Trattativa Stato-mafia: Mancino assente, malore per Riina, le Agende rosse escluse dalle parti civili
La nuova contestazione a Nicola Mancino alla fine è arrivata. Avrebbe negato, secondo il pm Vittorio Teresi, l’esistenza di una trattativa Stato-mafia “non solo per assicurare l’impunità agli altri esponenti delle istituzioni” ma anche “per occultare il reato” di cui sono accusati tutti gli imputati, tranne l’ex ministro dell’Interno che invece risponde di falsa testimonianza. Ma questo è solo un passaggio, tanto annunciato, del processo che alla seconda udienza ha riservato ben altre sorprese: il malore di Totò Riina, collegato in teleconferenza dal carcere di Opera, e la decimazione delle parti civili. Ne sono state escluse 21: alcune perché costituite dopo i fatti, altre perché da quei fatti non hanno subito un danno dimostrabile. La corte ha detto no anche alle Agende Rosse e a Salvatore Borsellino, promotore dell’associazione e fratello del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio. Lo stesso pm non aveva riconosciuto un legame tra il “danno” (la strage) e il “fatto” (la trattativa). Borsellino non ha nascosto la sua “amarezza” per avere sempre sostenuto, ha detto, l’esistenza della trattativa. E comunque, ha assicurato, il suo impegno proseguirà anche “fuori da quest’aula”. Con lui escono dal processo anche il comune e la provincia di di Firenze, la regione Toscana, il partito della Rifondazione comunista, i comuni di Capaci e Campofelice di Roccella, le associazioni vittime della mafia di Sonia Alfano, Addiopizzo, Rita Atria, giuristi democratici, testimoni di giustizia e i familiari dell’on. Salvo Lima (ucciso nel 1992). Sono stati invece ammessi l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, la Presidenza del consiglio dei ministri e altre associazioni tra cui Libera, il Centro Pio La Torre e i familiari delle vittime di via dei Georgofili. Assente Massimo Ciancimino, tornato in carcere per una maxi evasione fiscale, l’udienza ha poi vissuto il suo momento più vivace nel confronto tra l’accusa e la difesa di Mancino.
I legali del senatore si erano opposti alla nuova contestazione di aggravante (una “precisazione” l’ha definita Teresi) chiedendo che fosse differita all’inizio del dibattimento e quindi solo dopo l’esaurimento delle questioni preliminari, che comprendono pure la richiesta di stralcio della posizione di Mancino. Il presidente Alfredo Montalto invece l’ha ammessa ma siccome il senatore non era in aula ha dovuto scegliere la strada della notifica del verbale. E questo ha provocato un rinvio non breve del processo che riprenderà il 27 giugno nell’aula bunker dell’Ucciardone. Si annuncia un’udienza cruciale. Le difese presenteranno una sfilza di eccezioni e di questioni di incompetenza territoriale e per materia. Sostengono tra l’altro che il processo debba essere trasferito da Palermo perché, nell’impianto dell’accusa, i fatti vengono collegati alle stragi del biennio 1992-94 di cui sono competenti altri uffici giudiziari.