Migranti, Humanity 1 si lamenta del porto di Ravenna: “Troppo lontano”. E minaccia: “Denunciamo l’Italia”
Sulla gestione dei flussi di migranti le Ong proprio non ci vogliono stare: l’idea di rispettare limiti e regole proprio non gli va giù. E con la scusa che provvedimenti e disposizioni inficerebbero la loro attività di soccorso, continuano a scalpitare. Di più: a pretendere assegnazioni di porti a loro piacimento. L’ultimo caso risale a poche ore fa, con l’indicazione dell’approdo di Ravenna come punto di sbarco: una soluzione che non piace alla Ong di Humanity 1 che, insieme a Sea Eye, minaccia di denunciare l’Italia se non riconsidererà la decisione e non disporrà una destinazione più vicina.
Migranti, le Ong insistono a pretendere di scegliersi i porti di sbarco
A chiederlo, con una certa veemenza, al Centro di coordinamento del soccorso italiano, è stato il comandante della nave, il quale si è detto «profondamente preoccupato per il benessere fisico e psicologico dei sopravvissuti» a bordo. L’Humanity 1 ieri ha tratto in salvo 69 persone, tra cui più di 15 minori non accompagnati, mentre erano su un gommone sovraffollato in acque internazionali al largo della costa libica. Un messaggio che ha una doppia chiave di lettura. La prima: quella che innesca l’abusato meccanismo che dipinge tutti i migranti come sopravvissuti e naufraghi. E che prescinde assolutamente dalla considerazione del fatto che si tratta di persone che scelgono — e pagano profumatamente per questo – di mettersi nelle mani di trafficanti di essere umani, consapevoli di salire a bordo di queste imbarcazioni precarie. E consapevoli comunque dei rischi e, soprattutto, della presenza delle navi Ong pronte a recuperarli.
La Humanity 1 contesta l’approdo di Ravenna assegnato dal governo italiano
La seconda: quella che ricalca il solito copione delle Ong del disconoscimento delle autorità italiane e della loro voce in capitolo in materia di soccorsi e sbarchi. Come al solito, insomma, le organizzazioni non governative vorrebbero operare senza sottostare alle leggi specifiche del Paese verso cui si indirizzano. E che – con l’esclusione di Malta, di cui incassano regolarmente sonori silenzi e immancabili no – accusano l’Italia di violare il diritto internazionale. Oltretutto, delirando su fantomatiche interpretazioni di leggi e decreti che esigono di declinare o trasgredire a loro scelta. Sempre in virtù della pretesa di un lasciapassare valido per ogni loro desiderio.
Ong, la solita narrazione dei soccorsi ai migranti per non sottostare a norme e divieti
Una finta leva umanitaria, quella evocata dalle Ong, che fa perno su una narrazione ormai obsoleta. E che, sul nuovo soccorso nel Mediterraneo centrale dei 69 migranti, non manca di sottolineare che «nessuna delle persone a bordo indossava giubbotti di salvataggio». Che «il carburante a bordo era esaurito». Come pure che «forti venti e onde alte» hanno reso le operazioni di soccorso «particolarmente impegnative». Così come pure di insistere sul fatto che – spiega sempre l’Ong di Humanity 1 – «alla nave umanitaria è stato assegnato il porto di Ravenna, a oltre 1.600 chilometri di distanza dall’area del salvataggio».
Migranti, il piagnisteo delle Ong sui limiti imposti alla loro attività
Una disposizione che le Ong hanno impugnato, con le organizzazioni di ricerca e soccorso Sos Humanity, Mission Lifeline e Sea-Eye, che hanno avviato un’azione legale al Tribunale civile di Roma. Un’iniziativa, a loro detta, contro la «politica sistematica delle autorità italiane di assegnazione di porti lontani». Una pratica, che per l’Ong di Humanity 1 non sarebbe conforme al “diritto marittimo internazionale” e che, cosa forse più veritiera, limiterebbe azioni e scorribande delle loro flotte in perlustrazione per il Mediteranneo…