Anche i grillini tengono famiglia: ecco la “parentopoli” a Cinque Stelle con gli aiutini a figli e fidanzatini…
Sussurri e grida nell’ultima riunione dei Cinquestelle al Senato. I nodi di una parentopoli interna stanno venendo al pettine tra urla, lacrime, pugni sbattuti sul tavolo e scambi di accuse. Ad accendere la “miccia”, a suscitare il caso è stata Laura Bignami che ha disertato la
riunione, ma sul tavolo sono finite comunque le assunzioni di collaboratori da parte di alcuni parlamentari, in seno alle quali non sono mancate corsie preferenziali per parenti, partner, amici e amici di amici. Una figuraccia veramente imbarazzante per il partito “anti-casta”. Le senatrici Vilma Moronese e Barbara Lezzi, accusate di aver assunto rispettivamente partner e figlia del compagno, hanno rigettato gli attacchi, assicurando di avere la coscienza apposto con una giustificazione degna dei bizantinismi stile Prima Repubblica:«Abbiamo rispettato le regole – hanno sostenuto – perché i partner in questione non sono conviventi». Volano gli stracci. P
arole grosse anche contro chi è sospettato delle soffiate alla stampa: «Siamo finiti sui giornali per colpa tua», gridano reciprocamente l’uno contro l’altro. Lo psicodramma va avanti, il capogruppo Paola Taverna se ne andava sbuffando, il senatore Giovanni Endrizzi invitava a darsi un contegno: «Ma come, domani in aula c’è la Cancellieri e stiamo perdendo tempo su questo?».
«Cerchiamo di non farci del male -invitava alla calma un altro senatore- qui ci stiamo suicidando». Ma non c’è verso, qualcuno alza la mano e chiede a gran voce regole chiare sulla vicenda collaboratori. Barbara Lezzi aveva assunto la figlia del compagno come collaboratrice, ma il contratto è scaduto e ha preferito non rinnovarglielo. Sulla seconda accusata, la Moronese, divampano maggiormente le ire dei colleghi. Lei aveva assunto addirittura il compagno stesso e all’obiezione, «non siamo conviventi», è stata fatta a pezzi: «Allora divorziamo tutti e assumiamo i nostri compagni anche noi»?, le fa notare una collega. Parli tu che hai messo in rendiconto 1.800 euro per capi d’abbigliamento? Le regole non erano queste». L’assemblea ha dibattuto per due ore sull’opportunità di andare in diretta streaming. Ma alla fine si è votato per il no e c’è chi accusa Claudio Messora, responsabile comunicazione M5S, di averlo impedito con tanto di mail rivolta a tutti i senatori. «Questa volta niente streaming, così diamo un’immagine negativa», avrebbe scritto. Ma come, la trasparenza non doveva essere il requisito innovativo dei grillini? L’assemblea alla fine, come nelle migliori tradizioni, non ha deciso come comportarsi in futuro per evitare nuovi casi di parentopoli anche se qualcuno aveva chiesto regole certe per evitare nuove discussioni. Il dibattito, quindi, resta aperto.