Le tre sinistre e la terza destra
Quante sono le sinistre e quante sono le destre? Non c’è solo l’aritmetica di mezzo in questo ritorno roccioso alle etichette che sta segnando le intense giornate di campagna elettorale. Perché è vero che lo scontro è (anche) tra Berlusconi e Bersani ma ci sono elementi nuovi, nello scacchiere politico, che non possono essere ignorati. La gigantesca rissa a sinistra, per esempio, che covava sotto traccia da anni e che adesso viene in superficie irruenta e incontrollabile. Non una rissa solo verbale, ma una rissa che può alla lunga pregiudicare l’esito del voto. Perché, laddove c’era la sinistra radicale, ora ci sono Vendola e Ingroia e quel segmento di elettorato, troppo ideologizzato per riconoscersi nel trasformismo della sinistra para-riformista di Bersani, sta a guardare attonito la contesa. A tale sconcerto ha dato voce Il manifesto con un titolo-appello: Astenetevi, cioè smettetela di litigare. Accompagnato da un editoriale di Norma Rangeri: “Quotidiano, rovente, distruttivo, soprattutto disarmante. È lo spettacolo delle nostre divisioni a sinistra ogni giorno più acute e plateali”. E oggi è Nichi Vendola a rispondere, proprio su Il manifesto, promettendo che non si metterà l’elmetto contro nessuno purché la sinistra capisca che ci sono due destre da battere, quella di Berlusconi e quella di Monti che, secondo Vendola, esprime l’ideologia liberista da cui è scaturita la crisi. Ma se le destre sono due quante sono le sinistre? Risponde Giancarlo Bosetti su Repubblica, classificando tre sinistre: quella riformista di Bersani (ma fino a che punto quest’empito riformista si spingerà nella dissociazione dalla Cgil?), quella legata ai diritti sociali di Sel e quella giudiziaria di Ingroia. E forse sono anche più di tre: visto che ci sarebbe anche la sinistra di Renzi, di sicuro più riformista di quella che Bersani vorrebbe incarnare. E si intuisce qual è il pericolo che si cela dietro le tre-quattro sinistre: come arrivare alla sintesi necessaria per governare il Paese? È la grande incognita cui la sinistra non sa dare una risposta da quando ha preferito ai programmi il primato della guerra a Berlusconi, battuto il quale si poteva tranquillamente disperdere le armate sfinendole in dispute ideologiche ancora irrisolte.
Dunque Vendola evoca le due destre. E involontariamente mette a nudo, con le categorie ideologiche che gli sono proprie, un problema di sicuro presente in questa campagna elettorale e cioè a chi spetti la rappresentanza della destra che un tempo si riconosceva in Alleanza nazionale e prima ancora nel Msi. Quale spazio ha questa destra tra le due destre che Vendola evoca? Non si tratta solo di voti, ovviamente. Il nodo è anche culturale, sociale e di identità. E certo fa impressione che come leader delle due destre di cui parla Vendola troviamo personaggi che hanno storie distinte e distanti dai partiti che in Italia hanno ambito a rappresentare la destra. Che cosa ne è stato, allora, di quella destra? Ci sarà modo di riprendere la questione, a urne chiuse. Ma certo già da ora è possibile parlare di quell’area come una terza destra, che rispetto alla tradizione popolare e anticomunista (Berlusconi) e a quella liberal-liberista (Monti) sapeva mettere in campo istanze sociali, patriottiche, movimentiste e innovative. Una terza destra, a rappresentanza “diluita” (tra Pdl, Fli, Fratelli d’Italia, La Destra) poco incisiva in questa campagna elettorale ma con alle spalle una solida tradizione. A conti fatti, dopo il voto, questa sarà l’area più interessante da osservare per l’inevitabile dibattito che dovrà nascere al suo interno.