Fico come “Madama la marchesa”: «Nel M5S tutto bene». E Travaglio gli fa da sponda

21 Giu 2021 13:38 - di Marzio Dalla Casta
Travaglio

Strano che Marco Travaglio, il più implacabile censore dello slurp dei giornalisti ai potenti, abbia impresso il suo “visto si stampi” all’intervista a Roberto Fico. Per il M5S – si sa – lui e il Fatto Quotidiano nutrono una spiccata simpatia. E non da ora. Anzi, si potrebbe sostenere senza tema di smentite, che del MoVimento il giornale è in qualche modo l’house organ. Un po’ come noi (detto senza offesa) nei confronti della destra politica. Giornalismo militante, insomma. Non c’è niente di male. Solo Travaglio la prende come un’accusa perché convinto di dirigere un giornale indipendente che non ha altro padrone all’infuori del lettore. E tanto spesso lo ripete da aver a sua volta convinto un po’ tutti.

Il grillino intervistato dal Fatto di Travaglio

Poi, però, arriva l’intervista a Fico e uno si rende conte che nel cuore di Travaglio i grillini sono sempre primi, come succedeva a Pensieri e parole di Mogol-Battisti nella Hit-parade di Lelio Luttazzi. Si vede a naso che l’intervista (non del direttore) è una chiacchierata tra vecchi amici. Coefficiente di difficoltà prossimo allo zero per la terza carica dello Stato. Già, tra il flop del Reddito di cittadinanza, il deragliamento del M5S dai propri principi e la rivalità tra Conte e Grillo, Fico sta beato come un topo nel formaggio. Non è che tenta lo slalom per scansare le domande. Risponde su tutto.

«Nessuna rivalità tra Grillo e Conte»

Ma come se tutto andasse alla grande: i 5Stelle sono la quintessenza della coerenza, il RdC fa crescere l’occupazione e Grillo e Conte sono lì a scrivere il nuovo Statuto. Sia chiaro, il presidente della Camera fa il suo mestiere. Non così l’intervistatore, che sembra preoccupato soprattutto di non disturbare. Una presenza discreta, la sua. Chissà se nel dare il placet alla pubblicazione, Travaglio se ne sia rallegrato. O se, piuttosto, non abbia pensato come quel polpo di Napoli tempestato di colpi dal ristoratore davanti al cliente per attestarne così l’esistenza in vita e poi rimesso, tramortito ma vivo, nell’acquario in attesa del prossimo avventore: «E che s’adda fa pe’ campà».

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