
Russia rossa
Stalin riemerge dal sottosuolo: la statua nella metro di Mosca. E Putin rispolvera il culto del comunismo
Intanto in Brasile la polizia smaschera una rete di spie russe camuffate da imprenditori: Mosca esporta agenti segreti insieme al diesel: lo zar vuole ritornare ai tempi dell'Unione Sovietica e del Kgb
A Mosca il passato non si archivia: si spolvera. L’ultima trovata: una statua marmorea di Stalin, collocata nella stazione Taganskaya il 9 maggio, Giornata della Vittoria, sotto lo sguardo complice di Xi Jinping e Luiz Inácio Lula da Silva. Omaggio chiaro nella forma, ma opaco nel senso, all’uomo che perfino l’Urss aveva cercato di seppellire con la destalinizzazione. Memorie del sottosuolo, stavolta, non è solo un libro di Fëdor Dostoevskij.
Stalin nella metro di Mosca: il culto del comunismo torna in superficie
Attenzione però, non è la prima, e non sarà l’ultima. Più di cento nuovi monumenti a Stalin sono spuntati qua e là in Russia, spesso per volontà popolare, come se gli abitanti di villaggi sperduti avessero ritrovato improvvisamente il gusto per il totalitarismo domestico. Dal busto all’altare, il passo è breve, e la Russia putiniana ha scelto di imbalsamare la storia nella nostalgia.
La riscrittura scolastica del Terrore
Nei manuali scolastici distribuiti negli ultimi dieci anni, Stalin non è più il boia di casa, ma l’eroe della Grande guerra patriottica. La repressione? Una nota a piè di pagina, facoltativa. La narrativa ufficiale si avvita attorno alla formula del “duro ma giusto”, utile soprattutto a chi vuole rivendersi come il successore più capace: Vladimir Vladimirovič, naturalmente.
Basti pensare che, in occasione della parata della Vittoria, Volgograd ha temporaneamente ripreso il nome di Stalingrado per tre giorni. Persino l’aeroporto si è prestato alla messinscena toponomastica: “Stalingrad International”, per chi desiderasse atterrare direttamente nel 1943. Dove un tempo si parlava quindi della “Battaglia sul Volga”, oggi sopravvive solo l’epopea comunista.
Gadget e meme del dittatore comunista: la rivoluzione in saldo
Nei chioschi della capitale, inoltre, si vendono busti, calendari, tazze e cartoline con Stalin in posa trionfale. Sui telefonini spuntano meme in cui il compagno baffuto fa battute sull’Occidente, come un influencer vintage. La storia si riscrive anche con i filtri di Instagram. Ma dietro l’ironia da souvenir, cova un culto inquietante.
Secondo uno studio citato dal Moscow Times, nel 2023 il 63% dei russi aveva una visione positiva di Stalin. Tra i giovani dai 18 ai 24 anni, la percentuale si attestava al 48%. La metà di una generazione che guarda al passato con indulgenza, forse perché non ha mai potuto conoscerlo davvero.
Putin, lo stalinista asettico
Putin parla di Stalin come di un esempio di «leadership saggia”. Ne elogia il pragmatismo, la capacità di spedire milioni di uomini al massacro per la salvezza del Paese. Ma dell’oppressione, neanche l’ombra. “Ricorderemo, ma in modo asettico”, ha dichiarato il presidente russo. Senza nomi, né date, né luoghi.
A chi gli chiede conto dei crimini, risponde con la logica del risultato: la vittoria. Lo zar ha deciso che la storia non serve a capire il presente, ma a giustificarlo. E se il presente assomiglia sempre più agli anni Quaranta, tanto meglio: basta solo trovare il giusto numero di statue.
L’altra faccia della nostalgia: la fabbrica di spie
Ma non è solo a Mosca che si rievocano i fasti dell’impero. Il New York Times ha raccontato la “fabbrica di spie” che il Cremlino ha impiantato in Brasile. Obiettivo: diventare brasiliani. Non per abbracciare la samba, ma per infilarsi con documenti nuovi nel tessuto democratico occidentale. Si chiamano “illegals”, e vengono sradicati, de-russificati, addestrati alla normalità, pronti a entrare in azione, altrove, da cittadini modelli.
La Polizia federale brasiliana indaga dal 2022 con l’“Operazione oriente”. Nove spie sono già state smascherate. E mentre gli investigatori brasiliani lavorano sotto traccia, Lula si siede in tribuna d’onore accanto a Putin. Non è una coincidenza: come ricorda Il Foglio, nel 2024, il 63,6% del diesel importato dal Brasile arriva da Mosca. Il Cremlino esporta energia, memoria selettiva e alleati compiacenti. E mentre a Pechino Lula stringe mani a Xi, a Mosca batte le mani ai carrarmati che marciano come se il tempo si fosse fermato.