Monsignor Scarano dal carcere scrive al Papa: non ho mai rubato né riciclato denaro sporco
“Santo padre Francesco, io non ho mai riciclato denaro sporco, non ho mai rubato, ho cercato di aiutare chi chiedeva aiuto”. Così monsignore Nunzio Scarano in una missiva inviata al Papa dal carcere di Regina Coeli il 20 luglio, l’ex dirigente degli uffici finanziari del Vaticano arrestato per riciclaggio a fine giugno. Nella lettera il religioso aggiunge che, pur avendo “chiesto udienza a S.E. cardinal Angelo Sodano l’astuto e furbo mons. Giorgio Stoppa, riuscì a non farmi ricevere e per giunta punirmi, spostandomi in altro ufficio e facendomi continuamente controllare”. “Perché?”, si chiede il monsignore nella missiva di tre pagine dove precisa a Papa Francesco di avere “vissuto sempre con dignità il mio ministero sacerdotale, cercando di aiutare tutti coloro che chiedevano aiuto, visto che la provvidenza è stata tanto tanto generosa con me”. Il prelato si trova in carcere dal 28 giugno scorso nell’ambito dell’inchiesta sul fallito tentativo di rimpatrio di 20 milioni di euro riconducibili agli imprenditori napoletani D’Amico. Monsignor Scarano, ex contabile all’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica) è sospeso dall’incarico da prima dell’arresto ed è indagato per i reati di truffa e riciclaggio. Nella lettera Scarano spiega inoltre che la documentazione in suo possesso proverebbe la sua onestà e le battaglie contro l’abuso dei suoi superiori laici “coperti da alcuni cardinali”.
Il settimanale L’Espresso domani in edicola riferisce che c’è “una rete di società svizzere” gestita da finanzieri ed immobiliaristi di fiducia del Vaticano che ha mosso i fondi dell’Apsa, la holding del patrimonio della Santa Sede. L’Espresso scrive ancora che l’Apsa lavorava anche da conti anonimi allo Ior. Il meccanismo spiegato ai magistrati romani dal contabile dell’Apsa monsignor Scarano indica la presenza di conti collettivi, intestati per esempio alla Casa degli anziani di Salerno, dove affluivano le finte donazioni dirette all’Apsa. In realtà – dice L’Espresso – i donatori diventavano loro stessi beneficiari del conto in misura proporzionale alla somma versata.