Diventano zombie. Arrivano con l’affanno, poi il viso si trasforma: diario di guerra di un’infermiera in trincea
Come infierisce il coronavirus sul corpo umano? L’ultimo racconto arriva da un’infermiera lombarda. Una dei tanti, tantissimi, indispensabili protagonisti di questa guerra al virus. Il volto che si trasforma in una smorfia di dolore. L’affanno che aumenta e diventa drammatica difficoltà respiratoria. Poi, nel giro di breve la situazione che precipita. E tutto cambia. In questi giorni dal diario di bordo di medici e infermieri arriva un bollettino di guerra che sta seminando vittime sul campo. Anche quelle che non ci aspetterebbe. E lo choc generato da un quadro clinico sulle prime sotto controllo diventa terrore. Che invade gli occhi dei pazienti e assale familiari e amici attoniti. Stravolti. E aumenta l’incognita legata al Covid-19: nemico subdolo e pericolosissimo.
Un’infermiera lombarda racconta come infierisce il virus
In queste ore è soprattutto Libero, ripreso e rilanciato da Il Giornale a raccontare lo strazio che si vive in corsia. E lo fanno attraverso il drammatico racconto di un’infermiera. Un’operatrice sanitaria di un ospedale della Brianza alle prese con la cronaca drammatica dei momenti che seguono il ricovero di un paziente nella struttura sanitaria in cui la donna lavora. E aiuta a salvare vite umane. «Arrivano con difficoltà respiratorie e sembrano normali», spiega l’infermiera. Poi aggiunge: «Ma un’ora dopo precipitano». I primi, evidenti sintomi del coronavirus? La trasformazione del viso, che segnala un immediato peggioramento della situazione. Poi la respirazione che peggiora. «Li intubiamo e in un attimo somigliano a zombi», racconta l’infermiera che lavora in una terapia intensiva della Brianza nell’intervista rilasciata a Libero. E tutto cambia, all’improvviso… A volte la situazione peggiora e precipita anche solo in un’ora.
L’infermiera: «I pazienti arrivano con difficoltà respiratorie»…
E l’operatrice sanitaria, che lavora a ritmo serrato, con turni continui, ha un osservatorio purtroppo pregno di casi da citare, di esempi da fare. E infatti al quotidiano diretto da Vittorio Feltri racconta di uno degli ultimi casi che ha vissuto. «L’altro giorno è arrivato un signore di 81 anni: gli abbiamo messo una “maschera” e ossigenava bene. Ma nel giro di 45 minuti è precipitata la situazione. L’acqua ha invaso gli alveoli e lo abbiamo intubato d’emergenza». E lei di emergenze se ne intende. Lei, che normalmente opera come “perfusionista”, cioè una professionista che assiste negli interventi di cardiochirurgia, ha attinto alla sua formazione e rispolverato gli studi fatti alla scuola per infermieri e, data la criticità della situazione, nell’emergenza è stata trasferita nel reparto che accoglie i malati con diverse complicanze legate al coronavirus. Un trasferimento quasi automatico vissuto anche da altri suoi colleghi.
«Ma un’ora dopo precipitano» e il viso si trasforma
E così, al quotidiano racconta quello che accade in trincea. Quello che in questi giorni possiamo solo immaginare. Uno scenario drammatico evocato in tv con servizi, approfondimenti, testimonianze. Che, doverosamente, lascia le telecamere fuori. Un passo prima. Quello che accade dentro le mure di un ospedale. In quelle stanze di terapia intensiva, lo conoscono solo medici e infermieri. Rianimatori e scienziati. E l’operatrice sanitaria lo racconta con la fermezza e il dolore per lei diventati quotidiani. «Per farli respirare li “proniamo”. Li mettiamo a pancia in giù per tante ore: serve per “reclutare” il polmone. Quando li giriamo hanno i volti trasfigurati per la pressione. Non sono più loro. Per me è la cosa più spaventosa». Una paura a cui far fronte subito e con risolutezza. Perché i pazienti aumentano di ora in ora. I posti in terapia intensiva sono pochi. Protocolli e direttive cambiano repentinamente. E non si può e non si deve correre il rischio di sbagliare…
«Dalla terapia intensiva torna un paziente su due»
Qualcuno non ce la fa. Altri superano la crisi. E infatti l’infermiera spiega: «La maggior parte dei pazienti deve superare la polmonite: una volta guariti tornano a casa. Per questi abbiamo 50 posti, attualmente tutti pieni. Arrivano terrorizzati, uno mi ha detto: “Che brutta fine che faccio”. Ha 60 anni e per fortuna sta bene. Il problema è che molti arrivano già in condizioni drammatiche». E ancora, l’infermiera racconta: «Sono soli. Arrivano in pronto soccorso con i loro vestiti in una sacca. I parenti non possono salire sulle ambulanze, né possono venire a trovarli. Al massimo parlano al telefono con i dottori», chiarisce l’infermiera lombarda. Poi, entrando un po’ di più nel dettaglio, l’infermiera aggiunge: «Gli intubati, ovviamente, sono costantemente addormentati, li sediamo. Il problema sono gli altri. Se uno di quelli “precipita” e ha bisogno di essere intubato, non trova posto. Il timore è di dover arrivare a fare delle scelte tra giovani e meno giovani. Da altre parti lo stanno già facendo. E comunque dalla terapia intensiva torna un paziente su due»…
Paure e polemiche passano in secondo piano
E in questo quadro, persino la paura del contagio. Di portare a casa la malattia. le polemiche sulla protezioni per gli addetti ai lavori che scarseggiano: tutto passa in secondo piano. «Chi si ferma, per mangiare o per fare una telefonata a casa, lascia più lavoro agli altri e deve affrontare tutta la procedura. E comunque anche togliersi la mascherina è un problema: se te la levi e mangi, poi non riesci più a rimetterla. Il viso si gonfia e ti si taglia la faccia”. Ma guai a chiamarla eroica. Facciamo solo il nostro lavoro sottolinea. Ma tutti noi sappiamo che fanno molto di più…
Solamente una parola…..RISPETTO per tutta questa gente che sta combattendo questa guerra contro l’ invisibile.