Mottarone, il sospetto dei pm: «Forse il cavo era già danneggiato, ma non è stato segnalato»

29 Mag 2021 8:39 - di Carlo Marini
mottarone ANSA

I pm di Verbania, lo hanno scritto nella loro richiesta al gip. «Nonostante la gravità delle condotte contestate e delle conseguenze che ne sono derivate, i fermati non hanno avuto un atteggiamento resipiscente».  Non si sono presentati subito ai magistrati per assumersi «le proprie responsabilità». Eppure, domenica mattina sono accorsi sul luogo del disastro della funivia del Mottarone e con i propri occhi «hanno potuto vedere i corpi delle vittime straziati, giacenti a terra, sbalzati fuori dalla cabina o incastrati dento la stessa».

Ecco perché il titolare della Ferrovie del Mottarone, il direttore d’esercizio e il capo servizio Gabriele Tadini , fermati mercoledì, devono rimanere in carcere per le loro responsabilità. Proprio sui registri dei controlli truccati lavorano gli inquirenti.

Le responsabilità di Nerini, Tadini e Perocchio

Le carte in apparente ordine, ma la realtà sulle condizioni della funivia del Mottarone potrebbe essere molto diversa dopo la confessione di Gabriele Tadino che ha ammesso, dopo il disastro in cui domenica 23 maggio hanno persone la vita 14 persone, di avere manomesso più volte, almeno nell’ultimo mese, il sistema frenante di sicurezza che scattava ripetutamente con il rischio che la cabina potesse fermarsi nel mezzo del percorso, ma soprattutto che la struttura fosse costretta a chiudere per manutenzione.

Una soluzione “per ragioni di carattere meramente economico. E in assoluto spregio delle più basilari regole cautelari di sicurezza”. Così il procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi nella richiesta di convalida. Oggi, il gip interrogherà in carcere il gestore dell’impianto del Mottarone Luigi Nerini, il capo servizio Tadini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio.

Mottarone, così hanno falsificato il registro giornale

I pm evidenziano come il registro giornale delle verifiche e prove giornaliere, che riporta gli interventi a partire dal 7 ottobre 2020, si sia dimostrato falso. Tadini non avrebbe segnalato le anomalie del sistema frenante almeno il 22 e 23 maggio scorso. La procura disporrà accertamenti irripetibili sul cavo spezzato per stabilirne la causa e l’eventuale collegamento con il malfunzionamento dei freni. Inoltre “sono necessari ulteriori accertamenti” su quei registri. Dovranno infatti “verificare la eventuale avvenuta alterazione anche di altre annotazioni, Riferite a date ed eventi diversi. Nonché a stabilire il verosimile coinvolgimento anche degli altri due indagati. Coinvolti, “nella falsificazione del suddetto atto pubblico”.

Ora resta da capire perché il cavo si è spezzato. Stando alle ipotesi investigative la fune era danneggiata. Quindi si sarebbe staccato dalla testa fusa, la parte attaccata alla cabina. Sarebbe questo il motivo delle anomalie che facevano scattare il freno di emergenza inibito dall’utilizzo del forchettone, come emergerebbe dalle testimonianze che stanno raccogliendo i carabinieri. Al consulente esperto della Procura, l’ingegner Giorgio Chiandussi del Politecnico di Torino il compito di scoprire le cause.

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