Chiara Valerio suggerisce nuovi orizzonti alla sinistra: il lesbismo è politica, intacca le gabbie di genere
Una volta Nicola Zingaretti, all’epoca segretario del Pd, disse che erano i radical chic a fare danni e a togliere voti al partito. Se la prese espressamente con Concita De Gregorio. E non aveva tutti i torti, visto che oggi Concita suggerisce ai compagni delusi dal voto una pratica consolatoria. E cioè di andare a vedere il film sulla scuola multietnica Di Donato dell’Esquilino. E trovare conforto nell’udire i bambini dibattere sul tema: Babbo Natale esiste o no? Insomma, una meraviglia.
Ma suggerimenti anche migliori giungono da Chiara Valerio, scrittrice e curatrice editoriale. Scrivendo su Repubblica della ristampa del libro di Monique Wittig, “Il corpo lesbico”, Chiara Valerio avverte: “Essere lesbiche non è fare sesso, è fare politica”. Ma chi è Monique Wittig? Una femminista francese protagonista di un gesto molto trasgressivo, antimilitarista e antivirilista: depose una corona di fiori sotto l’Arco di Trionfo, “in onore di qualcuno che è ancora più ignoto del Milite Ignoto: sua moglie”.
Ma c’è di più: “Per Wittig – scrive Valerio – il lesbismo non è solo un orientamento sessuale ma una pratica politica. Wittig lavora sui pronomi, cerca la scomparsa dei generi, scrive all’impersonale, smantella i generi grammaticali per tentare di intaccare le gabbie di genere nella società. Forse è troppo presto, oggi aggettivi come fluido o queer sono componenti di una riflessione che non riguarda solo le comunità omosessuali e gli studiosi e le studiose di genere. Corpi che mutano in nuove forme. Lavorare sui pronomi, in parole forse troppo povere, significa rifiutarsi che il maschile faccia funzione di neutro, si appropri dell’universale”.
Il lesbismo che scardina la lingua patriarcale dovrebbe dunque essere il canovaccio sul quale la sinistra dovrebbe lavorare per fare politica. Avanti con la sinistra dello schwa, dei bagni gender fluid, dell’asterisco, della liquidità, dei registri Lgbt, del Sanremo che oscilla tra baci omosex e baci alla mamma. La sinistra “dei corpi che mutano in nuove forme”, appunto. Non era stata Michela Marzano a dire che le donne possono avere il pene perché l’identità di genere con il lato fisico non c’entra nulla?
Un’affermazione che provocò la replica divertita di Natalia Aspesi, proprio sui bagni neutri: “Non è che stiamo ridando al pene – si chiedeva la Aspesi – sia pure al gabinetto pubblico, il valore simbolico del fallo, cioè della mitica erezione, come fosse un obelisco, un monolito dell’antichità, da temere ma anche adorare, e meno male che per consolarci molti studiosi del ramo ci ricordano la sua somiglianza con un mestolo da cucina…”.