Almirante e Berlinguer, quei “carissimi nemici” che amarono sempre questo Paese

20 Set 2014 20:10 - di Antonio Pannullo

C’era il pubblico delle grandi occasioni ad Atreju (L’isola che c’è) per assistere al dibattito dal tema “Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer: quando Nietzsche e Marx si davano la mano”. Dibattito al quale hanno partecipato il presidente della Fondazione Alleanza nazionale Franco Mugnai, il dirigente nazionale di Fratelli d’Italia Francesco Biava, Massimo Magliaro, storico portavoce del segretario del Msi, Antonio Padellaro, direttore del Fatto Quotidiano, e Giuliana de Medici, segretaria della Fondazione Giorgio Almirante. Mancava purtroppo la giornalista Bianca Berlinguer, figlia di Enrico, invitata a portare la sua testimonianza. E Francesco Biava ha scelto di introdurre questo sentito argomento proprio con un omaggio a quel galantuomo che era Enrico Berlinguer,  proprio con un bellissimo appello del capo del Pci su “La Pattuglia”, giornale comunista, nel 1951. Si trattava di un appello a tutti  giovani italiani che si occupavano di politica ad abbandonare gli atteggiamenti di contrapposizione e soprattutto a non essere settari nell’agone politico. L’appello, ha ricordato Biava, era rivolto anche ai giovani missini, che già in quegli anni iniziavano con il loro entusiasmo e la loro giovinezza a farsi sentire nelle piazze di tutte le città italiane. Come avrebbero fatto nei decenni successivi, nonostante la macchina da guerra che il sistema mise in morto contro di loro. Ma questa è un’altra storia. Biava ha doverosamente ricordato la statura di questi due leader, sottolineando che Almirante – negli anni di piombo –  riconobbe pubblicamente che il Pci non alimentava il terrorismo e che Berlinguer prontamente mandò un commosso telegramma alla famiglia di Paolo Di Nella il giovane missino assassinato da killer, a tutt’oggi sconosciuti, nel 1983. Biava ha concluso il suo intervento notando con amarezza come nel corso della cosiddetta Seconda Repubblica la passione politica autentica si sia andata perdendo. E certo, una delle cause è anche la carenza di leader di una certa caratura.

Il presidente della Fondazione An, senatore Mugnai, ha ricordato la figura di Almirante evidenziando che per tutto questo 2014 la Fondazione An ha organizzato una serie di eventi e di iniziative per celebrare il centenario della nascita di Almirante. «Il significato di queste iniziative – ha detto – non è solo commemorativo o celebrativo, ma è anche e soprattutto quello di far capire che quelle idee-forza erano e sono attualissime anche oggi». Mugnai ha ricordato che i due segretari di partiti contrapposti, Msi e Pci, alla fine degli anni di piombo sentirono l’esigenza di confrontarsi e addirittura di incontrarsi periodicamente, in gran segreto, certo, ma con una sincera preccupazione per la sorte dei ragazzi delle organizzazioni giovanili dei rispettivi partiti. Movimenti giovanili, ha detto ancora Mugnai, che furono all’epoca un’autentica fucina politica e un laboratorio politico importantissimi. Quello che questi due leader ci hanno lasciato, secondo il presidente della Fondazione An, è l’insegnamento a vedere l’avversario non come un nemico, ma come un’occasione di confronto nel reciproco diverso. Ha preso poi la parola, in un intervento commosso e sentito, il direttore del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, che ha ricordato che negli anni di piombo era giovane cronista al Corriere della Sera, e che in questa veste ha intervistato Almirante diverse volte: “Ti ricordi, Massimo, quando venivo a Palazzo del Drago (allora direzione nazionale del Msi, ndr) per intervistare Almirante?”, ha detto rivolgendosi al suo coetaneo e collega Magliaro. Poi il direttore del Fatto ha indugiato su una vicenda personale: su suo padre, che aveva aderito alla Repubblica sociale italiana, che gli aveva insegnato a cercare di capire la persona che si trovasse davanti, e non da dove venisse: «Mio padre non accettava volentieri il fatto che le mie idee politiche fossero diverse dalle sue, ma mi rispettava e il suo insegnamento lo misi in pratica nella mia vita professionale, anche con Almirante. E la persona che mi trovai davanti era un capo di partito sinceramente e profondamente preoccupato per la degenerazione della politica in Italia in quegli anni». Padellaro questo scontro sanguinoso lo attribuisce a quella che  successivamente agli anni Settanta è stata definita la strategia della tensione, laddove il “sistema” traeva vantaggio da uno scontro tra giovani di opposte fazioni, come si diceva allora, piuttosto che trovarsi ad affrontare una autentica rivolta generazionale. Il direttore del Fatto ha ricordato la figura di Enrico Berlinguer, l’episodio di quando Almirante si recò alla camera ardente e quando i leader comunisti in seguito andarono a rendere omaggio ad Almirante quando quest’ultimo morì. Per Padellaro comunque è cambiata la classe politica italiana, allora c’erano i Nenni, i Fanfani, i Moro, gli Almirante, i Berlinguer… Insomma, la qualità della politica era molto diversa rispetto a oggi, anche perché a quei tempi sia il Msi che il Pci parlavano di “sociale”, erano partiti realmente popolari, mentre oggi va di moda essere liberal, ma la politica – dice Padellaro – non si fa coi tweet, ma con l’esempio e il dialogo. Come facevano Almirante e Berlinguer.

Massimo Magliaro, ricordando colui che ha definito il suo maestro, di politica e di vita, ha trattenuto a stento la commozione, rallegrandosi di vedere sull’isola Tiberina un pezzo del popolo della destra che ancora ha voglia di fare e di combattere. «Ho scelto, a differenza di altri, di stare fuori dal coro, di seguire una strada diversa, e di questo sono e sono sempre stato orgoglioso», ha esordito. Magliaro ha espresso nostalgia per quegli anni, ma una nostalgia costruttiva, un rimpianto per quello che potrebbe essere anche oggi la politica, quando c’era passione, c’erano bandiere, c’erano valori: «Le idee forti ci vogliono, sono importanti, oggi impera il pensiero debole, la soft ideology, così non usciamo da questa situazione». Magliaro si ritiene fortunatissimo per aver avuto l’opportunità di essere molto vicino a Giorgio Almirante, e ha raccontato proprio dei quattro incontri che Almirante e Berlinguer ebbero al quarto piano della Camera in genere il venerdì pomeriggio. Nessuno assisté mai ai colloqui, ma è verosimile che parlassero di terrorismo, quel terrorismo che aveva iniziato a insanguinare l’Italia. Diverse volte Almirante “aprì” alla parte avversa, come ad esempio quella volta a Strasburgo lui, capo dei neofascisti ed esponente della Rsi, pranzò insieme a Pajetta, vero capo della resistenza comunista e con Pino Romualdi, vice segretario del Pnf e anche lui Rsi. E proprio Pajetta, insieme con Nilde Jotti, andarono alla camera ardente allestita per Almirante e Romualdi, morti a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Magliaro ha poi rievocato il notissimo episodio di Almirante che fende la marea comunista di via delle Botteghe Oscure: «Ero terrorizzato, pensavo che lo linciassero, ma come al solito lui aveva capito tutto, era sempre più avanti di noi…». In definitiva, ci resta la lezione di due persone perbene, animate dalla passione politica e che soprattutto amavano questa nostra nazione. In fine, la presidente della Fondazione Giorgio Almirante Giuliana de Medici ha illustrato la figura del leader del Msi, ricordando che con Berlinguer ci furono anche altri incontri oltre quelli della Camera: in particolare qualche volta si videro a Villa Borghese, sotto l’orologio ad acqua, perché era un luogo riservato, così come erano riservati e garbato entrambi. Giuliana de Medici si è poi rammaricata per il fatto che, nonostante in tutta Italia vi siano moltissime vie e piazze e giardini intitolati a Giorgio Almirante, a Roma ancora questa iniziativa non ha avuto spazio per le resistenze ideologiche di parti politiche ancorate al passato anziché al futuro. La presidente della Fondazione Giorgio Almirante ha poi ricordato le battaglie per le riforme istituzionali anticipate dal segretario del Msi, che seppe antivedere il sistema politico ma le cui proposte furono rigettate per puro spirito partigiano. «Se oggi votiamo direttamente il sindaco, è perché Almirante per primo lo proposte. Resta l’insegnamento di due leader coraggioso, onesti, e che sacrificarono tutto per quello in cui credevano».

Commenti

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  • Rocco Cavalli 25 Gennaio 2018

    Altri tempi, altri uomini, altri politici. Erano tempi in cui contava l’onore, la dignita’ di uomo e di politico.Tempi che purtroppo non tornano. Adesso abbiamo ominicchi che non hanno ne onore , ne dignita’, ne di uomini , ne di politici. Abbiamo solo mezzi uomini, dei giuda pronti a tradire chi li ha votati per 30 monete d’argento.