L’Aidc (dottori commercialisti) boccia il decreto Liquidità: “Un bazooka a salve”

10 Apr 2020 11:49 - di Redazione

Riceviamo dall’Associazione Italiana dei dottori commercialisti (AIDC) e pubblichiamo.

Dopo tanta attesa ed il trionfale annuncio, il testo del  D.L. 23 dell’8 aprile 2020 – c.d. decreto Liquidità –appare, già ad una prima lettura, ben lungi dal rappresentare un effettivo strumento di sostegno immediato alle necessità del mondo economico italiano.

Il decreto non soddisfa l’urgenza di mettere a disposizione di tutti gli operatori economici la liquidità necessaria a far fronte alle spese correnti, che devono, invece, essere regolarmente onorate per non danneggiare ulteriormente la catena dei pagamenti.

L’aspetto che lo depotenzia maggiormente,per interventi superiori ai 25.000 euro,è la limitazione della garanzia pubblica, che non copre l’intero finanziamento, ma è graduata dal 70 al 90%, in funzione della dimensione delle aziende; un presupposto che consegna alle banche il compito di effettuare una meticolosa valutazione del merito di credito del richiedente e di esaminare altrettanto accuratamente la concessione dei finanziamenti.

Questaprassi “ordinaria” per i prestiti assistiti da garanzie pubbliche parziali, nell’attuale contesto di emergenza,avrebbe dovuto essere eliminata, con coraggio, per consegnare una garanzia pubblica estesa all’intero finanziamento e, quindi, senza margini di discrezione alle banche e conseguenti lungaggini ed incertezze nell’effettività della misura di sostegno.

Per inciso tale discrezionalità, conseguente ad una compartecipazione che andrebbe dal 10 al 30%, si estende all’intero finanziamento, per cui le banche garantiranno il 10%, ma decideranno sul 100% dell’erogazione.

Altro aspetto cruciale che delude è il fattore tempo. Nonostante i proclami che hanno preceduto la norma in gazzetta, l’erogazione dei finanziamenti, disciplinati dall’articolo 1 del decreto, non potrà avvenire, infatti, in tempi brevi.

Tanto sia in ragione delle soglie poste per accedere alle diverse forme di garanzia, che comporteranno la necessità di formare ed esibire la documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti richiesti, ovvero i bilanci depositati o le dichiarazioni fiscali attestanti il “fatturato annuo”, che delle ulteriori condizioni poste dall’articolato.

Il comma 12 dell’art.1 dispone, invero, che l’efficacia dei primi nove commi della norma, ovvero di tutte le “misure per il sostegno alla liquidità delle imprese”, sia subordinata alla approvazione della Commissione Europea.  Approvazione che comporterà inevitabilmente un aggravio dei tempi di attesa per la piena fruibilità dello strumento.

Molti altri passaggi ostici della disposizione non potranno che complicare ancora di più l’applicabilità delle misure.

Basti citare ad esempio la lettera m) del secondo comma dell’articolo 1,che, con una formulazione a dir poco kafkiana, impone la dimostrazione che le esposizioni al momento del rilascio del finanziamento garantito siano superiori a quelle detenute alla data di entrata in vigore del decreto, eventualmente corrette per effetto delle riduzioni intervenute nell’intervallo di tempo suddetto, per modifiche contrattuali precedentemente deliberate. Oltre al tempo necessario per comprendere la disposizione, ne servirà, quindi, sicuramente dell’altro per effettuare il riscontro domandato.

Ed ancora, il primo comma dell’articolo in esame parrebbe disporre l’applicazione della garanzia anche in favore delle piccole e medie imprese, ivi inclusi i lavoratori autonomi e liberi professionisti “che abbiano pienamente utilizzato la loro capacità di accesso al Fondo di cui all’articolo 2, comma 109, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662”, lasciando ad intendere che ne possa usufruire solo chi si sia già avvalso di un tal tipo di finanziamento e non già chi non ne avesse mai fatto ricorso.

Lettura impossibile, tanto da doversi ritenere che tale condizione debba rivolta all’istituto erogante, richiamato nelle righe precedenti. Problemi di lessico, che però, in questi frangenti, sono un’aggravante della già difficile situazione.

L’iter delle misure previste non assicura, poi, neanche per gli importi inferiori a 25mila euro, che la concessione del credito bancario passi attraverso una procedura semplificata: il governo della valutazione del merito creditizio, della durata e delle condizioni applicabili resta saldo nelle mani degli Istituti bancari, vanificando ogni promessa di assicurare presto la liquidità sul conto corrente.

La norma avrebbe dovuto, invece, con chiarezza obbligare il sistema all’erogazione del credito e sottrarlo a qualunque discrezione, che non fosse di legge. Tale obbligo manca,rendendo la norma fallace nel suo intendimento.

Il cammino per mettere a disposizione delle imprese liquidità non puòessere, però,ostacolato dalla burocrazia, poiché senza “vera” liquidità non si potranno pagare, semplificando il ragionamento, stipendi, affitti e fornitori, rischiando così di riverberare la crisi anche su altre imprese.

Ma quale sarebbe allora la reale portata ed il sostanziale beneficio per gli operatori economici di queste disposizioni?

Quel che emerge è che, in tempi non brevi e sotto l’alea della discrezionale delle banche, aumenterà il debito delle imprese, con la logica conseguenza di aggravare la crisi finanziaria ed economica dei medesimi operatori.

Le misure per la concessione del credito avrebbero dovuto prevedere, al contrario, istruttorie rapide, costi ridotti e tempi decisamente più ampli di ammortamento, oltre 15 anni.

La durata massima del rimborso dei finanziamenti è stata, invece, fissata in 6 anni per tutte le imprese, quando avrebbe dovuto dipendere dalla effettiva capacità di generare cash flow.

È piuttosto scontato che ci saranno imprese che si riprenderanno velocemente e che potranno rimborsare in tempi rapidi i loro finanziamenti, mentre altre aziende non avranno la stessa capacità di generare flussi di cassa sufficienti a ripagare le proprie rate in un lasso di tempo così limitato.  Sarebbe stato più opportuno prevedere dunque un range di durata del rimborso da un minimo di 5 ad un massimo di 15, così da permettere alle aziende con maggiori difficoltà di godere di un periodo di ammortamento sostenibile.

Ulteriori perplessità sorgono in ordine alla platea indiscriminata delle imprese alla quale è concessa la facoltà di accesso ai finanziamenti con garanzia pubblica, indipendentemente dalle loro effettive difficoltà. Potrà così accadere che imprese, pur capaci di affrontare le attuali difficoltà, ricorrano, per motivi di opportunità, ai finanziamenti agevolati previsti dal decreto, avendone più facile accesso, proprio grazie alla loro maggiore affidabilità. Sarebbe stato più equo ed anche maggiormente funzionale privilegiare le aziende più duramente colpite dalla pandemia, senza sprecare le munizioni della roboante misura.

Non vi è traccia, dunque, di alcun intervento atto a sostenere le difficoltà contingenti di imprese e di lavoratori autonomi e tantomeno a scongiurare l’onda lunga della pandemia sull’intero sistema economico italiano, ma così il “bazooka”, annunciato in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio, più che “bombardare” la temuta recessione, finisce per “esplodere” in un tripudio di burocrazia.

Commenti

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  • Gianluigi 23 Aprile 2020

    da una lettura sommaria e generica del testo, non credo che abbia avuto in noi una iniezione di fiducia, quanto espresso dall’Ordine dei dottori Commercialisti, mi da l’impressione che la stesura del testo abbia molte ombre; era già comunque scontato per noi avallato da nostro pensiero di carattere politicamente avverso, che la fiducia e al di sotto di ogni percentuale di numeri con inizio 0,00,,,,,,,
    Povera Italia