Coronavirus, la lezione dell’Islanda: i test di massa sono la chiave per il contenimento dei contagi
La strategia dei test per tutti può funzionare per contenere il contagio del Coronavirus?
E’ la domanda che in questi giorni si stanno ponendo un po’ tutti. Ed alla quale sembra dare una risposta uno studio islandese. Che suggerisce: “Mentre fino ad oggi gli sforzi del sistema sanitario pubblico sono stati efficaci nel rallentare la diffusione dell’epidemia, ulteriori azioni, compreso lo screening di massa della popolazione, saranno fondamentali per sostenere un ulteriore impegno a contenere la diffusione del virus“.
Lo studio islandese è pubblicato sul “New England Journal of Medicine“, che ha indagato sulla diffusione precoce di Sars-Cov-2 nel Paese nordico.
Il lavoro è stato condotto da un team composto da ricercatori di deCODE Genetics, società con sede a Reykjavik. E controllata dall’americana Amgen, da operatori del ministero della Salute islandese e del Nuhi, l’Ospedale universitario nazionale.
Quante persone, pur non avendo sintomi evidenti, sono positive al nuovo Coronavirus? Come si propaga il patogeno una volta entrato in un Paese? E quanto velocemente è capace di mutare?
Sono alcune delle domande all’origine della ricerca sul Coronavirus. Disegnata con l’obiettivo di “indagare in modo dettagliato, effettuando test con un unico approccio molecolare – spiegano da deCODE – come il virus si diffonde in una popolazione ben definita. Nel caso specifico quella islandese di poco più di 360 mila abitanti“.
E, poi, “identificare quali siano le misure di tracciamento e isolamento precoci e decise per contenere l’epidemia“.
Lo studio si è basato “su approcci di screening genetico mirato e specifico. E sullo screening della popolazione mediante oltre 60 mila test per milione di abitanti al 4 aprile scorso. Data di conclusione della raccolta dei dati presentati” nel paper.
“Da quel momento altri 4 mila test/milione sono stati poi eseguiti ogni giorno in Islanda“.
Diverse le informazioni che emergono.
La prima è che “il 43 per cento dei casi positivi identificati non aveva alcun sintomo al momento del test. Questo conferma il timore che gli infettati asintomatici possano diffondere il contagio“, commentano gli autori.
Non solo. “In Islanda sono stati identificati almeno due sottotipi virali: il sottotipo A2, originario da Austria e Italia. E il sottotipo A1, prevalente in Paesi come il Regno Unito. Inoltre, nei campioni di virus testati sono state scoperte 409 mutazioni. Tra cui 291 nuove che non sono state identificate altrove”.
Secondo i promotori, “i risultati di questo studio daranno al resto del mondo una base scientifica più solida per assumere provvedimenti in materia di salute pubblica” contro il Coronavirus.
Lo screening effettuato “avrà benefici immediati e pratici per la salute pubblica”, assicurano. E la “lezione islandese” potrebbe rivelarsi importante anche in un momento in cui l’Italia si prepara alla fase 2.
“Con la mappatura scrupolosa dell’epidemiologia molecolare di Covid-19 in Islanda, ci auguriamo di offrire al mondo intero dati da utilizzare nelle politiche globali. Per frenare la diffusione dell’epidemia”, dichiara Kari Stefansson, amministratore delegato di deCODE Genetis. E responsabile dello studio.
“Per rallentare il più rapidamente possibile la curva di propagazione di questa pandemia abbiamo necessità di informazioni scientificamente precise su come il virus si diffonda nelle comunità – afferma Robert A. Bradway, presidente e Ad di Amgen.
“Per comprendere realmente quanto sia letale il virus e quante delle persone contagiate possano diventare pazienti gravi – avvertono i ricercatori – è importante stimare la reale prevalenza dell’infezione sulla popolazione generale“.
I risultati dello studio – dettaglia una nota – mostrano che fino al 4 aprile il 13,3 per cento dei 9.199 soggetti ad alto rischio esaminati dal Nuhi sono risultati positivi a Sars-CoV-3″.
“Tutti i pazienti confermati sono stati messi in isolamento. E le persone che avevano avuto contatti con loro sono state rintracciate. E messe in quarantena domiciliare per 14 giorni“.
“Per integrare questi dati e avere una visione della diffusione del virus nella popolazione generale, dal 13 marzo al 1 aprile deCODE ha dato vita a uno screening di massa su base volontaria. Dal quale è emerso che, su 10.797 soggetti, 87 sono risultati positivi”. Cioè lo 0,8 per cento.
“Dal 1 al 4 aprile, poi, altre 2.283 persone selezionate con modalità random hanno effettuato il test. E, di queste, 13 sono risultate positive“. Dunque lo 0,6 per cento.
“Complessivamente, 43 dei 100 positivi non avevano riportato alcun sintomo al momento del test,. Mentre i restanti avevano avuto disturbi lievi come tosse o raffreddore. Le donne sono apparse un po’ meno suscettibili all’infezione rispetto agli uomini adulti!. L’11 per cento contro il 16.7 per cento.
“Così come i bambini al di sotto dei 10 anni”, lo 6,7 per cento.
Lo studio ha consentito anche di disegnare un “albero genealogico” dei diversi aplotipi trovati. Cioè le stringhe di sequenze geniche varianti.
Infatti le autorità sanitarie islandesi hanno iniziato a testare all’inizio di febbraio coloro che rientravano da zone ad alto rischio (principalmente stazioni sciistiche alpine), con probabili sintomi della malattia, sostanzialmente un mese prima dell’identificazione del primo caso di Covid-19, il 28 febbraio.
DeCODE ha quindi sequenziato i campioni virali prelevati da 643 persone. Per individuare i diversi ceppi del virus. E scoprire come è arrivato in Islanda. Come si è diffuso. E come ha mutato caratteristiche dopo il suo arrivo.
L’analisi delle sequenze dimostra che i ceppi di coronavirus rilevati nei primi test appartenevano quasi interamente al sottotipo virale A2 originario dell’Austria e dell’Italia. E arrivato in Islanda attraverso persone che rientravano da vacanze sciistiche.
Perché non prendiamo esempio dalla Germania? Con tutto rispetto per l’Islanda. Sarebbe anche un bel gesto politico, nonché astuto, o meno sprovveduto del solito.