Quante ipocrisie sul pasticcio “kazako”: quel “dissidente” non è proprio come Mandela o la San Suu Kyi…
È chiaro che l’idea di una mamma e di una figlia di sei anni assediate da una quarantina di poliziotti a pistole spianate, in piena notte, fa rabbrividire tutti, così come la brutale espulsione delle due per riconsegnarle al feroce dittatore che sarebbe pronto a consumare la propria vendetta su di loro con l’abituale – dicono – pratica della tortura. Se poi l’avvocato di famiglia ci fa sapere che che la moglie e la figlia del dissidente kazako Muhktar Ablyazov, ora che sono rientrate in Kazakistan, “non sono state maltratte, per ora”, quel “per ora” – buttato lì, non a caso – non può che gelarci il sangue nelle vene. E meno male che lo stesso legale – bontà sua – ci fa sapere che le due sono in realtà a casa del padre di lei, non a Guantanamo. E non sono neanche agli arresti, come informa il governo kazaco. Ma in questo copione horror che ci viene proposto nel racconto del “pasticcio kazaco”, col sottofondo della romantica persecuzione all’esule che si batte per la libertà, è davvero tutto così scabroso e leggendario?
Ci sarebbe qualcosa da dire, per esempio, sulle suggestioni evocate dai media nei racconti della frettolosa decisione, poi ritrattata, del governo italiano. A parte le responsabilità politiche di chi ha gestito male la vicenda (Alfano non sapeva, la Bonino nemmeno?) si cui si dovrà far chiarezza (entro tre giorni è attesa un relazione del capo della polizia Pansa) ci sono alcuni aspetti che vengono raccontati dai giornali con eccessiva disinvoltura per dare alla vicenda i contorni della spy-story e picchiare duro sul governo, cioé su noi stessi.
Per esempio, va ricordato che l’assedio alla villetta di Casalpalocco, dove erano ospitate le due donne, nasce dalla necessità di catturare un ricercato sulla base di un mandato internazionale, nel quale si segnalava la possibile reazione “armata” di Muhktar Ablyazov. Pensare di mandarci un paio di vigili con la paletta, non sarebbe stata una buona idea. Inoltre il “dissidente” kazako , prima di essere impegnato in politica, s’è costruito un corposo curriculum da truffatore. E non lo dice solo il Kazakhistan del presunto “raìs” Nazarbaev o la Russia dell’altro “dittatore” Putin, ma il democraticissimo Regno Unito, che lo ha più volte condannato alla restituzione di una cifra tra i 3 e i 5 miliardi di euro sottratti alla Bnt Bank, da lui amministrata.
Dunque, lo spericolato banchiere, che continua ad avere megafoni preferenziali sulla stampa, non è esattamente un stinco di santo, un eroe della libertà. O non è solo questo. Di sicuro il suo profilo è molto lontano da quello di figure leggendarie che hanno sacrificato la propria vita per il dissenso ai regimi, come la birmana Saan Suu Kyi, Walesa, di Sachaov, Mandela, Havel. Qui parliamo di un un ricercato internazionale, Mukthar Ablyazov, che ha per anni intrecciato le sue battaglie politiche contro il governo di Nazarbaev con spericolate operazioni finanziarie fatte prima in patria poi attraverso la Bta Bank, tra il 2005 e il 2009, come confermano le sentenze dell’Alta Corte del Regno Unito, che arrivano molto prima che la Russia, nel 2010, emettesse nei suoi confronti un mandato di arresto con quattro capi d’imputazione per reati finanziari. Anche quando il finanziere kazaco ha invocato l’ombra delle persecuzione politica ha poi perso le cause in cui chiedeva il rigetto delle pretese della BTA Bank: un giudice dell’Alta corte ha stabilito che non poteva farsi scudo delle sue affermazioni su un complotto presidenziale ordito ai suoi danni per allontanare da sé l’accusa di appropriazione indebita di una somma di almeno 4 miliardi di dollari. Dunque, il dittatore che voleva mettere le mani sulla banca del nemico, non c’entrava nulla con le sue operazioni. Dal 2011 Ablyazov ha ottenuto asilo politico proprio nel Regno Unito e vive in una lussuosa villa Londra, in attesa che si decida sulla richiesta di estradizione. Ma questo non ha impedito a una corte britannica, solo sei mesi fa, di chiedergli anche gli interessi sulle cifre sottratte alla banca.
Ecco perché è stato un errore aver espulso sua moglie e sua figlia dall’Italia, e lo scenario degli interessi commerciali che l’Italia vanta in Kazakistan rende il tutto ancora più melmoso. Ma al contempo, fare di un ricercato internazionale il nostro principe della libertà e consegnarlo al ruolo di censore della politica italiana e della presunta connivenza del governo con i dittatori che torturano, forse è davvero troppo.