25 Aprile, la lettera di La Russa: «Superare divisioni strumentali. La Nazione va unita»

31 Ott 2022 9:25 - di Michele Pezza
La Russa

Un botta e risposta in prima pagina, più un pastone riassuntivo dal titolo emblematico: “Assedio a La Russa“. Risultato: il trappolone è servito. Ma procediamo con ordine: ieri la Stampa pubblicava un’intervista a Ignazio La Russa con un titolo a dir poco forzato e fatto apposta per mandare in brodo di giuggiole il mainstream: «Non festeggio il 25 Aprile». Apriti cielo… Ne sono seguite polemiche infinite infarcite di esplicite richieste di dimissioni all’indirizzo della seconda carica dello Stato. Che oggi torna sul luogo del misfatto con una lettera aperta al direttore Massimo Giannini in cui precisa di aver detto tutt’altro.

Botta e risposta tra La Russa e il direttore della Stampa

E in cui ricorda di aver già celebrato in precedenza il 25 Aprile deponendo, da ministro della Difesa, una corona di fiori al Monumento dei partigiani nel cimitero di Milano. Un «atto non dovuto», sottolinea. Come a dire: non disturbatevi con i pro-memoria, so bene che cosa fare il giorno della Liberazione. In realtà, quel che La Russa aveva detto nell’intervista incriminata è che non si sarebbe mai intruppato in quei cortei dove a farla da padroni sono gli esuberanti giovanotti dei centri sociali, gli stessi che hanno il viziaccio di cacciare via tutti gli antifascisti di matrice non comunista.

«Getti via il busto del Duce»

Lo sanno bene il padre partigiano di Letizia Moratti e i combattenti della Brigata Ebraica, entrambi citati da La Russa. Che conclude: «Il mio sforzo è teso a superare divisioni molto spesso strumentali e a fare quanto in mio potere per contribuire a riunire la Nazione (…)». Tutto chiarito? Macché! L’unico interesse di Giannini è per il busto (in realtà una statuetta appartenuta al papà di La Russa) del Duce ancora in bella mostra, accanto ad altri cimeli (alcuni di matrice comunista), nella casa del presidente del Senato. «Lo butti via, fatelo insieme, Lei e Giorgia Meloni», esorta il direttore della Stampa. «Allora sì – conclude – che contribuirete a unire il Paese. Pardon, la “Nazione”». Magari fosse vero. Ma non è così: Giannini e compagni non si accontenterebbero mai. Nella nazione col torcicollo e per di più divisa, ci stanno come topi nel formaggio, loro.

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