“Ho sbagliato ma non sono un assassino”: parla Guede, unico condannato per l’omicidio di Meredith

29 Ott 2022 12:00 - di Greta Paolucci
Guede

Mentre Amanda Knox, scagionata dalle accuse per l’omicidio di Meredith Kertcher, in un’intervista rilasciata in esclusiva al settimanale Oggi in edicola da mercoledì 26 ottobre, continua a puntare il dito contro Rudy Guede, dichiarando – tra le altre cose –: «Resta un criminale». Con la ex ragazzina americana in trasferta studi a Perugia, oggi 35enne, che dopo i quattro anni di detenzione e un iter processuale complesso con vicende altalenanti che hanno punteggiato il caso giudiziario, ha definitivamente voltato pagina. È Rudy Guede l’unico a essere ancora intriso dell’orrore di quella vicenda. Ed è lui che torna spiegarne il perché e il disagio.

Omicidio di Meredith, l’intervista di Rudy Guede al “Corriere della sera”

Amanda Knox è tornata a Seattle. Ha scritto un’autobiografia, Waiting to be heard, in cui ha raccontato l’esperienza del carcere. Si è sposata. Circa un anno fa ha avuto una bambina. E con il marito Chris Robinson produce un podcast e fa attivismo preventivo contro gli errori della giustizia (e a sostegno di chi ne rimane vittima). L’ex fidanzato di quegli anni bui, Raffaele Sollecito, anche lui assolto nel 2015, dopo essersi laureato in carcere, oggi lavora come ingegnere informatico ed elettronico nell’ambito della progettazione di siti internet, videogiochi e droni. Chi ha avuto sulle sue spalle l’intera responsabilità di quel delitto è il giovane ivoriano, condannato per l’omicidio della povera Meredith.

«Io c’ero in quella casa… Ma io non ho ucciso Meredith»…

«Io c’ero in quella casa, chi lo nega? C’erano le mie tracce sul luogo del delitto, certo. Mica stavo fermo in un angolo. Ero con Meredith, ci siamo scambiati effusioni. Abbiamo avuto un approccio sessuale, sono andato al bagno, ho provato a fermare il sangue che le usciva dal collo… Ovvio che ci fossero le mie tracce in giro. Ma l’ho detto quando credevano che mentissi per evitare la condanna. Lo ripeto più che mai adesso che ho finito di pagare il mio conto alla Giustizia: io non ho ucciso Meredith». Così Rudy Guede in una intervista al Corriere della Sera.

«Ma non aver chiesto aiuto resta la mia grandissima colpa»…

«La giustizia italiana – sottolinea – dice che ho compiuto un crimine con due persone specifiche, ma non come autore materiale. Loro escono di scena, quindi il carcere lo sconta una persona che non si capisce di cosa sia colpevole e con chi. Un condannato impossibile. O forse il condannato ideale: il negretto senza famiglia, senza spalle coperte, senza un soldo…». È vero, «la paura ha preso il sopravvento e sono scappato come un vigliacco lasciando Mez forse ancora viva. Di questo non finirò mai di pentirmi. Ma avevo 20 anni e avevo davanti una ragazza agonizzante. L’ho soccorsa, ma poi la mente è andata in tilt. Magari sarebbe morta lo stesso, ma non aver chiesto aiuto resta la mia grandissima colpa».

Guede: «In preda al panico, ho fatto un errore dopo l’altro. Ma non sono un assassino»

«La vita di Mez che se ne stava andando fra gli spasmi. Gli asciugamani non bastavano a tamponare il sangue… Ero uscito dal bagno dopo aver sentito un urlo potente malgrado avessi le cuffiette con la musica a palla. Nella penombra avevo visto uno sconosciuto con un coltello in mano. “Andiamo via che c’è un negro” aveva detto ad Amanda. All’improvviso il mio cervello è scoppiato – racconta Guede –. Io non avevo fatto niente. Ma chi mi avrebbe creduto? E allora, in preda al panico, ho fatto un errore dopo l’altro…Un comportamento criticabile, è vero. Ma questo non fa di me un assassino». Guede dice anche di aver provato a contattare la famiglia di Meredith, chiusa nel silenzio e nel dolore. «Scrissi una lettera anni fa rimasta senza risposta. E ho fatto avere a sua madre un altro messaggio di recente, per dirle ancora una volta del mio dispiacere per Mez. E che le mie mani si sono macchiate di sangue, sì, ma soltanto per soccorrerla. Mi farebbe piacere incontrarla, un giorno».

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