Covid, l’Ue raccomanda la linea italiana: test per chi arriva dalla Cina. Anche Berlino impone l’obbligo
Si allunga la lista dei Paesi Ue che introducono test Covid per i cittadini che arrivano dalla Cina. Oggi la decisione è stata assunta dalla Germania e dalla Grecia, che in questo modo seguono la strada tracciata dall’Italia e già intrapresa anche da Spagna e Francia, oltre che, fuori dai confini comunitari, dal Regno Unito. L’annuncio di Berlino e Atene arriva all’indomani di una riunione in cui i 27, nel contesto del meccanismo di risposta integrata alle crisi, hanno stabilito di adottare «un approccio coordinato precauzionale» nell’ambito del quale i Paesi Ue «sono fortemente incoraggiati a introdurre, per tutti i passeggeri in partenza dalla Cina verso gli Stati membri, la richiesta di un tampone negativo condotto non oltre 48 ore prima della partenza».
Le raccomandazioni Ue agli Stati membri sui passeggeri dalla Cina
Gli Stati membri hanno inoltre concordato di raccomandare a tutti i passeggeri dei voli da e per la Cina di indossare la mascherina e sono incoraggiati a integrare queste misure con test Covid casuali sui passeggeri provenienti dalla Cina all’arrivo negli Stati membri, con il sequenziamento di tutti i test positivi per rafforzare la sorveglianza della situazione epidemiologica, con il test e il sequenziamento delle acque reflue provenienti da aeroporti con voli internazionali e aerei in arrivo dalla Cina. Si chiede inoltre di continuare a promuovere la condivisione dei vaccini e la loro assunzione, comprese le dosi di richiamo, in particolare tra i gruppi vulnerabili.
La Commissione accoglie «con favore» la decisione dei 27 sul Covid
Contestualmente l’Ipcr, i dispositivi integrati per la risposta politica alle crisi, con il supporto dell’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) e del Seae (Servizio di azione esterna) e tenendo conto della valutazione dell’Oms, continuerà a monitorare la situazione epidemiologica nell’Ue e gli sviluppi in Cina, compreso il livello di condivisione dei dati, al fine di garantire il coordinamento dell’Ue di qualsiasi misura ritenuta necessaria. Gli Stati membri concordano di valutare la situazione e di rivedere le misure entro la metà di gennaio. La Commissione ha accolto «con favore» la decisione. «Possiamo affrontare la pandemia solo se lavoriamo a stretto contatto a livello di Ue e globale», ha sottolineato la commissaria alla Salute, Stella Kyriakides, aggiungendo però anche che «la Cina deve condividere i dati in modo trasparente sulla sua situazione attuale».
Un «primo passo», ma gli esperti invitano a seguire con più decisione l’esempio dell’Italia
La decisione assunta dai 27 è considerata un «primo passo» per una risposta unitaria dall’immunologo Mauro Minelli, che parlando con l’Adnkronos ha sottolineato come l’esperienza del 2020 sia «servita da lezione, perché l’unanimità delle scelte europee è un segnale importante e per certi aspetti incoraggiante». Secondo Axel Berkofsky, professore all’Università di Pavia e Co-Head dell’Asia Centre dell’Ispi, invece, quello dell’Ue, limitandosi alle «raccomandazioni», è «un approccio debole e deludente» e se «i 27, 28 con la Gran Bretagna, non adottano tutti lo stesso approccio e non seguono l’esempio dell’Italia, allora rischiamo grosso». Per Berkofsky, infatti, «l’Europa dovrebbe fare quello che i Paesi europei, l’Italia in primis, stanno facendo a livello individuale: introdurre l’obbligo di test per chi arriva dalla Cina».
Eppure anche la cauta decisione di ieri non era affatto scontata e molto è dovuta all’iniziativa italiana, sebbene sia più debole. Il direttore Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti, ha ricordato infatti che l’Ue ha così «smentito il suo Centro per le Malattie infettive, l’Ecdc, che aveva detto che non c’era bisogno di fare niente. A distanza di una settimana ha dato ragione all’Italia. Abbiamo ben figurato visto che siamo stati i primi a fare i tamponi ai passeggeri cinesi».