Ghino di Tacco e Craxi, banditi o salvatori della Patria? Il dibattito prosegue

20 Gen 2020 13:20 - di Sante Perticaro

Fu un brigante che visse a cavallo tra il XII e il XIII secolo, o un pentito perdonato dalla Chiesa? Fu un assassino (come scrive Dante nel suo Purgatorio), o un difensore degli oppressi? E, ancora, egli agí come un “brigante buono” (Boccaccio, nel Decameron), una sorta di Robin Hood toscano, oppure no: era sempre un ladro? Infine, morì esiliato al di fuori della propria terra, ovvero al culmine di una lite tra i propri contadini e i militari? Benvenuto da Imola ebbe modo di definirlo in tal modo: “non fu infame come alcuni scrivono… ma fu uomo mirabile, grande e vigoroso”. L’opera di riabilitazione di Ghino di Tacco non può affatto dirsi conclusa ancora oggi, a mille anni di distanza, neppure con un film. L’imposta assunse una vera dimensione civica nel XII secolo: quando i mercanti -soprattutto per movimentavare le merci da un posto all’altro-, in primis; ovvero i ricchi nobili -che si spostavano per i loro possedimenti-, in secondo luogo; o, infine, i pellegrini e gli alti porporati -che si recavano a Roma-, tutti avevano bisogno di scorte armate che erano il primo servizio che il prelievo pagò. Per fissare e riscuotere l’imposta vennero eletti dei Magistrati che, a loro volta, si dovevano spostare lungo i territori soprattutto a cavallo: spesso con casse di preziosi e monete.
Lo stato logistico della Penisola di allora era assai penoso e, spesso, i carri non si potevano movimentare proprio. Divenne, quello, il tempo in cui le azioni di brigantaggio -illegali senza sé e senza ma- prosperano per ogni dove e Ghino di Tacco ne fu il campione, agendo nel territorio di confine tra la ricca Siena e quello che era l’Eldorado di allora: lo Stato Pontificio, Roma. Craxi firmava i suoi graffianti fondi sull’Avanti con lo pseudonimo “Ghino di Tacco”  e le sue azzardate incursioni sulla politica di allora erano proverbiali.
Una semplice combinazione?

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