Il presidente dell’Ecuador: «Assange ha usato l’ambasciata come centro di spionaggio»
Julian Assange ha tentato di utilizzare, come «centro di spionaggio», l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove viveva dal 2012 come ospite grazie all’asilo politico che gli aveva concesso l’ex-presidente ecuadoriano Correa.
E’ una delle accuse che ha lanciato l’attuale presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno contro il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, giustificando così la decisione di consegnare l’hacker alla metropolitan Police londinese aprendo le porte della sede diplomatica e permettendo, così, agli agenti britannici di entrare.
Moreno, intervistato dal quotidiano britannico The Guardian, sostiene di essere dispiaciuto per il fatto che, «con il permesso delle autorità del precedente governo», siano stati forniti strumenti per «interferire nei processi democratici di altri Paesi».
Nello scontro attorno alla figura di Assange si sono, tuttavia, polarizzate le posizioni delle due compagini politiche, quella dell’attuale presidente dell’Ecuador e quella del suo predecessore e die suoi uomini di governo.
Ora il 47enne giornalista australiano, arrestato lo scorso 11 aprile dalla polizia britannica, rischia una pena detentiva di dodici mesi nel Regno Unito per violazione delle condizioni di libertà condizionata ma, sullo sfondo, gli Stati Uniti stanno a guardare l’evolversi della situazione, pronti a saldare il conto con il fondatore di Wikileaks che ha messo in piazza i loro segreti, soprattutto quelli più imbarazzanti.
«Non possiamo permettere che la nostra casa, la casa che ha aperto ad Assange le sue porte, diventi un centro di spionaggio – ha detto il presidente ecuadoriano nell’intervista concessa al quotidiano britannico “The Guardian” – Questa attività viola le condizioni dell’asilo, la nostra decisione non è arbitraria ma basata sul diritto internazionale».
Moreno nega al Guardian che la decisione di consegnare Assange revocandogli l’asilo rappresenti una sorta di vendetta per la divulgazione di documenti relativi alla sua famiglia, incastrata dai cosiddetti InaPapers, che svelano una clamorosa vicenda di corruzione del presidente ecuadoriano e del suo entourage. Così come, il presidente dell’Ecuador respinge l’ipotesi che all’origine vi siano interferenze esterne: «Non prendiamo decisioni su pressioni esterne di qualsiasi paese», ha troncato Moreno rivelando anche che il suo Paese ha «garanzie scritte» dal Regno Unito che Assange non sarà trasferito in nessun paese dove «potrebbe subire torture, maltrattamenti o la pena di morte».
Moreno ha anche accusato Assange di aver «maltratto» i funzionari dell’ambasciata e, in generale, «ha abusato della pazienza degli ecuadoriani».
Poi la stoccata finale sul fondatore di Wikileaks: «Aveva un’igiene inadeguata, che ha colpito la sua salute e il clima interno della missione diplomatica, e aveva problemi di salute da risolvere».
Moreno ne ha avute anche per il suo predecessore, Rafael Correa, di cui era vicepresidente quando l’Ecuador concesse ad Assange l’asilo. Correa, lo ha accusato di essere un «traditore» per la revoca dell’asilo di Assange: «Se essere un traditore significa difendere la democrazia, la libertà di stampa e di rivelare la verità e la corruzione del precedente regime (Correa, ndr) può dirmi tutto quello che vuoi».