Ecco i 5 motivi per cui Assad non ha mai sganciato bombe chimiche
C’è poco da chiacchierare, come fanno i politici e i giornalisti nostrani, appiattiti sulla Ue e sui nemici di Putin, i fatti – se qualcuno li riferisse – parlano in modo estremamente chiaro. Ecco i motivi per cui il presidente siriano Bashar al Assad, che sta sventando un golpe armato terrorista finanziato da Usa, Ue, Qatar, Arabia Saudita e Turchia, non può aver sganciato le bombe chimiche contro la sua popolazione.
1 – La Siria non possiede più armi chimiche (detenute invece da altri Paesi come gli Usa che ne invocano l’eliminazione) dal 2013, anno in cui su iniziativa dell’Onu, le consegnò tutte alle forze Nato. Aggiungeremo qualche particolare in più: nel 2014 queste armi chimiche furono portate su una nave (una petroliera riconvertita) al cui interno vi era un gigantesco altoforno che bruciava gli elementi nocivi. Dove? In mezzo al Mediterraneo, al largo di Creta e Malta, cosa che provocò anche qualche protesta. In precedenti occasioni, gli americani bruciarono le loro armi chimiche obsolete nella Johnson Island, remota isola del Pacifico dove gli Usa hanno enormi forni utilizzati per lo stesso scopo e dove in passato furono testati missili di ogni tipo. Oggi sembra che quella struttura non sia più in funzione.
2 – Dopo i positivi colloqui intrasiriani di Astana, dove i terroristi si sono spaccati e non hanno partecipato. Il legittimo governo siriano aveva ottenuto credibilità e sostegno dall’opinione pubblica. Sul campo inoltre i terroristi dell’Isis sono stati quasi sconfitti dall’esercito regolare di Damasco, cosa che ha condotto all’offensiva mediatica attuale. Non avrebbe avuto senso e sarebbe stato politicamente controproducente bombardare Idlib con armi chimiche.
3 – Nessuna fonte indipendente ha sinora confermato che l’attacco chimico è stato effettuato dall’esercito siriano: le notizie sono state diffuse da gruppi vicini ai terroristi islamici e comunque anti-governativi, come i famosi “caschi bianchi siriani”, i soli che riescano sempre ad arrivare sui luoghi dei bombardamenti (e a farsi fare le foto mentre soccorrono soprattutto bambini), tutti controllati dall’Isis. E comunque tali notizia incontrollate sono state riprese come oro colato da tutti i media occidentali, senza verifica di alcun tipo se non quella ideologica. L’unica fonte ufficiale è il governo di Damasco, e questo nega che l’operazione con armi chimiche sia sua responsabilità.
4 – Dopo le invasioni di Iraq e soprattutto Libia, i depositi di armi chimiche – e non solo chimiche – finirono sotto il controllo di bande jihadiste, che le trasportarono nel Vicino Oriente per darle in dotazione ad al Qaeda e all’Isis per utilizzarle in azioni terroristiche.
5 – Nei sei anni di golpe armato contro il governo siriano, l’esercito regolare non ha mai utilizzato armi chimiche in nessuna occasione, mentre ne hanno fatto uso gli jihadisti sia in Siria sia in Iraq per attentati tesi a gettare la responsabilità di questi atti sulle forze di Damasco.
Se tutto questo non basta, occorre riflettere sul fatto che quelli che oggi accusano il presidente Assad di aver utilizzato armi chimiche, sono gli stessi che hanno gassato col napalm migliaia di persone in Vietnam e che hanno calcinato con le bombe al fosforo intere città tedesche – popolate da civili – nell’ultimo confitto mondiale. Per tacere di Hiroshima e Nagasaki. Quanto alla faziosità e al servilismi di certi colleghi giornalisti, riflettiamo anche sul fatto che per l’attentato sulla metro di San Pietroburgo non c’è stato il can can mediatico che si è registrato in altre analoghe occasioni. Questo vorrà pur dire qualcosa, no?
Il popolo curdo, ultimo baluardo di cristianità in quelle terre martoriate da un genocidio secolare dei paesi confinanti, russi compresi, resistono a testimonianza del Curdistan, nazione smembrata dai soliti colonialisti nei secoli. Riconoscere finalmente il loro diritto all’autonomia ed indipendenza assicurerebbe alla regione la vera frontiera di separazione fra gli appetiti petroliferi, di oro ed uranio di quella regione da parte dei nuovi colonialisti di questi ultimi decenni.