4 novembre 1918, quando l’Italia si riconobbe (in pieno) nazione

3 Nov 2018 17:31 - di Mario Bozzi Sentieri
Corridoni, Mussolini, D’Annunzio: per comprendere il senso profondo dell’anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale, guerra vittoriosa e di svolta per l’Italia, occorre partire dalle origini e dunque dai protagonisti della campagna interventista che, tra il 1914 ed 1915, spinse il nostro Paese nel Grande Conflitto. Il sindacalista rivoluzionario, l’eretico socialista ed il Vate rappresentano simbolicamente la rottura sociale, politica e culturale con il neutralismo liberal-socialista, già prefigurando gli sviluppi post bellici, i nuovi orizzonti che la guerra ha poi portato, con lo scompaginamento di tre imperi, con l’emergere di nuove élites, forgiate dalle trincee, e con i processi di nazionalizzazione delle masse.

Il 4 novembre, la vittoria, della quale ricordiamo il centenario, va perciò ben oltre l’anniversario patriottico e del risorgimento compiuto, con l’unione di Trento e Trieste alla Madre Patria. Per dirla con Gioacchino Volpe – non proprio uno storico “qualunque” – la Grande Guerra vittoriosa ed i processi politico-sociali che innescò hanno rappresentato il “compimento” dell’idea di nazione, ad un livello più alto e più maturo rispetto al primo cinquantennio unitario. Si compie il Risorgimento. Ma è Risorgimento di popolo, a differenza di quello borghese ed elitario del 1861. E’un Risorgimento alla cui costruzione concorrono movimenti diversi, spesso contraddittori tra loro – come scrive Volpe “ … contrari al socialismo in quanto dottrina, ma non in quanto problemi sociali e del lavoro; contrari alla democrazia politica, ma in vista di più soda e vera democrazia; contrari al regime parlamentare e alle sue baruffe; contrari a quel certo modo di governare, fatto di transazioni, di accomodamenti, di gretto empirismo, di corruzione elettorale, di contaminazione tra gli affari e la politica, di disconoscimento dei valori ideali, che prese nome non glorioso da Giovanni Giolitti, quasi ininterrotto capo del governo italiano per oltre un decennio, prima della guerra”.

E’ all’interno di questa autentica “serra calda” che la guerra vinta porta a sintesi una nuova volontànazionale di riscatto, decisa a dare voce alla parte migliore della Nazione, quella che si era messa in gioco, che aveva messo in gioco la propria vita, perdendola o uscendone mutilati,  C’è quella che Mussolini, su “Il Popolo d’Italia”, nel dicembre 1917, definiva “trincerocrazia”: unanuova aristocrazia emergente, pronta a rivendicare la sua parte di mondo, decisa alla “presa di possesso” delle posizioni sociali, in netta cesura tra “quelli che ci sono stati e quelli che non ci sonostati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto; quelli che hanno lavorato ed i parassiti”.

La guerra vinta porta tutto questo: una nuova grande passione nazionale, che va ben oltre le vecchie appartenenze sociali e geografiche, ed una volontà di trasformazione che individua nella sintesi tra classe e nazione la sfida modernizzatrice, quella sfida che aveva vis to il sindacalismo rivoluzionario, capeggiato da Corridoni, in prima fila nella campagna interventista al grido “La Patria non si nega, ma si conquista”. E’ la cattiva “amministrazione” della vittoria, incompresa e vilipesa dagli eterni neutralisti, e la sua“mutilazione” – tanto per usare l’immagine dannunziana – a creare le condizioni per dare unaprospettiva politica alle aspettative della vigilia.

I protagonisti del 1915, Corridoni, Mussolini e D’Annunzio, sono anche, in forme diverse, i protagonisti reali e mitici del dopoguerra, con la loro volontà di fare entrare, a pieno titolo, il proletariato nella Storia nazionale, compenetrandolo con lo Stato, in un’ Italia grande e libera, che– come aveva immaginato il Vate, alla vigilia della guerra – non fosse più “ … un museo, unalbergo, una villeggiatura, un orizzonte ridipinto col blu di Prussia per le lune di miele internazionali, un mercato dilettoso ove si compra e si vende, si froda e si baratta”.

Con questo spirito ricordiamo i cento anni della fine vittoriosa del primo conflitto mondiale: guerra patriottica e rivoluzionaria insieme, segno di un tempo in cui al tramonto del vecchio ordine nuove sintesi e nuove speranze occuparono la scena nazionale, fermento autentico e non retorico per un’Italia che da quel 4 novembre 1918 non sarebbe più stata uguale a prima.

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