La metamorfosi di Draghi: da tecnico a politico per respingere l’accusa di essere “unfit” (inadatto)

20 Lug 2022 12:21 - di Valerio Falerni

Tra un (probabile) Draghi che drammatizzasse e un altro (improbabile) che minimizzasse, è spuntato alla fine il Draghi di sfida. Un intervento double face, quello del premier al Senato: prima orgogliosa rivendicazione del lavoro svolto da febbraio 2021 ad oggi, poi puntigliosa elencazioni dei motivi che lo hanno spinto a rassegnare le dimissioni, respinte da Mattarella. Un punto, tuttavia, appare chiaro e riguarda l’obiettivo vero di Draghi. Che non era tanto quello di bacchettare i 5Stelle (cosa che ha pure fatto, ricevendone in campo ostentata freddezza) quanto dimostrare di non essere politicamente sprovveduto. E lo ha fatto, paradossalmente ma non troppo, proprio quando ha rivendicato la propria impoliticità di tecnico prestato alla politica in nome della triplice emergenza («pandemica, economica, sociale»).

Draghi ha proposto un «nuovo patto di fiducia»

È sotto questa luce che vanno infatti letti l’invito a stipulare un «nuovo patto di fiducia», l’accenno all’appello dei sindaci in suo favore come «spinta che viene dal basso» e, infine, il profilo sfidante con cui ha chiuso l’intervento («la risposta non dovrete darla a me ma all’Italia»). Tre passaggi che hanno frantumato il guscio che avvolgeva l’economista per liberare un premier tutto politico. Draghi ne aveva bisogno, soprattutto per tacitare i crescenti sospetti di inadeguatezza al ruolo. Unfit, come scrisse The Economist di Berlusconi. Già, perché una cosa è presiedere un board di banchieri, altro è dirigere l’azione del governo. E di gaffes politiche, nell’ultima settimana, Draghi ne ha commesso più d’una: prima le dimissioni inconsulte, poi l’Aventino da lesa maestà e, infine, solo ieri, l’improvvido incontro con Letta che a momenti faceva precipitare la crisi in una spirale irreversibile.

La freddezza della Lega

Con il discorso di oggi, il premier ci ha messo una pezza, recuperando un profilo più parlamentare e meno da Eurotower. Ed è questa, a ben guardare, la vera novità della giornata. Certo, il Draghi sprezzante non è scomparso del tutto, ma ora è sovrastato da una dimensione più politica. Lo conferma, appunto, il guanto di sfida lanciato ai 5Stelle, il gruppo che ha formalmente aperto la crisi. Ora tocca a loro decidere se l’accenno del premier all’«agenda sociale» basterà a compensare i nove punti del contenzioso oppure no. Ma è altrettanto vero che il mancato applauso finale dei senatori leghisti dimostra che non è solo da quella parte che bisogna guardare per scrivere la parola “fine” in coda a questo brutto film.

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