Il ritorno di Umberto Tozzi, vittima dell’embargo voluto dai circuiti musicali di sinistra

27 Mar 2014 15:35 - di Elia Cevoli

Umberto Tozzi sta attraversando l’Italia con Yesterday… Today Tour e sarà al Sistina il 7 aprile, a due anni di distanza dall’uscita mondiale dell’ultimo doppio album: 10 brani inediti e un secondo cd di cover dei suoimaggiori successi arrangiati e rivistati, come sempre, dai migliori musicisti sulla piazza mondiale. Ogni tappa è un sold out, ogni apparizione in tv un picco di share per un artista oggi unamimamente riconosciuto come un monumento della musica italiana degli anni ’70 e ’80 che, grazie al suo tour trionfale, è tornato sulle pagine patinate dei più grandi magazine. Eppure fino a pochi anni fa il vincitore del Festival di Sanremo con “Si può dare di più” era out e per un lungo periodo fu ostracizzato dal circuito ufficiale. Troppo “diverso” dal panorama musicale, troppo “commerciale”. «Qualcosa è cambiato – risponde divertito – forse ora fare musica pop di qualità non è più reato. La critica e gli addetti ai lavori si sono resi conto che non è facile che un artista italiano abbia avuto l’opportunità di scrivere un repertorio così attuale dopo 35 anni». La sua fortuna, prima del riconoscimento in patria, è stata quella di aver scritto canzoni molto più appetibili al mercato internazionale. «D’altronde, anche i Beatles hanno scritto musica commerciale e non mi è sembrata né una colpa né un difetto». Pochi sanno che Tozzi ha investito tanto nell’ingaggiare i migliori musicisti al mondo. «Sì, ho sempre avuto grandi artisti nelle mie produzioni, fin da Gloria, nel 79, quando decisi di registrare all’Union Studio di Monaco frequentato dai Queen». Pochi sanno che Tozzi scrisse brani impegnati, tra cui spicca l’album “Il Grido”, un pezzo premonitore di denuncia contro il sistema politico corrotto: parole decise, un sound rock sorprendente. Sono molte le canzoni intrise di temi sociali scottanti: dalla situazione carceraria, all’immigrazione, dalla droga alle adozioni. Pezzi che se fossero stati cantati da Vasco Rossi oggi sarebbero dei classici della rivolta. «Sarebbero state delle grandi hit e invece… Proprio i progetti in cui mi impegnai di più furono i miei più grandi insuccessi, ma onestamente oggi la cosa non mi fa più soffrire. «Oggi quella rabbia non ce l’ho più, ma non nascondo che in quel periodo reagii con irritazione e mi sentii molto offeso professionalmente perché mi resi conto che ero stato escluso dal “loro” percorso». All’epoca in radio e in tv l’embargo fu totale. E la reazione dell’artista si fece sentire con critici, major, radio e tv, tutti gli ingranaggi di quel “mostruoso progetto” che è il mondo discografico italiano. Tanto da trasferirsi a Monaco. «Non per qualunquismo – spiega – da 20 anni vivo a Montecarlo ma compro i giornali tutti i giorni e ogni giorno mi fa male leggere delle disgrazie che accadono nel mio Paese». Famosa la sua polemica con Marco Travaglio per essere stato trattato così da «giornalisti di sinistra», gli stessi che hanno recitato “il mea culpa” postumo per il trattamento riservato a Lucio Battisti, solo perché si sospettava fosse di destra, un bollino nero con cui scartarono anche Tozzi dal mercato. Curioso che proprio lui, poco incline a essere la bandiera di uno schieramento, sia stato vittima della sinistra. «Finché non vedo un governo che appoggia i bisognosi mi ritengo neutrale. Mi piacciono i politici che ragionano, con un linguaggio riconoscibile, comprensibile anche da mia madre che ha più di ottant’ anni». Chi preferisce fra quelli di oggi? «Non credo che in Italia ci sia la possibilità di cambiare la mentalità della politica. I politici dovrebbero essere come le reginette dei concorsi di bellezza: se non vincono – sorride – se ne tornano a casa. È necessario un cambio totale, fatto dai giovani, non un cambio di poltrone tra i soliti noti».

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