Gli Usa dinanzi alla crisi ucraina: le gaffe di Victoria Nuland, il realismo di Henry Kissinger

18 Mar 2014 14:27 - di Giampaolo Rossi

Lei si chiama Victoria Nuland, ha 53 anni ed è una diplomatica americana; ricopre il ruolo di assistente al Segretario di Stato, John Kerry, per gli Affari Euroasiatici. Anche l’altro è un diplomatico americano, anzi è “il diplomatico” per eccellenza, colui che ha disegnato la politica estera statunitense per quasi un quarto di secolo; solo che di anni ne ha 91 e si chiama Henry Kissinger. I due sono distanti non solo per l’età e per l’epoca che hanno attraversato ma anche perché rappresentano due modi radicalmente diversi di pensare il ruolo attuale degli Stati Uniti nel mondo. La Nuland non è una figura di primo piano dell’amministrazione Obama, ma è lei, in questi mesi, ad aver avuto in mano il “dossier Ucraina” raccogliendo per la verità, più gaffe che successi: la sua telefonata con l’ambasciatore americano a Kiev (intercettata dai servizi segreti russi e resa pubblica su You Tube) in cui esclamava un nitido “l’Europa si fotta!”, fece arrabbiare la Merkel il cui mediatore era in quei giorni proprio a Kiev a cercare di sbrogliare la matassa della crisi. La telefonata in realtà servì a mostrare l’attività degli americani nei giorni della rivolta, confermando le accuse russe d’interferenza nelle questioni di uno stato sovrano. D’altro canto la Nuland imbarazzò i suoi capi di Washington anche quando, pochi giorni dopo, si fece riprendere dalle tv di tutto il mondo, armata di buste di plastica a regalare biscotti ai dimostranti di Kiev; più simile ad una crocerossina che non ad un rappresentante del governo degli Stati Uniti in visita ufficiale. Nel dicembre del 2013, alla convention della U.S. Ukraine Foundation, ha spiegato senza mezzi termini che la strategia americana era quella di portare l’Ucraina nell’orbita occidentale secondo gli step concordati con il Fondo Monetario Internazionale; e che, per fare questo, gli Stati Uniti avevano investito oltre 5 miliardi di dollari. Se c’era un modo per smascherare l’ingerenza Usa in quell’area, lei c’è riuscita perfettamente.

La Nuland è la moglie di Robert Kagan uno dei più agguerriti intellettuali neo-con americani, teorico di punta di quel “Progetto per il Nuovo Secolo Americano” che fu la base della politica estera di Bush.

Dalla parte opposta, Henry Kissinger si innalza ancora come il maestro di quel “realismo politico” con cui guidò l’America fuori dalla palude del Vietnam, attraversò la crisi dello Yom Kippur e diede vita al processo di distensione con la Cina. Sul Washington Post ha spiegato che il criterio di ogni crisi politica non è come essa inizia ma come finisce e ha avvertito: “nella mia vita ho visto 4 guerre cominciare con grande entusiasmo e sostegno pubblico, alle quali non sapemmo come porre fine e da tre ci ritirammo unilateralmente”. Per Kissinger è un errore pensare di portare forzatamente l’Ucraina nell’orbita occidentale perché per la Russia, “essa non potrà mai essere solo un paese straniero”. Occorre quindi che gli Stati Uniti evitino l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, promuovano un referendum sulla Crimea sotto controllo internazionale e smettano di schierarsi con una delle parti (come stanno facendo ora) ma lavorino seriamente per consentire la riconciliazione all’interno del Paese tra la parte filo-russa e quella filo-occidentale; e soprattutto ricorda all’Occidente che la demonizzazione di Putin “non è politica ma una scusa per l’assenza di essa”.

La Nuland e Kissinger sono due diverse visioni della politica estera americana: l’America che non riesce a capire che il mondo è cambiato negli ultimi 15 anni e l’America che non ha mai smesso di provare a capirlo. L’America che pensa ancora di essere nel contesto monopolare post Guerra Fredda, unica potenza militare ed economica e l’America che capisce il mondo multipolare e le nuove emergenze strategiche.

Obama non sa scegliere tra queste due visioni e questo spiega il fallimento in Libia e il dietrofront umiliante in Siria. Ma l’America non può continuare a rimandare la decisione di quale dev’essere oggi il suo ruolo nel mondo perché, come ricorda Kissinger: “la politica estera è l’arte di definire le priorità”.

 

Giampaolo Rossi

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