degli italiani. Con la differenza che non c’è una ghigliottina  a tagliare teste. Ma l’inimicizia e il sospetto che si generano tra esseri umani non sono poi tanto diversi da quelli che si producono nei periodi giacobini.

Fanatismo e ottusità burocratica, un cocktail esplosivo

Dopo cinque minuti sono alla fermata dell’autobus. È deserta. Il mezzo della linea 49 arriva quasi subito. Per le strade non c’è praticamente traffico. E i collegamenti sono veloci. Salgo sull’autobus. È occupato da tre persone. A quell’ora, di solito, ce ne sono molte, ma molte, di più.  Squilla il cellulare. È mia moglie. Mi racconta una storia incredibile. Ma vera, miseramente vera. La mia signora fa l’insegnante. Questa mattina s’è recata nella sua scuola, ancorché chiusa,  per parlare con il personale della segreteria, che sapeva ancora in servizio. Doveva risolvere un problema prodotto dalla stupidità burocratica. Nell’istituto, oltre alle segreteria e ai bidelli, questa mattina c’era solo la preside. Il dirigente scolastico incrocia mia moglie mentre questa sta parlando con una impiegata. Apriti cielo. «Che ci fa lei qui? Non sa che la scuola è chiusa per ordine del governo?». «Sì, ma ho una questione urgente da risolvere». «Non me ne importa nulla. Vada via da qui». Mia moglie è indignata e ferita. Mai, con la sua esperienza e professionalità, si sarebbe  aspettata  di essere trattata in malo modo da una preside resa isterica dalle decisioni del premier e della ministra dell’Istruzione. Un’isteria stupida e , in questo caso, totalmente immotivata. Ma accade anche di questo nell’Italia dell’emergenza coronavirus. Burocrazia, più fanatismo, più ansia da comunicazione producono un cocktail esplosivo quanto grottesco. Il guaio è che questo cocktail esplode anche in persone che hanno rilevanti responsabilità pubbliche.

Mattarella e gli «stati d’ansia»

Mentre ascolto il racconto di mia moglie, sull’autobus sale un passeggero. È un signore di mezza età. È intabarrato in uno sciarpone e in un giaccone.  Ha il cappello di lana tirato giù giù, fino a coprigli tutta la fronte. Si guarda intorno ansioso. Cerca un sedile lontano il più possibile dagli altri passeggeri. Del resto, abbiamo avuto tutti cura di sistemarci ben lontani gli uni dagli altri. Una signora che temeva potessi sederle a meno di un metro e mezzo mi ha intimato con un’occhiataccia di andarmene più lontano. Il respiro no. Ma lo sguardo posso dirigerlo dove voglio. E allora scruto (mi prenderanno sicuramente per un mentecatto) le espressioni degli altri viaggiatori in autobus. Noto il loro sollievo quando alla fermata non sale nessuno. L’apprensione invece all’arrivo di un nuovo passeggero, anch’egli smarrito e ansioso.  Nella mente di tutti risuoneranno le parole, serie e gravi, di Mattarella ieri sera in televisione. «Evitare stati di ansia immotivati e spesso controproducenti», ha detto il capo dello Stato. Lodevole, certamente, l’intenzione del presidente della Repubblica. Necessario pure il suo intervento. Però gli esseri umani hanno reazioni spesso  insolite e imprevedibili. E molti  cominciano a essere presi dall’ansia proprio quando gli dicono che non hanno motivo di provare ansia. Sopratto quando a dirglielo è, in tono solenne, il capo dello Stato. Di solito, gli appelli in video di un presidente della Repubblica avvengono nei momenti straordinari della vita di un Paese. Nelle ore gravi. E questo, piaccia o non piaccia, è benzina sul fuoco degli spiriti suggestionabili. Sui social,poi,  non manca chi osserva: «Ci voleva il presidente della Repubblica per ricordare agli italiani la necessità di obbedire al governo in questo “momento particolarmente impegnativo”?».

L’Amuchina come il Graal

Mentre mi scorrono sullo smartphone i vari, salaci commenti che arrivano dai social, mi vedo costretto a ingaggiare una titanica lotta contro il prurito. L’odioso fastidio mi sta attaccando proprio nel lembo di naso che separa le narici. Proprio là dove, insieme con la bocca, non ci si deve assolutamente toccare se con la mano ci si è retti nel mancorrente di un mezzo pubblico. Prima bisogna assolutamente lavarsi le mani. Meglio se si riesce a disinfettarle con l’introvabile Amuchina.  Diventata una sorta di Graal in farmacia. La cui ricerca mobilita oggi il cuore e lo spirito di  milioni di italiani. Resisto. Ma il prurito è implacabile. «E se provassi con la manica del giaccone?». Faccio così. Ma il sollievo è breve. Il prurito non dà tregua. Richiede le unghie. E forte è la tentazione di trasgredire al Sacro Decalogo della Salute Pubblica.

Un metro e mezzo, meglio se due: la misura delle relazioni umane

Finalmente arrivo alla mia fermata. Scendo. Che sollievo, tra poco sarò davanti a un rubinetto, da dove uscirà acqua bollente. Finalmente, tra poco, potrò disporre di ingenti quantità di sapone per detergere le mani. Ma basterà per  sconfiggere il Nemico, l’infame Virus? Qui ci vuole l’Amuchina. Entro in farmacia. Provo, disperatamente a chiederla a quelle due signore in camice bianco. La mia richiesta è vana. E le due farmaciste mi congedano sogghignando da dietro la mascherina. Anche loro sono vittime del fanatismo da coronavirus. Per la strada pochi passanti, anche se siamo in centro. E quei pochi si evitano quando si incontrano. Un metro e mezzo. Meglio se due. È la nuova misura delle relazioni umane. Lo ha deciso il Comitato di Salute Pubblica.

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