Advocacy advertising: ecco la tecnica utilizzata per diffondere il dissenso su Bonus Pc e Internet
L’advocacy advertising è una forma pubblicitaria finalizzata a promuovere un consenso rispetto a tematiche su cui esiste una divergenza di opinioni. Qualche esempio concreto? L’advocacy advertising può essere utilizzata per le campagne a favore dei diritti di alcune categorie di persone. Per le campagne a favore dei privilegi di un certo settore. Per le campagne contro la pressione fiscale su determinati professionisti e la lista potrebbe proseguire ancora a lungo.
L’Advocacy advertising corre sui social network
Nell’era digitale 4.0, qual è uno dei metodi più efficaci per fare advocacy advertising? Tramite i social network ovviamente e per l’utente medio diventa sempre più difficile districarsi nel mare magnum dei contenuti online. Negli ultimi mesi una tematica su cui senz’altro c’è una divergenza di opinioni è quella che riguarda il bonus Pc e internet. Introdotto a favore delle famiglie meno digitalizzate e con Isee fino a 20.000 euro, si tratta – come riportato da AltroConsumo – “di sconti a disposizione delle famiglie per venire incontro alle loro esigenze di connettività in un periodo di smartworking e teledidattica”. Per dotarsi di una rete internet a banda ultralarga e, contestualmente, anche di un pc o di un tablet.
Bonus Pc e internet, un flop annunciato?
Navigando sul social network di Zuckerberg appare chiaramente a sfavore dell’iniziativa la pagina Facebook Innovazione Inclusiva che tra un post e l’altro legato ai temi dell’innovazione, attacca il bonus Pc e internet. Si legge in qualche post: “Il fatto che non ci sia stata alcuna corsa al bonus connettività da parte dei cittadini può significare due cose: 1) tutti i cittadini hanno già una connessione a internet e dispositivi all’avanguardia per navigare, lavorare in smart working e seguire le lezioni; 2) c’è qualcosa nel bonus che scoraggia la richiesta anche da parte di quei cittadini che potrebbero averne veramente bisogno.”
La via per annullare il digital divide è ancora lunga
Appare abbastanza evidente che motivo sia il secondo. E sia legato alle innumerevoli clausole per l’utilizzo del bonus. Alle specifiche tecniche stringenti sui dispositivi da fornire. E alla mancanza di un’adeguata educazione dei cittadini alla digitalizzazione e all’uso di internet (basti pensare a tutti quelli che hanno scaricato la fake app IOS a pagamento). E ancora: “Purtroppo la via per annullare il digital divide italiano è lunga e accidentata, E non siamo sicuri che questa iniziativa possa essere la soluzione, anzi…” . “Troppi dubbi e perplessità accompagnano il bonus connettività. Il problema dei dispositivi da garantire ai consumatori. La mancanza di chiarezza nelle modalità d’accesso, l’esclusione di alcuni Comuni da parte di diverse regioni.
Nessun monitoraggio sull’andamento dell’iniziativa
Inoltre, non esiste alcun monitoraggio reale dell’andamento dell’iniziativa. Anzi, l’unico dato preso in considerazione è la spesa. Assolutamente insufficiente per monitorare il successo del bonus. Noi siamo a favore di una politica che permetta al nostro Paese di fare un passo in avanti nella cultura digitale. Ma non in questo modo e non senza chiarezza. Siete d’accordo?”. Le tesi sostenute dalla pagina non stupiscono e potrebbero essere espresse da chiunque. A fare stupore è il numero di interazioni che generano questi post su temi abbastanza di nicchia.
Le critiche della pagina Fb Innovazione inclusiva
Approfondendo, la pagina è nata a novembre. Proprio mentre il governo approvava il bonus. E in pochi mesi – cosa non così semplice – ha acquisito circa 4.500 follower. Non risulta alcuna informazione rispetto a chi animi questa pagina. Ad eccezione del sito web a cui la fanpage è collegata: https://www.innovazioneinclusiva.com/ che contiene solo 4 contenuti e la voce di menù “chi siamo”.
Dunque si tratterebbe di una community che crede nella funzione inclusiva della tecnologia e che punta a sfatare falsi miti. Un nobile fine ma nessun dato o informazione è però presente per fare chiarezza su chi ha creato questa community. E neppure provando a verificare l’intestatario del dominio si trova risposta a questa domanda, non resta che tornare a Facebook.
Chi c’è dietro la pagina che demolisce i bonus?
Il social network ha, infatti, introdotto ormai da tempo un sistema che permette agli utenti di comprendere chi produce i messaggi che gli vengono proposti. Soprattutto se questi sono relativi a tematiche sociali o politiche. Basta accedere alla “Trasparenza della Pagina”. Nel caso di Innovazione Inclusiva tutti post della pagina risultano tutti sponsorizzati. E da novembre ad oggi sono stati spesi oltre 2.000 euro per “informare” i cittadini su quanto sia bella la tecnologia e sbagliati i bonus. Aumentano i dubbi: chi spenderebbe così tanti soldi pur per un nobile fine ma senza alcun tornaconto. Forse una onlus?
I post sono finanziati dalla stessa pagina
Anche in questo caso Facebook fornisce delle utili risposte. Perché obbliga gli inserzionisti che promuovono temi sociali e politici a dichiarare chi sono. Ad esempio se si trattasse di un politico che sponsorizza un suo contenuto in cui sostiene i diritti delle donne, su questo contenuto apparirebbe la dicitura “finanziato dal partito xy”. Chi detiene l’amministrazione della pagina ha escogitato una buona copertura per questa attività. I post appaiono finanziati da “Innovazione Inclusiva” ovvero la stessa pagina. Della quale si ha evidenza di due sole informazioni – quelle che Facebook obbliga a inserire – un indirizzo e un numero di telefono. L’indirizzo è di un palazzo di Milano, dove hanno sede diverse aziende, tra cui un’agenzia di comunicazione.
Le finalità non chiare dell’agenzia di comunicazione
La conferma arriva inserendo il numero di telefono su Facebook che appartiene ad un dipendente della stessa agenzia. La MR & Associati Comunicazione. L’agenzia sul suo sito dichiara di fare attività di web advocacy. Ovvero utilizza il web e i social per veicolare contenuti finalizzati al supporto attivo e alla promozione di una causa presso la pubblica opinione. O al contrario a denigrare cause che non si condividono, come il caso dei “bonus”. L’agenzia riporta, chiaramente, sul proprio sito i clienti per cui presta le proprie attività. Che non si limitano all’advocacy ma a tutte quelle che riguardano la comunicazione.
Tra i clienti anche politici e brand importanti
Ci sono ad esempio politici come Beppe Sala ma anche brand come Heineken ed Electrolux, Equitalia, l’Università degli studi di Milano e molti altri. Naturalmente, è difficile sapere se l’attività sia svolta effettivamente per un cliente. E se questo sia presente nella lista riportata. Ma rimane altrettanto difficile pensare che un’agenzia di comunicazione possa spendere oltre 2.000 euro delle proprie risorse perché crede in una causa.
Attenzione alle condivisioni facili
L’attività risulta ancora più sgradevole proprio per il fatto che i bonus sono rivolti alle famiglie poco digitalizzate, con minori strumenti per comprendere che chi si erge a suo paladino probabilmente ha solo fini commerciali. “Lo diciamo spesso che, per molti aspetti, il gap digitale italiano non è dovuto alla mancanza di dispositivi o di una connessione. Ma a una mancanza di conoscenza della rete da parte dei cittadini” dichiarano in un post della pagina. Non resta quindi che aiutare chi purtroppo non ha una cultura digitale pari a quella di un digital expert ad aprire gli occhi. Prima di lasciarsi prendere dalla condivisione facile è bene capire prima di tutto chi c’è dietro a un post, a un tweet, a una foto e poi trarre le proprie conclusioni.