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assassinio Sergio Ramelli

Il libro di Nicola Rao

L’assassinio di Sergio Ramelli e la teoria rossa della “violenza giusta”: i cattivi maestri della sinistra in cattedra da 50 anni

Nel volume "Il tempo delle chiavi" l'autore ripercorre storia e analisi di quel brutale omicidio e della "cultura politica" da cui i guru rossi, rettori, prof o intellettuali che siano, insistono a non liberarsi. Ieri come oggi

Politica - di Carmelo Briguglio - 4 Marzo 2025 alle 12:09

Leggendo il bel libro di Nicola Rao sull’assassinio di Sergio Ramelli (1975) e su quella stagione di intolleranza (“Il tempo delle chiavi”, Piemme, Milano, 2024) bisogna fare uno sforzo notevole per andare oltre il dolore degli avvenimenti; e andare al di là del semplice ricordo, persino oltre la vita e la morte di un ragazzo di destra, militante del Fronte della gioventù missino: pulito, non violento, prima condannato a non studiare, perché cacciato da scuola. Poi ammazzato a colpi di chiave inglese; “alla fine del 1971 scoprimmo era un’arma molto comoda e funzionale”, confessa un protagonista di allora (pag 25). Funzionale ad uccidere.

Il libro di Rao sull’assassinio di Ramelli

Ma nel lucido e documentato “racconto della chiave” di Rao – su questo desidero ragionare – ci sono chiavi di lettura per il discorso pubblico di oggi? Ci sono lezioni utili per la cultura politica e la praxis della destra contemporanea? Si, ci sono. La prima é la responsabilità degli intellettuali nel “modellare” il male. Ieri e oggi. Il Cattivo Maestro é una sagoma paternale, figurale e concreta nello stesso tempo, del mondo progressista; non tramonta. Ascoltate per tutti le parole di allora di Ludovico Geymonat, filosofo e accademico eminente: «A proposito della violenza, c’è chi dice: “Io sono contro tutte le forme di violenza”. Ecco, io no. Io non sono contro tutte le forme di violenza. Ho fatto il partigiano e ho esercitato violenza, ma credo che l’importante sia distinguere tra la violenza giusta e quella ingiusta. E cosa vuol dire quella giusta? Vuol dire quella rivolta verso il progresso. Questo é il punto fondamentale» (pagg. 151-152).

La “cultura” politica della “violenza giusta” sostenuta dai cattivi maestri della sinistra

L’eco del lessico cruento di allora lo ritroviamo in tanti interventi e dichiarazioni di rettori, professori, intellò e artisti della rive gauche. I nomi li trovate nei sottopancia di tanti ospiti dei talk-show televisivi. É un “male oscuro” del quale la sinistra non si libera. La eccita a guardare indietro, all’inesistente “fascismo eterno” coniato da Eco; e alimentato dalla dottrina dei Canfora, Montanari, Scurati. E che porta dritto al Nemico che bisogna fermare. Ad ogni costo. Quanti sono i giovani che in scuole e università – alcune delle quali sono diventate palestre attive di fanatismo – interpretano questo ammaestramento secondo le modalità più estreme?

L’assassinio di Sergio Ramelli, una chiave di lettura di ieri e di oggi

La seconda notazione riguarda invece il ceto politico gauchista di allora, a cominciare dal Pci: fu spesso responsabile, si spese contro il clima di contrapposizione violenta, contrastò la caccia fisica al “fascista” che cresceva alla sua sinistra; anche per motivi di spazio politico, certo, ma va detto: é giusto registrarlo. Fu “storica” la lezione, ricordata nel libro (pag.153) di Miriam Mafai, giornalista, intellettuale comunista, presidente della Federazione della Stampa, tra i fondatori di Repubblica con Eugenio Scalfari, direttamente a Mario Capanna, in un convegno che si tenne dieci anni dopo i fatti di Milano: «Sei un affabulatore. Cerchi di piegare storia e cronaca alle tue convinzioni. Il ’68 è stato un grande movimento, ma c’era anche molta paranoia e molta intolleranza. Gli scontri davanti alle fabbriche erano cosa ben diversa dall’aggressione a freddo a Ramelli. Ramelli non è stato un errore, ma un delitto».

Le eccezioni di Miriam Mafai e Claudio Petruccioli

E, sulla stessa linea, furono le parole chiare e ferme – le ricordo a onor suo, visto che é tuttora in mezzo a noi – di Claudio Petruccioli, deputato e dirigente di lungo corso comunista e post, successivamente anche presidente della Rai: «Gli aggressori di Ramelli sono stati arrestati non perché antifascisti, ma perché hanno compiuto un gesto criminale. Dunque sì alle spiegazioni e no alle giustificazioni». Nel polo progressista di oggi, non vedo eredi di quella classe dirigente, di quella statura politica e fattura umana; di quella capacità critica. Il “popolo della sinistra” – anche rispetto alla stagione delle leadership di D’Alema e Veltroni che vennero dopo le vicende narrate nel volume – é sospinto, da chi lo guida oggi, in un passato che per loro non “deve” passare, in una fabbrica permanente di odio ideologico, mascherato da antifascismo in assenza di fascismo. Purtroppo. lo scadimento del livello delle leadership ha anche questi effetti.

Lontana dall’estremismo: il depositum fidei della destra italiana

La terza annotazione riguarda la destra italiana nel suo percorso dentro la storia della Repubblica. Ed é una lezione di storia politica. La destra missina – spesso lo si omette, per ignoranza o calcolo – era parlamentare e costituzionale: non soltanto non aveva nulla a che fare con estremisti, sanbambilini ed extraparlamentari – anzi veniva additata da questi come luogo politico di “traditori” – ma costituì un argine alto, un’area protetta, una cittadella di teoria e prassi democratiche, che frenò e impedì la deriva violenta di tanti ragazzi. Il partito fu la loro salvezza. Ma il Msi pagò un prezzo terribile in termini di assassinati incolpevoli: di corpi, di anime, di famiglie distrutte dal dolore.

Sergio Ramelli, una storia e un simbolo lungo mezzo secolo

Scrive Rao: «Le Br, ma non solo loro, tutti i gruppi della sinistra estrema e anche molti militanti del Partito Comunista, per molti anni non hanno mai capito o voluto capire quanto fosse profondamente sbagliato non distinguere tra fascisti legati ai servizi, provocatori, stragisti, da una parte, e semplici militanti o addirittura simpatizzanti missini, dall’altra, come le due vittime di Via Zabarella, ma anche come molte giovani vittime dei cucchini e, in alcuni casi, di aggressioni ben peggiori» (pag 60). Tra esse svetta quella simbolica, candida di Sergio Ramelli. Questa separatezza marcata da mondi, aree, movimenti “extra”, é un “depositum fidei” che la destra meloniana si porta dietro: una costante che conserva. Ecco perché la fine innocente di Sergio Ramelli, dopo tanti anni – é trascorso mezzo secolo – illumina ancora la rive droite. Il libro di Rao é da leggere anche per questo.

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di Carmelo Briguglio - 4 Marzo 2025