1960: quando il Pci scatenò l’odio contro il Msi per fare guerra allo Stato

30 Giu 2015 16:26 - di Antonio Pannullo
Genova 1960: l'assalto allo Stato

55 anni dopo quelli che sono conosciuti come “i fatti di Genova del 1960” e dei quali in questo oltre mezzo secolo la storiografia non si è occupata con particolare attenzione, sarà possibile dire che gli incidenti furono orchestrati dal Partito Comunista Italiano per impadronirsi del potere? Si potrà dire, adesso, o è “lesa maestà”?. Oggi, dopo tanto tempo, guardando i fatti a distanza e interpretandoli e mettendoli in ordine, si capisce benissimo che il Congresso del Movimento Sociale Italiano, previsto appunto a Genova, non fu che una scusa presa dal Pci per infiammare le piazze e avviare una manovra insurrezionale per insediare i Soviet anche in Italia, dopo che la manovra non gli era riuscita nel 1945. Prima del racconto dei fatti, ricordiamo e sottolineiamo che il segretario del Pci Palmiro Togliatti proprio in quei giorni aveva intrapreso uno dei suoi frequenti viaggi a Mosca (tra l’altro proprio in uno di questi soggiorni, il Migliore vi morì nella capitale sovietica), permanenza che durò dal 21 giugno al 4 luglio. Il piano probabilmente era partire prima dell’insurrezione e tornare a cose fatte presentandosi come “salvatore della patria”. Ma non andò così, grazie, più che ai democristiani, agli americani. È doveroso ricordare che dalla fine della guerra erano passati solo 15 anni, i ricordi e i rancori erano ancora vivi, le armi dei partigiani erano ancora disponibili nonché nascoste, e molti “garibaldini” non avevano ancora digerito il fatto che in Italia il libero voto avesse sconfessato i comunisti e dato la vittoria alla Dc. Insomma, il VI Congresso del Msi, previsto appunto a Genova, non c’entrava per niente con l’insurrezione armata che i comunisti pianificavano da tempo. Chiunque abbia un’infarinatura anche superficiale dei concetti di libertà e democrazia, sa perfettamente che un partito votato da milioni di persone e rappresentato in parlamento, oltre che in tutti gli enti locali, ha il diritto di tenere le proprie assise in qualsiasi parte del territorio nazionale. Gli inglesi, i francesi o gli americani, ci riderebbero in faccia se qualcuno dicesse loro che la presenza di un partito è una «provocazione» o altre balle simili. Era solo una scusa.

Perché a Genova scoppiò la rivolta contro il Msi, mentre a Milano no?

Un’altra prova? Le bugie raccontate al tempo dai duri del Pci secondo cui Genova come città medaglia d’oro della resistenza non poteva tollerare la presenza d un congresso fascista, erano smentite dalla verità (che spesso ha smentito il Pci), verità che raccontava che il precedente Congresso dei “fascisti” si era tenuto a Milano, altra città medaglia d’oro della resistenza, senza che nessuno avesse minimamente protestato per la «provocazione». Anche a Genova, tra l’altro, nei mesi precedenti si erano tenute legittime manifestazioni del Msi nelle piazze e nelle strade, in quanto la fiamma era rappresentata nel consiglio comunale. Ma allora il Pci non aveva eccepito nulla. Tutto era cominciato il 4 aprile precedente, quando Fernando Tambroni, esponente della sinistra democristiana, ottenne la fiducia alla Camera per varare un governo monocolore Dc. Determinanti i voti missini. Il 29 aprile, tra roventi polemiche e accuse di filo-fascismo, Tambroni ottenne la fiducia anche al Senato e sempre con i voti determinanti del Msi. La strategia di inserimento politico del Msi di Arturo Michelini, segretario del partito dal 1954 al 1969, si stava dimostrando vincente, e questo ovviamente non andava giù nel al Pci né a Mosca. Il 15 maggio il direttivo del Msi decise ufficialmente di tenere il VI Congresso nazionale a Genova, naturalmente senza alcun intento provocatorio, ma come semplice affermazione di libertà democratica e costituzionale. Nei giorni successivi il Partito comunista indisse una serie di comizi in tutta la regione invitando i simpatizzanti e i militanti a reagire. Resta un mistero, ribadiamo ancora una volta, il perché il congresso di Milano, città protagonista della lotta partigiana, non si fossero registrate reazioni di alcun genere. Allora è legittimo pensare a un piano preordinato da parte del Pci, che per far cadere il governo Tambroni (eletto grazie al Msi) ritenne di dover scatenare le piazze, pensiero confortato dall’organizzazione quasi militare con cui gli attivisti di sinistra condussero le manifestazioni, manifestazioni che tutto erano, fuorché spontanee. Il 15 giugno ci fu una grande manifestazione di protesta a Genova contro il Congresso del Msi, previsto il 2 luglio e ci furono i primi tafferugli con le forze dell’ordine. Il 25 giugno si tenne una seconda manifestazione del Pci, con l’adesione di Psi, Pri, Psdi e radicali, sempre contro il Congresso missino. Con nuovi scontri con le forze dell’ordine. Frattanto i giornali antifascisti, come il Giorno o l’Unità, ma anche altri, gettavano irresponsabilmente benzina sul fuoco, annunciando la partecipazione al congresso di questo o quell’esponente della Repubblica Sociale Italiana, presenze poi rivelatasi del tutto infondate. Il 28 giugno nuova manifestazione di protesta, con oltre trentamila persone, nel corso della quale Sandro Pertini incendiò gli animi della gente ricordando le efferatezze attribuite a fascisti e tedeschi. Si susseguirono gli appelli, i manifesti, gli articoli, le raccolte di firme per vietare un congresso di partito regolarmente autorizzato e legittimo, almeno in uno Stato normale.

I violentissimi scontri di piazza De Ferrari contro il Msi

Il 30 giugno il corteo di protesta giunse in piazza De Ferrari a Genova, davanti al teatro Margherita, dove ancora oggi è possibile vedere sull’asfalto i segni delle camionette incendiate, e dove erano dislocate numerose forze di polizia rinforzate anche con reparti dell’esercito. I primi incidenti in breve divennero vera e propria guerriglia urbana. Gli scontri furono violentissimi e subito apparve chiaro che i manifestanti, o almeno una parte di essi, erano armati con armi improprie e capillarmente organizzati. Dopo ore di incidenti, si registrarono circa 160 feriti tra le forze dell’ordine e 41 tra i dimostranti. Lo stesso giorno, a riprova dell’esistenza di piano ben studiato, altre manifestazioni si svolsero a Roma, Torino, Milano, Livorno, Ferrara e in altre città. Il 1° luglio ci furono altri scontri tra comunisti e polizia in diverse parti d’Italia. La Camera del Lavoro di Genova indisse uno sciopero per il 2 luglio, primo giorno previsto del Congresso del Msi. Le autorità allora proposero al Msi di tenere il congresso a Nervi; si racconta di alcune concitate telefonate tra Michelini e Tambroni, il primo francamente un po’ sorpreso dalla piega che stavano prendendo le cose, non sospettando l’esistenza di una regia molto in alto e nel quale poi il Msi c’entrava assai poco. Comunque, responsabilmente, i missini accettarono lo spostamento, a patto che ai comunisti fosse almeno vietata la manifestazione genovese, per non dare l’idea che il ricatto comunista allo Stato fosse riuscito. L’accordo non si trovò, e i proprietari del locale dove si sarebbe dovuto tenere il Congresso ritirano la disponibilità, vuoi per paura o forse per pressioni, così come accadeva negli anni Settanta per i cinema o i teatri dove si dovevano tenere manifestazioni del Msi. Michelini decise pertanto di annullare il congresso. Nei giorni successivi la sinistra non rinunciò a scatenare la piazza: manifestazioni con tumulti ci furono a Genova (3 luglio) e in molte altre città italiane (il 5 e 6 luglio). La protesta si era ora trasferita contro il governo, che era il vero obiettivo sin dall’inizio: A Porta San Paolo, a Roma, la polizia a cavallo si scontrò violentemente con i manifestanti, venne ferito un agente, Antonio Sarappa, che morì due mesi dopo per le ferite riportate. Il 7 luglio, infine, una manifestazione sindacale a Reggio Emilia culminò in tragedia: la polizia sparò e 5 manifestanti rimasero uccisi. Va detto che la polizia aveva deciso nei giorni precedenti di usare le armi da fuoco perché vi erano notizie attendibili dei Servizi secondo le quali partigiani armati avrebbero partecipato alle proteste, come poi risultò dalla memorialistica degli anni successivi. L’8 luglio ci furono altri scontri a Palermo, Catania e Firenze, con altri morti tra i manifestanti. Il 19 luglio finalmente le proteste di piazza ottennero il loro scopo: il governo Tambroni si dimise. Il Msi è di nuovo isolato, mentre il Pci ha dimostrato la sua potenza e la sua organizzazione. Poco tempo dopo – guarda caso – si apre la stagione del centrosinistra. La manovra era riuscita. Il Pci, non riuscendo a prendere il potere con le armi, lo prese politicamente, indirizzando in seguito tutte le azioni di governo manovrando la sinistra Dc, e gli altri “cespugli” della sinistra. Rimane solo da ricordare che Michelini e gli altri  esponenti missini con la loro grande responsabilità e il loro altissimo senso dello Stato, rinunciando a tenere il legittimo congresso,  evitarono all’Italia nuovi lutti. Certo, il Msi quella volta non andò al governo con Tambroni…

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