Filippo Corridoni, un eroe patriottico e apostolo del sindacalismo rivoluzionario. Un libro ci racconta chi era

15 Nov 2021 12:49 - di Mario Bozzi Sentieri

In un mondo che, sul finire del XX secolo,  ha letteralmente polverizzato miti, ideologie, figure emblematiche, Filippo Corridoni rimane come il simbolo adamantino di una stagione complessa e travagliata della nostra storia nazionale. Apostolo del sindacalismo rivoluzionario ed eroe patriottico, Corridoni riassume in sé i tratti di un’epoca che  delle nuove sintesi ha fatto la cifra esistenziale di intere generazioni. Per questo la sua figura continua a suscitare curiosità ed attenzione, malgrado la sua breve, seppure intensa esistenza, iniziata nel 1887 a Pausula (oggi Corridonia),  un paese in provincia di Macerata, messa a dura prova nell’impegno sindacalista,  teorico e pratico,  d’impronta soreliana, tra l’Emilia Romagna  e Milano, radicalmente antimilitarista, in chiave classista e poi interventista, volontario di guerra, caduto all’assalto di una trincea nemica.

La lettera di Corridoni ad Arturo Rossato

Nell’ottobre 1915, pochi giorni prima di morire, Corridoni sembrava già prevedere quale sarebbe stata la sua fine: in una lettera ad Arturo Rossato, infatti, scrisse: «Morirò in una buca, contro una roccia, o nella corsa di un assalto, ma, se potrò, cadrò con la fronte verso il nemico come per andare più avanti ancora». Il 23 ottobre 1915, alla Trincea delle Frasche, morì col viso rivolto verso gli austriaci e, come scrisse qualche anno dopo l’amico Amilcare De Ambris, il suo corpo «scomparve nella mischia senza essere più ritrovato, come nelle storie leggendarie degli eroi».

Corridoni, combattente caduto in prima linea

Che cosa unisce il Corridoni della prima ora, antimilitarista ed antipatriottico (fino ad  essere condannato a cinque anni di carcere per apologia di reato) ed il combattente, caduto in prima linea (al punto da essere decorato con la medaglia d’argento al valore militare, poi trasformata, nel 1925,  in medaglia d’oro)? In questo “passaggio” c’è il senso del volontarismo che anima i sindacalisti rivoluzionari e scompagina i primi vent’anni del XX secolo.  «Il sindacalismo è un movimento di disgregazione e insieme di ricomposizione: è l’innesto che provoca un perturbamento dell’organismo, ma lo salva dalla morte proteggendolo dalle infezioni», scrive Luca Lezzi in apertura di Filippo Corridoni. La vita e le idee dell’arcangelo sindacalista, di recente uscita per le edizioni Passaggio al Bosco (pagg. 206, Euro 15,00).

Cogliere il senso reale dell’esperienza corridoniana

Il testo di  Lezzi, appassionato corridoniano del Terzo Millennio, si affianca ad uno scritto di Vincenzo d’Orio, pubblicato nel 1934: un’operazione interessante, che vede dialogare – a distanza di ottantasette anni – due autori uniti dalla volontà di cogliere il senso reale e profondo dell’esperienza corridoniana, scevri da cadute retoriche (rischio possibile vista la grandezza del personaggio e la sua aura mitica) e con l’unico intento di fissare i passaggi significativi della sua esistenza e la capacità che ebbe Corridoni di diventare  un simbolo per le generazioni degli Anni Trenta e per quelle dei primi anni del secolo attuale. Al testo di d’Orio va riconosciuta un’asciuttezza stilistica e una chiarezza ricostruttiva, che poco concede all’ agiografia di Regime, animata com’è da una volontà rivoluzionaria, in grado di saldare le storiche aspettative del socialismo con il patriottismo pre e post bellico, segnato dalla volontà dei produttori, dalla lotta economica della nazione organizzata,  finalmente “riconquistata” dalle masse popolari – per dirla con Corridoni.

“L’Arcangelo sindacalista”

Lezzi si muove sul piano della ricostruzione storica più attenta, declinando la figura dell’ “Arcangelo sindacalista”, anche alla luce del fascismo-movimento, dell’esperienza socializzatrice della Rsi, senza tacere – in una logica coerentemente trasversale – l’attenzione che, a partire dal 1919, si manifestò nei confronti della figura di Corridoni  da parte della sinistra sindacale ed antifascista. Al punto che alcune squadre di “Arditi del popolo” in lotta contro quelle del primo fascismo decidono di portare il nome di Filippo Corridoni, mentre a Bari nel 1922, grazie a Giuseppe Di Vittorio, proveniente dall’esperienza sindacal-rivoluzionaria ed interventista, la collaborazione antifascista tra social-comunisti e ambienti del combattentismo dannunziano porta alla costituzione, da parte di quest’ultimi, della centuria  “Corridoni”, con funzioni paramilitari.  Lo stesso Di Vittorio, molti decenni dopo, diventato il leader della Cgil, non si dimenticherà dell’amico, caduto in guerra, arrivando a denunciare  la “mistificazione fascista”, ma facendo ben poco per salvarne la memoria, difesa e rinverdita, nel dopoguerra, dal Sindacalismo Nazionale (ieri nella Cisnal, oggi con l’Ugl).

I rapporti tra fascismo e sindacalismo rivoluzionario

La questione dei rapporti tra fascismo e sindacalismo rivoluzionario è, del resto, molto più complessa e non può evidentemente essere posta su un piano di mera “strumentalità”, quanto piuttosto va inquadrata nei complessi percorsi della nostra storia nazionale, ivi compresi  – come stigmatizza Lezzi – gli episodi di censura postuma nei confronti di Corridoni,  con la cancellazione , in molte città, del suo nome dalla toponomastica, per iniziativa  dei Comitati di Liberazione Nazionale locali.

Malgrado ciò,  libri come Filippo Corridoni. La vita e le idee dell’arcangelo sindacalista ne mantengono viva la memoria e ne rinverdiscono il pensiero e l’esempio, segno che  in tempi – come l’attuale –  di bassa tensione ideale e di sfide epocali, determinate dai nuovi scenari della globalizzazione, dominati da un mercato informe, apolide e meccanizzato, di figure emblematiche  “alla Corridoni” c’è un gran bisogno.

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