Renzi vuole “vincere!” come Mussolini. Tranquilli compagni, è solo la guerra al piagnisteo della sinistra
Che non fosse ispirata a de Coubertin la lunga marcia di Matteo Renzi lo si era capito da un pezzo: per il neosegretario del Pd, che ha già detto che non lascerà Palazzo Vecchio, l’importante non è partecipare. E quando gli è successo di farlo come alle primarie con Bersani ha ricominciato a pedalare perché non accadesse più. «Dobbiamo vincere!», ha detto ieri nel suo primo discorso da segretario. Due parole che per i compagni doc sono state un pugno nello stomaco per quel retrogusto amaro di sapore mussoliniano. Ma quel verbo così distante dallo sconfittismo della sinistra non è una novità per l’ex rottamatore. “Vincere” è una delle otto parole forti della sua campagna per le primarie contrapposta a “perdere bene”, ironico riferimento al pareggio di Bersani con Berlusconi, che fa anche venire in mente il refrain dei commenti del giorno dopo che hanno attraversato la Prima repubblica: «abbiamo tenuto» è stato il mantra di tutti i leader politici che perdevano ma non riuscivano a dirlo.
Renzi ha studiato e sa bene di aver toccato un nervo scoperto: «Qualcuno ha detto che è una parola fascista, ma uno che vuole stare in politica e ha paura di vincere non deve solo cambiare mestiere ma deve cambiare verso». Insomma “partecipare” è antipolitico, “vincere” è il cuore dell’impegno civico… non è fascista. Più che interrogarsi sul tasso di fascismo del traditore Matteo, ex dc dall’aria vagamente socialista, i compagni e la vecchia dirigenza dovrebbe interrogarsi sulla “sindrome dei perseguitati”, degli incompresi, diretta discendente da quella del “migliore” che, come insegna Luca Ricolfi, produce un moto istitintivo di antipatia e porta alla sconfitta. Quando a ottobre il sindaco di Firenze ufficializzò la sua mission (“vincere”) in tanti sulla rete hanno storto il naso. «Tutto ottimo, tranne ‘sto vincere che purtroppo ricorda tristi storie», scrisse Federica Polythene Pam mentre Vanessa Vittoria fu più esplicita “Vincere! E vinceremo! Mussoliniana memoria. Sì è vero, ha portato male effettivamente. Speriamo non più”. Eppure la zeppola del vincitore dovrebbe rassicurare i democratici: la caratteristica dizione renziana non rischia di essere marziale nemmeno quando alza i toni, vincere è più la riscossa contro il piagnisteo. E infatti un’altra delle otto paroline magiche è “cambiare” opposta a “lamentarsi”. In fondo, scava scava, voleva vincere anche Cuperlo, l’ultimo dei post-comunisti.