Ecr, non solo politica. A passeggio tra le pietre di Ragusa, a bordo del galeone che solca la costa dalmata
Non solo i dossier caldi dell’agenda europea con i riflettori puntati su famiglia e natalità alla due giorni di Ecr che si è appena conclusa a Dubrovnik in Croazia. Confronti serrati tra delegazioni internazionali, video emozionali, cornice mozzafiato a picco sul mare, ma anche momenti ludici e goliardici. “Perché la dimensione comunitaria e i rapporti umani sono la stella polare di questi meeting”, spiegano le organizzatrici del Congresso della Famiglia promosso da Antonio Giordano, segretario generale dell’Ecr Party, alle prese con interpreti, cartelline, accrediti e gadget.
Ecr a Dubrovnik: politica e non solo
La scaletta spazia dai panel politici al boat tour tra le acque che lambiscono la frastagliata costa dalmata al ‘viaggio’ notturno dentro le mura dell’antica Ragusa con una guida d’eccezione: Roberto Menia, senatore di Fratelli d’Italia, triestino doc, sangue istriano nelle vene. Chi arriva in navetta, chi con il bus, chi, tra gli under 30, fa la colletta per il taxi e dal centro congressi, dove si è appena concluso l’ultimo dibattito della giornata inaugurale, si arriva alla spicciolata a Porta Pile che conduce alla gemma dell’Adriatico. Menia fa da apripista e porta la ‘comitiva’ (tanti giovani universitari insieme al vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, alla senatrice Lavinia Mennuni, ai deputati Ylenja Lucaselli e Luca Sbardella) alla scoperta della città incastonata dalle antiche mura, patrimonio mondiale dell’Unesco, all’ombra del castello che svetta sotto un cielo ormai buio. Senti aria di Venezia e di Firenze mentre percorri lo Stradon, la via centrale lastricata di pietre bianche e lucidissime.
Alla scoperta dell’antica Ragusa con Roberto Menia
“Oggi la chiamano Dubrovnik ma lei è Ragusa di Dalmazia, cercatela nelle mappe dei secoli scorsi e la troverete con il nome di Ragusi, Rausa, Ragyugia… “dice Menia, con gli occhi commossi per un oblio che sembra irrimediabile. Adagiata su un mare cobalto, cinta da torri e bastioni, Ragusa, con il motto “Libertas” nella bandiera, era la quinta repubblica marinara italiana. E L’italianità si respira a ogni angolo. “Orgogliosa della sua libertà non volle mai sottomettersi a Venezia e raggiunse il suo apogeo tra il 15esimo e il 16esimo secolo forte dei suoi commerci e di una potente flotta”. Niente di erudito e accademico nel racconto di Menia, voce bassa come davanti a un immaginario caminetto, mentre si annusano qua e là le chicche di Dubrovnik-Ragusa. Il palazzo Sponza, la Torre dell’Orologio e più avanti il Palazzo del Rettore. Poi la cattedrale dell’Assunzione di Maria, stile barocco romano. In molti non sono riusciti a cenare, ma aspettano, rifugiandosi in qualche sigaretta di troppo. Qui anche le pietre parlano italiano, come recita una canzone di musica alternativa, ma nelle guide ufficiali “purtroppo” non c’è traccia di quel passato.
Anche le pietre parlano italiano
Dubrovnik, spiega Menia, non è mai esistita come Repubblica, era un villaggio fuori dalle mura concesso dai ragusei ai Dubrovi (uomini del bosco) per ripararsi dai turchi. “La libera e sovrana Repubblica di Ragusa sopravvisse a Venezia ma venne soppressa dai francesi nel 1808 per poi essere assegnata all’Austria nel 1815. Solo alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918,venne annessa al neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e cambiò il suo nome”. Si scherza su Marco Polo diventato Marko, con il K, “il più grande esploratore croato”. Poi di corsa verso la scalinata che si inerpica verso la cittadella dei Gesuiti, con la chiesa di Sant’Ignazio. Eccola, in miniatura la scalinata di Trinità dei Monti a Roma. E immancabile scatta il selfie: seduti i più alti, in piedi le seconde fila modello squadra di calcio. Da qui i più giovani e meno assonnati continuano il viaggio nei locali dei vicoletti per una birra o un calice di rosso.
Solcando il mare della Dalmazia a bordo di un galeone
Il giorno dopo un’altra avventura con la trasferta in mare a bordo di un antico galeone, il Tirena, che bordeggia la costa dalmata. Musica italiana dalle casse, timone d’epoca nelle mani di un sornione capitano croato. Il mare non è dei più tranquilli e si fa sentire, anche il vento fa la sua parte. Chi sale in cima a poppa balla mentre la prua cavalca l’onda e le bottiglie rotolano lungo la coperta. “Ragazzi, si mangia a bordo, è tutto compreso”. La play list è opera di Emanuele di Lecco ma è molto apprezzata anche dalla delegazione tedesca e léttone. Gloria di Umberto Tozzi, a Mano a mano e Il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano, Albachiara ma anche O sole mio per i più attempati. Prima di approdare al Porto Vecchio, sotto un cielo che minaccia pioggia, l’Inno di Mameli cantato a squarciagola.
Nessun torcicollo, nessuna smania di irredentismo
Tante emozioni che si rincorrono ma nessun torcicollo, nessuna smania di restaurazione né irredentismi postumi. L’Europa può essere la chiave di una riconciliazione, graduale, tra Italia e Croazia, il motore per la ripresa di scambi culturali, politici ed economici. Per lasciare costruire alla cultura e alla verità storica quello che guerra e atrocità hanno distrutto: l’armonia tra popoli che da secoli si guardano nello stesso specchio di Adriatico. Qui Dubrovnik, Ragusa, Europa.