Ustica, quello che Amato e compagni non dicono. Ma allora chi sono i veri depistatori?
5 Set 2023 13:09 - di Lando Chiarini
E se fossero proprio gli inossidabili cercatori di verità sulla tragedia di Ustica i veri depistatori? La domanda sorge spontanea dopo l’intervista rilasciata (e poi ritrattata) a Repubblica da un Giuliano Amato più in versione Capitan Fracassa che in quella consueta da “dottor Sottile” dei ruggenti anni craxiani. L’insistenza sulla tesi del missile finito per un tragico errore nella fusoliera del Dc-9 dell’Itavia che sorvolava il tratto di mare tra Ponza e Ustica mentre nei cieli del Mediterraneo infuriava una battaglia aerea tra Mirage francesi e Mig libici è, infatti, tanto suggestiva quanto sospetta. Innanzitutto perché non tiene in alcun conto la sentenza irrevocabile che ha assolto con formula piena quattro generali dell’Aeronautica accusati di alto tradimento per aver sostenuto che quella sera il velivolo più vicino distasse dal Dc-9 non meno di 50 miglia.
Ustica e Bologna: ora il nesso lo vede anche la sinistra
E qui bisogna intendersi: o le sentenze, specie se irrevocabili come in questo caso, si rispettano sempre o è lecito dubitarne. In quest’ultimo caso, però, il principio deve valere anche per la sentenza relativa alla strage di Bologna e non solo per quella emessa su Ustica. Il riferimento alla bomba scoppiata nella stazione di quella città il 2 agosto del 1980, appena 37 giorni dopo l’inabissamento del Dc-9, è puramente voluto perché tra le due mattanze esiste più di una connessione. Lo riconoscono persino due esponenti di sinistra come l’ex-ministro socialista Rino Formica e l’ex-presidente comunista della commissione Stragi Giovanni Pellgrino. Il primo dalle colonne di Domani, il secondo da quelle di Repubblica affermano che è interesse politico della destra avvalorare la tesi della bomba a bordo dell’aereo Itavia perché questo potrebbe illuminare di nuova luce le responsabilità sulla strage di Bologna.
La tesi del missile per salvare la «matrice fascista» della strage
Argomentazione logica, ma facilmente ribaltabile: la sinistra ha interesse a sostenere la tesi del missile per lasciare intonsa la «matrice fascista» della bomba alla stazione. Pari e patta. Solo che qui non giochiamo a rimpiattino. Non fosse altro perché di mezzo ci sono 161 morti (81 sull’aereo e 80 a Bologna), 200 feriti e i loro familiari che ancora invocano non una verità, ma la verità. Ragion per cui bisogna mettere da parte suggestioni, convenienze, tesi a effetto e ripartire dai fatti. Il primo, già ricordato, riguarda la sentenza che ha assolto i quattro generali dall’accusa di fellonia. Il secondo è la conclusione cui perviene, dopo aver analizzato la carcassa del Dc-9, il collegio peritale internazionale costituito da esperti di chiara fama (esclusi francesi e americani) e presieduto dal professor Aurelio Misiti.
Il finto mistero del Mig libico caduto sulla Sila
A detta di tale commissione, mai smentita, lo squarcio sul velivolo è infatti compatibile con un’esplosione interna (forse nella toilette) e non con quello di un corpo entrato dall’esterno. I missilisti obiettano che tale spiegazione non convince poiché la tavoletta del water è rimasta intatta. Obiezione giusta, ma solo se si potesse escludere con certezza che al momento dello scoppio non ci fosse stato seduto qualcuno. In ogni caso, in simulazioni successive, due volte su cinque, il risultato è stato identico. Terzo fatto: il Mig libico precipitato sulla Sila il 18 luglio del 1980, tre settimane dopo Ustica. Per i missilisti è l’indizio della fantomatica battaglia nei cieli smentita dalla sentenza. A loro dire, infatti, il Mig sarebbe caduto quella sera stessa, cioè il 27 giugno, e solo un depistaggio dei vertici militari avrebbe postdatato lo schianto al 18 del mese successivo.
Le amnesie del dottor Sottile sulla tragedia di Ustica
«Lessi – ha dichiarato in proposito Amato nell’intervistata a Repubblica – la perizia medica sul corpo dell’aviere libico ritrovato sui monti della Sila il 18 luglio del 1980, tre settimane dopo la tragedia del Dc-9: parlava espressamente di avanzato stato di putrefazione. Non poteva essere morto il giorno prima». Infatti – ma questo Amato non lo ricorda o, se lo ricorda, non lo dice – era morto cinque giorni prima. L’autopsia venne eseguita il 23 luglio dopo che il cadavere era stato tenuto in un cimitero a temperature estive e senza refrigerazione. Chi infatti certifica che l’aviere era morto il giorno dello schianto del suo Mig è il medico legale accorso subito dopo l’incidente.
Autopsia a rate sull’aviere libico
È vero, invece, che anni dopo i due medici che avevano effettuato l’autopsia, Anselmo Zurlo ed Erasmo Rondanelli, dissero di aver consegnato il giorno dopo alla Procura di Crotone un supplemento di perizia di una paginetta e mezza in cui, alla luce dell’«avanzatissimo (e non più «avanzato», ndr) stato di decomposizione» retrodatavano la morte del pilota a 15-20 giorni prima del giorno dell’incidente. Un vero gioco di prestigio che rendeva perfettamente compatibile la presenza del Mig con la tesi della battaglia nel cielo di Ustica con annesso missile francese. Peccato che quel supplemento non l’abbia mai visto nessuno. Gli stessi autori non ne possedevano copia né ricordavano a quale persona o ufficio l’avessero consegnata.
Relazioni pericolose
Un contesto kafkiano che indusse nel 1989 il giudice istruttore di Crotone Giovanni Staglianò a stroncare senza misericordia ma non senza ironia, la “pezza” postuma della paginetta e mezza di supplemento peritale. «Non resta – scrisse infatti il magistrato – che elogiare la capacità di sintesi dei due professori, che hanno saputo compendiare in un testo di poche righe elaborazioni scientifiche di indubbia caratura e ponderosità». Per la cronaca: nel medesimo atto Staglianò riferiva anche di conoscere la circostanza della vecchia amicizia che legava Zurlo all’amministratore di Itavia, Aldo Davanzali, il quale avrebbe avuto interesse a dimostrare che il DC-9 non era caduto, come pure si disse in un primo momento, per «cedimento strutturale». E così si torna al dubbio di partenza: chi sono, dunque, i veri depistatori?
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