Starace (associazione Coscioni) al Secolo: “Troppe perizie psichiatriche per i delinquenti”

31 Ago 2023 10:05 - di Redazione
Starace

Fabrizio Starace, psichiatra e segretario dell’associazione Luca Corcioni, interviene con un’intervista al Secolo nel dibattito sulle contestate infermità e seminfermità mentali a criminali di ogni genere.

 C’è la questione della imputabilità e dei cosiddetti antisociali. Sicuro che non siano solo delinquenti?

Potrei intrattenerla con una lunga disquisizione sui diversi approcci che la psichiatria ha usato nel corso degli anni per descrivere e diagnosticare quelli che oggi chiamiamo disturbi di personalità (DP), ma sarò lapidario: sono fermamente convinto che le persone con DP antisociale che commettono un reato siano pienamente imputabili e che, anzi, la pan-psichiatrizzazione dei comportamenti delinquenziali (oggi non c’è avvocato che non chieda una perizia…) costituisca un danno per la società, per le vittime e per gli stessi autori di reato.

 Su tanti femminicidi pesa l’ombra delle dichiarazioni di infermità e seminfermità. La psichiatria non dovrebbe rivedere il concetto di nosologia sui disturbi di personalità?

La psichiatria dovrebbe a mio avviso rivedere molti aspetti della “bulimia diagnostica” che l’ha attraversata in questi ultimi decenni, a partire dalla diffusione del Manuale Statistico Diagnostico (DSM) americano. Il coordinatore del DSM IV, Allen Frances, ha pubblicato numerosi articoli critici su questo fenomeno, parlando esplicitamente di “Torre di Babele” e dei forti interessi economici che hanno determinato l’esplosione diagnostica e la conseguente medicalizzazione di massa. La soggezione culturale con cui anche in Italia viene comunemente adottato il lessico del manuale americano non rende merito alla grande tradizione psicopatologica, psicodinamica e fenomenologica che ha caratterizzato il nostro Paese. Nel caso dei DP, siamo di fronte a un tipico esempio di contenitore omnicomprensivo dove vengono collocate tutte le alterazioni della vita psichica che non corrispondono a un disturbo ben definito. A seconda della maggiore o minore sensibilità, formazione e competenza del clinico chiunque può vedersi assegnata una diagnosi, come accade ormai quotidianamente nella comunicazione di massa. Il caso del DP antisociale, inoltre, è un tipico esempio di definizione tautologica, circolare, in cui l’inosservanza delle norme, i comportamenti illegali sono il principale criterio diagnostico.

 Il grande criminologo Francesco Bruno sosteneva di “conoscere il disturbo di personalità da cui era affetto”. Non si può evidenziare che avere un disturbo psichiatrico non significa essere “folli”?

Nel senso comune vi è una notevole ambiguità del termine “follia”, che si presta ad un uso disinvolto, spesso come sinonimo di disturbo psichiatrico. Dovremmo invece stare molto attenti a qualificare come disturbo psichiatrico un comportamento strano o incomprensibile, specie se violento, come si fa spesso – purtroppo – anche nel linguaggio giornalistico: rischiamo da un lato di fare un torto alle tante persone che vivono condizioni di reale sofferenza psichica, dall’altro di indurre un atteggiamento “assolutorio” e deresponsabilizzante nei confronti di chi si comporta male. Quando un’azione, un comportamento, il mancato rispetto di una norma costituisce un reato, io credo invece vada sempre riconosciuta la responsabilità del soggetto, indipendentemente dalla reale o presunta presenza di un problema psichico.

Che ne pensa della discriminante psicotica per gli articoli 88 e 89 del codice penale?

Apprezzo il tentativo di arginare con l’introduzione della c.d. “discriminante psicotica” (ossia la presenza di gravi sintomi psichiatrici), il largo uso che si fa degli artt. 88 e 89 del C.P. sulla parziale o totale infermità di mente e di conseguenza della non imputabilità. Sono tuttavia convinto che il giorno dopo l’eventuale approvazione di questa proposta ci troveremo di fronte a un “inspiegabile” aumento dei casi in cui sarà rilevata la c.d. discriminante. Questo perché la valutazione peritale riferita al passato, al momento del reato, non ha elementi di oggettività su cui fondarsi: non è infrequente che sullo stesso caso due o più periti giungano a conclusioni molto diverse. A mio parere, l’unica riforma in grado di modificare l’attuale stato delle cose è quella che sarà in grado di abrogare il concetto di parziale o totale non imputabilità per infermità mentale, collocando la malattia mentale sullo stesso piano delle malattie fisiche. Al sistema giudiziario, in stretta e paritaria collaborazione con il sistema della salute mentale, spetterà poi di individuare le modalità più appropriate per realizzare le finalità retributive e rieducative dell’esecuzione penale. Naturalmente questo richiede un perfetto e coerente funzionamento del sistema giudiziario e del sistema di cura per la salute mentale, funzionali al rispetto dei diritti e alla sicurezza sociale. Ma questo è un altro discorso.

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