Vaticano, i giudici del Riesame su Torzi: modalità ricattatorie per avere il triplo dei soldi
Per i giudici romani del Tribunale del Riesame che lo scorso 26 aprile ne hanno confermato la misura cautelare, il broker Gianluigi Torzi, accusato nell’inchiesta della Procura di Roma di autoriciclaggio e emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti nell’ambito della vicenda sugli investimenti del Vaticano, ha una notevole “capacità criminale” ed è capace di agire con “scaltrezza e spregiudicatezza”, attraverso “complicità internazionali” per ottenere denaro.
“Deve ritenersi che le condotte ascritte all’indagato sono altamente sintomatiche della capacità criminale di Torzi e della sussistenza di un elevato pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli contestati, pericolo desumibile – scrivono i magistrati capitolini del Riesame – dalla spregiudicatezza e della scaltrezza con la quale egli ha ottenuto la dazione di una notevolissima somma di denaro e l’abilità e la rapidità con la quale ha potuto dissimularne il possesso, approfittando della sua capacità di operare in ambiti finanziari e internazionali opachi”.
Torzi era stato già coinvolto nella vicenda della compravendita dell’immobile di Sloane Avenue a Londra per la quale è sotto inchiesta da parte dell’Autorità Giudiziaria Vaticana che gli ha contestato un illecito profitto pari a 15 milioni di euro.
In base alle indagini delegate dai magistrati di piazzale Clodio titolari del fascicolo, il sostituto procuratore Maria Teresa Gerace e il procuratore aggiunto Rodolfo Sabelli, agli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, è stato ricostruito come una parte dei 15 milioni, bonificata a due società inglesi dell’imprenditore molisano, sarebbe stata impiegata per l’acquisto di azioni di società quotate nella borsa italiana, per un importo di oltre 4,5 milioni di euro, che gli ha consentito, dopo pochi mesi, di conseguire un guadagno di oltre 750.000 euro, e per ripianare il debito di 670.000 euro di altre due aziende.
“Un riscontro ulteriore alla pericolosità specifica dell’indagato – proseguono i giudici del Riesame – si desume da quanto accertato dal Promotore in relazione alle pregresse attività speculative e alle spericolate scalate societarie commesse in concorso con lo stesso Mincione, nonché dalle imputazioni per bancarotta fraudolenta”.
“D’altra parte – si legge nelle motivazioni – anche la scelta della misura più afflittiva, appare necessitata in relazione alla concreta capacità dell’indagato di agire anche attraverso complicità internazionali e per interposta persona, e per prevenire, per gli stessi motivi, il concreto pericolo di inquinamento probatorio e deve ritenersi adeguata e proporzionata all’enorme rilevanza economica dell’illecito profitto del reato, che rende non prevedibile che l’indagato possa beneficiare della sospensione della pena”.
“Le modalità ricattatorie e l’ingiustizia della somma ottenuta da Torzi, dopo un lungo braccio di ferro con il Vaticano, seguito con apprensione persino dal Papa, – proseguono i giudici del Riesame – si possono desumere, nella complessa ricostruzione svolta dal Promotore nella relazione integrativa” che ricostruisce la “esponenziale lievitazione delle pretese di Torzi”.
“Dalla somma di 5 milioni, a 9 milioni di euro – si legge – indicata quale richieste prima dell’incontro in Vaticano con il pontefice, egli, man mano che vede rafforzarsi la propria immagine, si spinge a chiedere somme sempre più elevate, fino a giungere a quella di 20 milioni di euro, poi ridotta, ma solo per la preoccupazione di possibili complicazioni – a 15 milioni, poi effettivamente corrisposta, pari al triplo della somma inizialmente richiesta. Nella deduzione dei costi sempre più elevati richiesti da Torzi con modalità apertamente ricattatorie”.
Secondo il Tribunale del Riesame, tutto questo è potuto accadere perché Gianluigi Torzi ha avuto un supporto interno al Vaticano.
“Gli stratagemmi adottati da Torzi e dai suoi iniziali complici ‘interni’ alla Santa sede per inserire, con scaltrezza, una modifica statutaria alla società veicolo, non costituisce, a parere di questo Collegio, una mera manifestazione di mera furbizia nelle trattative contrattuali, ma un comportamento che, perpetrato anche grazie alle aderenze interne utilizzate abilmente da Torzi, assume le forme di una vera e propria frode”.
Quanto al “giudice inglese della Corona Baumgartner, in relazione agli stessi fatti ed elemento di indagine, pure avendo nel merito ritenuto gli elementi insufficienti a sostenere l’accusa di frode, ha affermato la compatibilità dell’ordinamento processuale vaticano con i principi fondamentali di un ordinamento moderno e garantista come quello anglosassone, sotto il profilo del rispetto dei principi fondamentali, escludendo che vi sia una confusione tra organo di accusa e organo giudiziario”.