Simonetta Cesaroni, per i carabinieri il killer è Mario Vanacore, figlio del portiere. Ma la procura chiede l’archiviazione

5 Gen 2024 19:34 - di Redazione

Il presunto assassino di Simonetta Cesaroni sarebbe Mario Vanacore, il figlio del portiere del palazzo di via Poma a Roma in cui è stata trovata morta il 7 agosto del 1990. A riportarlo è La Repubblica in un’esclusiva.  È questo lo scenario messo nero su bianco dai carabinieri di piazzale Clodio che negli ultimi due anni hanno indagato sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, ventenne segretaria uccisa con 29 coltellate il 7 agosto 1990 a Roma. Uno scenario inedito. La famiglia Vanacore di nuovo al centro di uno dei misteri più fitti delle cronach italiane. Sarebbe Mario, il figlio del portiere Pietrino, ad essere il responsabile della morte di Simonetta Cesaroni.

L’esclusiva di “Repubblica”: il killer di Simonetta è Mario Vanacore

La pm Gianfederica Dito, magistrato tra i più esperti della procura di Roma, ha chiesto l’archiviazione perché la ricostruzione fornita dagli investigatori è “fondata su una serie di ipotesi e suggestioni che in assenza di elementi concreti di natura quantomeno indiziaria, non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato”, leggiamo su Repubblica-. “È perciò opportuno sottolineare come la procura sia arrivata ad una conclusione netta: ovvero non c’è ad oggi una prova che possa attribuire la responsabilità penale dell’omicidio di Simonetta Cesaroni in capo a Mario Vanacore. La nuova inchiesta era nata da un esposto della famiglia Cesaroni rappresentata dagli avvocati Federica Mondani e Giuseppe Falvo.

La ricostruzione dei carabinieri

La ricostruzione dei carabinieri, riportata da Repubblica, è la seguente: il giorno del delitto, Simonetta aveva raggiunto via Poma nel primo pomeriggio: da circa due mesi lavorava come segretaria contabile per l’ufficio degli Ostelli della gioventù. Al momento del suo arrivo, la portineria era vuota: Pietrino era uscito per la terapia utile a curare il suo mal di schiena. Qualche ora più tardi, però, sarebbe arrivato Mario: avrebbe avuto l’abitudine di recarsi presso gli uffici vuoti con l’obiettivo di effettuare gratuitamente delle telefonate interurbane a Torino, Cantù, utilizzando le chiavi del padre o della matrigna. All’epoca infatti Mario viveva nel capoluogo piemontese: era venuto a Roma quel giorno insieme alla moglie e alla figlia di due anni per fare visita al padre.

A quel punto, la tragedia. Perché, secondo i carabinieri, Mario Vanacore si sarebbe trovato «davanti inaspettatamente Simonetta Cesaroni. E a quel punto, intenzionato ad abusare della ragazza sola, verosimilmente sotto minaccia, la costringe ad andare nella stanza del direttore» dell’ufficio. Ovvero il luogo dove venne ritrovato il cadavere. Simonetta avrebbe provato a ribellarsi, afferrando «quella che sarà l’arma del delitto – impugnandola perché era alla sua portata o sottraendola momentaneamente all’uomo».

Il depistaggio

La ricostruzione fornita da Repubblica prosegue: con quell’arma l’avrebbe colpito, scatenando la furiosa reazione dell’uomo: «l’uomo reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra». Poi, i fendenti letali, sul corpo della ragazza supina, e la fuga. Ma nella fretta si sarebbe dimenticato qualcosa: l’agenda Lavazza che aveva portato al seguito per telefonare; che verrà poi rinvenuta e prelevata dagli agenti della Polizia di Stato insieme agli oggetti personali di Simonetta Cesaroni. Da quel momento però, secondo i carabinieri è iniziata una «fase volta a cancellare le tracce e ad ostacolare le indagini che ne sarebbero conseguite, alla quale partecipa certamente» Pietrino Vanacore. Gli indumenti e gli oggetti della vittima, sempre secondo questa ricostruzione, vengono portati via: non saranno mai più ritrovate.

Quando tre giorni dopo il delitto verrà arrestato Pietrino, sia lui che sua moglie Giuseppa De Luca «forniscono agli inquirenti la menzogna dell’uomo misterioso; asseritamente visto uscire proprio all’ora del delitto e con un involucro in mano, che avrebbe evidentemente dovuto contenere gli oggetti sottratti alla vittima». Una menzogna, secondo gli investigatori, funzionale a allontanare ogni sospetto. De Luca sosterrà anche (secondo questo scenario, mentendo) di aver già visto in via Poma Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta.

La replica di Mario Vanacore

Dal canto suo, Mario Vanacore replica alla ricostruzione: “L’unica volta che ho visto Simonetta Cesaroni era morta”. Lo afferma in un’intervista alla ‘Stampa’ l’uomo, oggi 64enne, titolare di una ditta a Torino. Lamenta che “ce l’hanno con la mia famiglia”, ipotizzando attacchi magari di “qualcuno che abbiamo anche querelato”. Vanacore spiega di avere presentato un esposto in primavera per “calunnia e diffamazione. Ero stanco di essere indicato come responsabile del delitto di via Poma”. Il figlio del portiere di via Poma afferma del 7 agosto 1990 di essere “arrivato a Roma per combinazione. Ed ero presente quando abbiamo trovato la ragazza”. Quanto all’orario dell’omicidio spiega che “con mio papà e la mia matrigna abbiamo pranzato e siamo andati a dormire. Ci siamo alzati verso le 17. Siamo andati in farmacia, dal tabaccaio, in altri luoghi”. Con il padre, aggiunge, “non è che siamo stati sempre insieme. Poi abbiamo cenato e lui è andato a dormire dal signor Valle, che era anziano”. Dopo “sono arrivati alcuni personaggi che hanno bussato alla porta e ci hanno chiesto se potevamo andare a cercare la ragazza in ufficio”, ed è seguita la scoperta del cadavere di Simonetta Cesaroni. Ma spiega, “non l’avevo mai vista prima”. Vanacore dice poi di credere a un possibile coinvolgimento dei servizi segreti ma senza fornire elementi a supporto. Quanrto alla sua agenda telefonica che risulterebbe tra gli oggetti ritrovati in quell’ufficio in realtà “apparteneva a mio padre. Fu ritrovata, dicono, dal papà di Simonetta fra gli effetti personali della figlia e restituita in questura. Stranamente – conclude – di quella agenda non c’è traccia fra i reperti. Scomparsa”.

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