Omicidio Sacchi, depositate le motivazioni dei giudici d’appello: «Ucciso intenzionalmente»

26 Set 2023 15:30 - di Francesca De Ambra
Sacchi

I giudici della Corte d’assise d’Appello di Roma hanno depositato le motivazioni della sentenza che il primo giugno scorso ha confermato la condanna a 27 anni di carcere per Valerio Del Grosso. I fatti incriminati risalgono alla notte tra il 23 e il 24 ottobre 2019, quando in zona Colli Albani, a Roma, Del Grosso freddò con un colpo di pistola il 24enne Luca Sacchi durante la compravendita di una partita di droga. Nel corso del processo la difesa, anche sulla scorta della versione riferita dall’imputato («il colpo è partito perché stavo mezzo scivolando e avevo come perso l’equilibrio mentre indietreggiavo guardando avanti e indietro »), aveva puntato tutto sull’accidentalità dell’evento.

Luca Sacchi fu ucciso a Roma nel 2019

Una tesi definita però dai giudici di secondo grado come «completamente destituita di fondamento».  Anche perché, spiegano, le espressioni usate dal diretto interessato «tradiscono la mancanza di convinzione nel sostenere tale narrazione». La stessa sentenza ha riconosciuto lo sconto di pena da 25 anni a 14 anni e 8 mesi per i pusher Paolo Pirino e Marcello De Propris. I due, secondo i giudici, rispondono dell’uccisione del giovane solo nella «forma attenuata» del concorso anomalo. La sentenza ricostruisce con precisione gli istanti che precedettero l’omicidio di Sacchi quella maledetta notte. Tutto nasce perché Pirino e Del Grosso invece di consegnare la droga decidono di rapinare gli acquirenti aggredendo la fidanzata di Luca, Anastasiya Kylemnyk.

Il depistaggio della fidanzata

Il primo armato di bastone e il suo complice, il presunto assassino, della pistola fornitagli da De Propris per compiere la rapina. Il ruolo della ragazza, che aveva interposto appello contro la condanna a 3 anni per i soli fatti di droga, subisce una severa censura da parte dei giudici. «La sua doglianza non è fondata», scrivono. E non solo perché aveva acquistato ben 15 kg di marijuana, ma soprattutto per il comportamento tenuto successivamente all’omicidio del fidanzato e bollato in sentenza come «tutt’altro che commendevole». La ragazza, infatti, non si sarebbe limitata a mentire (diritto riconosciuto all’indagato), ma avrebbe  messo in atto un vero e proprio depistaggio. «Con le sue menzogne – concludono i giudici – ha rischiato anche di pregiudicare le indagini concernenti l’omicidio del fidanzato».

 

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