Il figlio di Guareschi: “De Sica non girò Don Camillo per timore del Pci. Meloni premier? Papà avrebbe gradito”
Aveva 8 anni Alberto, figlio di Giovannino Guareschi, quando scoprì di che cosa era capace l’odio dei comunisti italiani. «Appeso alla porta della nostra casa milanese di via Pinturicchio trovai un disegno che raffigurava papà penzolante da una forca, con la scritta: “Sei il primo della lista”». All’autore dei romanzi di Don Camillo, i militanti del partito di Togliatti non perdonavano le vignette su Candido e il suo essere «uno spirito libero».
Alberto Guareschi: “Meloni premier? Mio padre sarebbe stato felice”
Alberto Guareschi, che oggi ha 83 anni anni, lo ha raccontato in una illuminante intervista a Stefano Lorenzetto del Corriere della Sera. Pensa che Giovannino Guareschi sarebbe stato felice di avere una donna premier? «Considerato che i personaggi più simpatici delle sue opere sono femminili, direi proprio di sì».
Ha venduto tantissimo, gli ricorda l’intervistattore. «Saremo sui 25 milioni di copie – dice il figlio dello scrittore e umorista – Ogni anno escono tre o quattro edizioni all’estero, l’ultima in turco. È pubblicato ovunque, persino alle Samoa. Tranne che in Cina. Lo hanno tradotto in greco antico e latino, in varie lingue con il metodo Braille e persino in milanese, friulano, bergamasco, bresciano e comasco». Perché piace da 75 anni? «Parla di persone vere, di verità non legate alle mode».
Vittorio De Sica rifiutò di girare Don Camillo per paura della vendetta comunista
Cervi? «Il valore letterario non lo hanno aumentato i film, semmai lo hanno leso. Il compagno don Camillo di Luigi Comencini è un completo tradimento del libro. Da tre sceneggiature mio padre ritirò la firma incavolato». Ebbe rapporti conflittuali con i cineasti, ne deduco. «S’intese poco o nulla con Julien Duvivier, il regista del primo Don Camillo . Però lo stimava: “È talmente bravo che può permettersi il lusso di essere antipatico”, ammetteva. Rizzoli, proprietario della Cineriz, dovette rivolgersi a un francese perché i registi italiani si erano eclissati, temendo le reazioni del Pci. In precedenza aveva tentato d’ingaggiare Vittorio De Sica, ma ne ebbe un rifiuto». Conserva le pizze del film «La rabbia», che diresse con Pier Paolo Pasolini nel 1963? «Certo. Sparì dalle sale perché il regista del secondo tempo ritirò la firma». Per quale motivo? «Gli amici comunisti, Alberto Moravia in testa, lo rimproverarono e Pasolini corse ai ripari. Qualche anno fa Giuseppe Bertolucci revisionò il film, tagliando la parte guareschiana».