Schlein e compagni seguono la tattica dello struzzo: forse non sanno nemmeno chi sia de Gaulle
È disarmante il semplicismo con cui gran parte dell’opposizione all’attuale governo di centrodestra ha affrontato l’incontro sulle riforme costituzionali, promosso dalla premier Giorgia Meloni: qualche battuta o poco più, rifiuto del presidenzialismo e del premierato (“formule – ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein – che indebolirebbero il Parlamento”), un richiamo formale a lavoro e sanità, considerate autentiche priorità nazionali. È la tattica dello struzzo: nascondere la testa per non vedere la realtà di un Paese costretto – da sempre – a fare i conti con le croniche crisi di governo e con i costi ad esse collegate.
La tattica dello struzzo per fingere di non capire
I numeri parlano chiari. Dal 1946 ad oggi, in Italia si sono alternati 67 governi, guidati da 30 presidenti del Consiglio diversi. In media, i governi italiani rimangono in carica per 414 giorni, meno di un anno e due mesi, e governano effettivamente per 380 giorni, poco più di un anno. Secondo quanto documentato da Accademia Politica, un’associazione di studenti dell’Università Bocconi, le cui analisi sono state riprese dal Sole24Ore, ad ogni crisi di governo quando cambiano i 23 ministri cadono infatti anche le persone chiave che ciascuno di loro aveva scelto, una squadra di circa 50 persone (capo gabinetto, capo dipartimento, capo legislativo, capo segreteria tecnica, tutti i vice ed i funzionari). Con un passaggio di consegne che riguarda in pratica oltre mille persone e, considerando che gli incarichi raramente coincidono con competenze specifiche, tutto quello che non è ordinaria amministrazione si paralizza. Si bloccano quindi appalti, decreti attuativi ed infine leggi e accordi in corso.
Debito chiama debito
A ciò si aggiungano le problematiche legate allo spread, termometro della fiducia nell’economia italiana: tanto più è alto tanto più la nostra economia è considerata rischiosa. Il differenziale è ovviamente influenzato dall’instabilità politica e dalla litigiosità di un governo. Le conseguenze, tra le altre, sono interessi maggiori e quindi indebitamenti ulteriori. Debito chiama debito. Ulteriore, cruciale fattore legato all’instabilità politica l’impossibilità di costruire una direzione di marcia e rafforzare le relazioni con altri Paesi. Senza continuità è infatti più difficile incidere sugli scenari internazionali. Non è perciò vero – come dice qualcuno (passateci la sintesi ad effetto) – che “il presidenzialismo non si mangia” e che altre, di ordine economico e sociale, sono le priorità su cui intervenire.
La lezione di Charles de Gaulle
Charles de Gaulle, che di queste “cose” se ne intendeva, ha scritto, nel capitolo dedicato all’economia delle Memorie della speranza (1970) : “La politica e l’economia sono legate l’una all’altra come l’azione e la vita. Se l’opera nazionale che sto iniziando esige l’adesione degli animi, implica evidentemente che il Paese abbia i mezzi per la sua realizzazione”. L’intuizione è di stretta attualità in un’Italia che sembra voglia finalmente affrontare il nodo delle proprie, storiche debolezze istituzionali. E lo è ancora di più allorché si sappia correttamente individuare, tra gli argini della politica e dell’economia, la “via diritta” lungo la quale avviare la tanto attesa stagione delle riforme “di sistema”.
Quelle intuizioni a cavallo tra gli anni ’50 e ’60
De Gaulle lo aveva intuito e correttamente incarnato a cavallo tra Anni Cinquanta ed Anni Sessanta del Novecento, quando, con la Quinta Repubblica, aveva risolto le questioni “epocali” della governabilità, della crisi algerina, della recessione economica, attraverso un’audace riforma delle istituzioni in senso presidenzialista. La sua non fu solo un’opera di ingegneria costituzionale. Fu evidentemente qualcosa di più, allorché nell’affrontare e risolvere, in Francia, i tanti problemi contingenti, lasciati sul campo dalla rissosità partitocratica, egli riuscì anche a creare un clima di fiducia intorno alle istituzioni rinnovate, con una conseguente “espansione nella stabilità” dell’economia e del tenore di vita dei suoi cittadini.
L’ultima grande riforma costituzionale
A sessant’anni di distanza da quella che può essere considerata come l’ultima, grande riforma costituzionale realizzata in Europa, non è superfluo ricordare l’esperienza d’Oltralpe a chi pensa di risolvere tutto nella battuta, troppo semplicistica, che ci sono cose più importanti della riforma costituzionale. Politica ed economia, riforma del sistema della rappresentanza e riforma “di sistema”, nel senso di grande modernizzazione nazionale: qui si gioca il confronto intorno alla crisi italiana, non slegando il dato politico (le riforme istituzionali) da un contesto più vasto, ma coniugandolo con quello economico-sociale.
De Gaulle aveva capito…
È infatti a dir poco meccanicistico pensare di risolvere i problemi economico-sociali non considerando il quadro complessivo entro cui essi si collocano e non mettendo le istituzioni in grado di rispondere alle attuali emergenze e alle sfide che attendono il sistema-Paese. Una questione comprende l’altra. De Gaulle l’aveva capito agli inizi degli Anni Sessanta del ‘900, innescando con la sua riforma costituzionale un processo di modernizzazione e di protagonismo internazionale del suo Paese. In una fase cruciale qual è quella attuale, fare tesoro di quell’esperienza può essere utile anche all’Italia. Se non ora, quando ?