Chiesa, sacrestani alla riscossa: «Non siamo addetti alle pulizie, valorizzateci di più»

10 Nov 2021 17:06 - di Francesca De Ambra
sacrestani

L’ultima volta che i giornali parlarono dei sacrestani fu nel 2012, quando uno di loro, Vittorio Gianelli, lasciò questa terra. Era il campanaro della chiesa di Brescello, il paese di Giovannino Guareschi. In realtà ne era stata anima e memoria storica. Sotto quelle navate aveva infatti incrociato Fernandel e guidato frotte di turisti incuriositi dal luogo epicentro degli scontri tra il comunista Peppone e il democristiano don Camillo. Gianelli se ne andò in una bara avvolta nel tricolore sabaudo, come la maestra Cristina, uno altro dei personaggi inventati dalla magica penna di Guareschi. Fosse ancora vivo, chissà che cosa avrebbe detto della vibrata protesta dei suoi colleghi, stufi di essere ormai utilizzati come addetti alle pulizie.

I sacrestani a convegno nella Capitale

Eh sì, chi l’avrebbe mai detto: anche i sacrestani sbuffano, protestano e rivendicano. Neanche i preti sono più quelli di una volta e a farne le spese sono soprattutto loro. E così, in un convegno organizzato a Roma dalla Fiudac in questi giorni, è andato in scena l’orgoglio della categoria. Il rosario delle recriminazioni sgranato dal presidente Enzo Busani è quanto mai nutrito e persino sorprendente. Va dalle «problematiche di formazione» alla mancata valorizzazione della professionalità, passando per i turni di riposo. Gli iscritti alla Fiudac sono 800, ma nella realtà i sacrestani sono molti di più. Il loro compenso è di 1260 euro mensili. Dove non c’è danaro, arrivano i volontari. Ma è anche vero che non tutte le parrocchie possono permettersi un sacrestano.

C’è anche chi lo fa in “nero”

Di solito – spiega il vicepresidente Maurizio Bozzolan queste figure si trovano nelle cattedrali, nei santuari e nelle parrocchie con 20 mila abitanti. Il punto è che troppe volte ci sono sacerdoti che utilizzano i sacrestani come uomini e donne di fatica. Ma noi non siamo addetti alle pulizie della chiesa. Noi – conclude –prepariamo le cerimonie liturgiche e in assenza del parroco dobbiamo dare risposte immediate ai fedeli». Una consapevolezza più presente nei sacrestani del buon tempo antico che in quelli nuovi, più sensibili alle ragioni del portafoglio che a quelle della fede. Differenze ce ne sono anche sotto l’aspetto territoriale. Al Sud, ad esempio, in più d’una occasione, il nero non colora tanto le tonache dei sacerdoti quanto il rapporto di lavoro. Del tutto paradossale è invece il turno di riposo domenicale, spesso assegnato ai sacrestani. «Il che – commenta amaro Bozzolan – dice tutto sul ruolo a cui troppo spesso siamo relegati».

 

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