Gabriele Limido, il “Secolo d’Italia” nel cuore. Custode della memoria dei ragazzi di destra
Ciao Gabriele. Gabriele Limido era un uomo buono. E quando muore un uomo buono , diceva Longanesi, tutto gli viene condonato. Un’altra figura storica della destra romana scompare, dopo Andrea Augello. Calabrese di Cropalati, figlio di un sindaco democristiano legato al ministro Dario Antoniozzi ( papà di Alfredo, vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera), Gabriele da giovane se ne andò a Roma. Era troppo di destra per convivere con le esigenze paterne.
Limido, la battaglia durissima contro Giacomi Mancini in Calabria
E a Roma fece subito vita da militante. In mezzo alla strada, in un ambiente che ogni giorno rischiava di piangere morti e che era anche mal visto da chi aveva fatto la scelta dell’eversione. Legatissimo ad Almirante e a Fini ( ai quali fece battezzare i suoi figli) diventò consigliere regionale del Lazio nel 1995, venendo rieletto la legislatura successiva con Storace presidente. In mezzo, il ritorno in Calabria, da commissario straordinario della federazione di Cosenza. Qui ingaggiò una battaglia durissima -che gli dissi era persa in partenza- contro Giacomo Mancini. Ma Gabriele era così. Più legato al partito che al ruolo istituzionale, devoto alla liturgia delle sezioni.
Custode della memoria dei ragazzi di destra caduti
Fu anche per due anni consigliere regionale in Calabria. Da tempo aveva smesso con la politica attiva diventando un prezioso custode della memoria dei tanti ragazzi di destra caduti. Ogni tanto mi telefonava. Per lui il Secolo d’Italia era un mantra. Il giornale ora online che ogni giorno portava in banca a sigillare la sua appartenenza. In fondo a questa radice integralista Gabriele aveva un cuore d’oro. E in quel cuore arde forte la sua fiamma, a riscaldare una vita degna davvero di essere vissuta.