Omicidio Mattarella, i magistrati non si rassegnano alle sentenze di assoluzione dei “neri” (video)

4 Gen 2020 17:33 - di Redazione
OMICIDIO MATTARELLA

«Giovanni Falcone non credeva alla mia colpevolezza. Egli stesso mi disse che ha dovuto procedere ugualmente nei miei confronti per via delle pressioni che ricevette». Così, a Il Dubbio, Valerio Fioravanti, l’ex-capo dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, spiega il motivo per il quale, nei confronti suoi e dell’altro ex-Nar Gilberto Cavallini, il giudice Giovanni Falcone aveva spiccato un mandato di cattura per l’omicidio dell’allora presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella di cui il prossimo 6 gennaio ricorre il 40esimo anniversario.

«Per Giovanni Falcone quegli anni sono molto difficili», scrive Il Dubbio nella sua ricostruzione.
Il 14 aprile del 1990 nel corso della trasmissione Samarcanda, orchestrata da Michele Santoro e dove si parla di mafia, prende la parola il sindaco di Palermo Leoluca Orlando: «Io sono convinto, e me ne assumo tutte le responsabilità, che dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su questi delitti».

Quel giorno che Orlando attaccò Falcone sull’omicidio Mattarella

Il delitto a cui si riferisce Orlando è quello Mattarella. E i “cassetti” che custodirebbero i segreti sono quelli dell’ufficio di Giovanni Falcone.
E’ un attacco, grave e proditorio. Una pugnalata alle spalle al magistrato che, due anni dopo, isolato e attaccato, sarà assassinato dalla mafia a Capaci, assieme alla moglie, Francesca Morvillo e agli agenti di scorta.

Si parla, in quella trasmissione dove Orlando lancia accuse terribili contro l’oramai ex-amico Falcone, anche del coinvolgimento degli ex-Nar. E dietro le spalle dei presenti c’è la gigantografia di Valerio Fioravanti.

«Qualche giorno dopo la trasmissione – racconta Fioravanti a Il DubbioFalcone viene da me al carcere di Rebibbia dove ero recluso. Fa uscire la sua scorta e i collaboratori dalla stanza. E dopo avermi chiesto se avevo bisogno di un avvocato mi dice: «Lei ha visto la televisione? Capisce che se io non procedo divento anche io un sodale della P2?».
«Questa è la spiegazione data per cui Falcone ha dovuto fare il mandato di cattura nei miei confronti», sostiene ora Fioravanti.

«Eppure – prosegue l’articolo de Il Dubbio – in questi giorni la Commissione Antimafia ha reso pubblico il verbale integrale dell’audizione di Falcone davanti alla Commissione dell’epoca». Datato 3 novembre 1988. Falcone, in quell’occasione, «parla proprio della pista “nera” per l’uccisione di Mattarella.

«Non ne ha parlato con enfasi, ma con cautela – ricorda il quotidiano – Di certo, da lì a poco, lui e altri suoi colleghi spiccheranno un mandato di cattura nei confronti di Fioravanti e Cavallini.

Ma Falcone inquisì i sedicenti pentiti Izzo e Pellegriti per calunnia

«Ma, contestualmente – aggiunge Il DubbioFalcone ha anche inquisito Giuseppe Pellegriti e Angelo Izzo per calunnia aggravata. Non è da poco, perché parliamo di due pentiti che, secondo Falcone, hanno depistato l’inchiesta».

«Le indagini hanno finalmente rilevato in maniera inequivocabile come sia stato in realtà Angelo Izzo la vera fonte e ispiratore delle false rivelazioni di Pellegriti», scrive Falcone nel suo ultimo atto da procuratore aggiunto».

Falcone sta per lasciare Palermo diretto a Roma, al ministero di Grazia e Giustizia, dove lo attende un nuovo e prestigioso incarico. Crede di gettarsi alle spalle le pesanti polemiche politico-ideologiche dei professionisti dell’Antimafia militante. Ma non ha fatto i conti con la ferocia di certa gente.

«Ma chi avevano accusato» Pellegriti e Izzo «come esecutore materiale del delitto Mattarella?», si chiede Il Dubbio.
«Proprio l’ex-Nar Fioravanti. Nell’ 89 Falcone ha già capito tutto. Dopo aver incriminato per calunnia aggravata Pellegriti – ricorda il quotidiano – ha firmato, con le stesse motivazioni, anche un mandato di cattura per Izzo che, invece, era ritenuto credibile dal magistrato Libero Mancuso. L’allora pm che indagava sulla strage di Bologna».

«Falcone ritiene di aver individuato in Izzo uno di quei misteriosi personaggi che si sono serviti di Pellegriti per sollevare un polverone».
«Ed ha indicato ancora Fioravanti come killer di Mattarella».

Il presunto pentito Izzo aveva suggerito di accusare Valerio Fioravanti

Le rivelazioni di Izzo «sono sempre state prese sul serio» dai magistrati bolognesi «nonostante abbia, in più occasioni, fornito ricostruzioni lacunose. E confuse»

«Izzo aveva anche suggerito a Cristiano Fioravanti di accusare il fratello Valerio. In un interrogatorio, reso a Roma, il fratello di Fioravanti afferma di essere stato convinto da Izzo a parlare dei delitti Mattarella e Pecorelli», si legge sul Dubbio.

«Falcone, a proposito del depistaggio, dirà qualcosa di più nel ’91 davanti al Csm. Gli chiedono spiegazioni del perché aveva inquisito Pellegriti e Izzo. Falcone, dopo aver ripercorso tutti i fatti, ha anche aggiunto: «Prima di interrogare Pellegriti ci sono state tutte una serie di strane frequentazioni del personaggio. Poi ci sono stati dei convegni carcerari in cui certe persone hanno incontrato Pellegriti. E continuano ad alzare il polverone».

«Il dato oggettivo – scrive ancora Il Dubbio – è che il processo sui delitti eccellenti poi c’è stato. E gli stessi pubblici ministeri hanno chiesto l’assoluzione degli ex-Nar Fioravanti e Cavallini. Saranno infatti assolti definitivamente anche in Cassazione. Mentre verranno condannati Totò Riina assieme ai sei mafiosi. Compreso Izzo e Pellegritti per calunnia».

«D’altronde tutti i pentiti mafiosi ascoltati durante il processo hanno confermato che gli esecutori appartenevano alla Cupola».
Ad iniziare dal re dei pentiti, Tommaso Buscetta. Che alla Commissione Antimafia disse ciò che ribadì, poi, anche durante il processo sui delitti eccellenti: «Le garantisco che i fascisti in questo omicidio non c’entrano. Quei due sono innocenti. Glielo garantisco. E chi vivrà, vedrà».

Ma Buscetta smentì la pista nera per l’omicidio Mattarella

«Credo – dirà ancora Buscetta – che Mattarella, in special modo, volesse fare della pulizia in questi appalti».

«Se andate a vedere a chi sono andati gli appalti in tutti questi anni, con facilità voi andrete a scoprire cose inaudite – avvertì Buscetta smentendo chi puntava il dito sui “neri” – Non avevano bisogno di due fascisti. La Cosa nostra non fa agire due fascisti per ammazzare un presidente della Regione. È un controsenso».

E ancora: «In un passaggio sui delitti eccellenti, così risponde Falcone: ‘(…) né è poi pensabile, conoscendo le ferree regole della mafia, che un omicidio  “eccellente”, deciso al più alto livello della Commissione, venga affidato ad altri che a uomini dell’organizzazione di provata fede, i quali ne avrebbero dovuto preventivamente informare solo i capi del territorio in cui l’azione si sarebbe svolta».

Dal 2018 la Procura di Palermo ha riaperto le indagini rispolverando, di nuovo, la pista “nera”, già smentita, per l’omicidio Mattarella.

L’ultima notizia riguarda l’ipotesi che la pistola usata da Cavallini per uccidere il giudice Mario Amato, sia la stessa che avrebbe ucciso Mattarella.
«In realtà non sono riusciti a dimostrarlo – ricorda Il DubbioPiersanti Mattarella era il presidente della Regione Sicilia. Le sue prime azioni erano volte al rinnovamento, puntando soprattutto sulla trasparenza dell’aggiudicazione degli appalti. Avrebbe dato un duro colpo al giro d’affari miliardario di Cosa nostra. Per questo, e non solo – sostiene Il DubbioTotò Riina ha deliberato la sua morte».

L’ex-pm Agueci non si rassegna alle sentenze assolutorie

Ma c’è chi contesta, ancora, questa visione corroborata dalle sentenze definitive.
E’ l’ex-pm Agueci, il magistrato che rappresentò l’accusa nel processo d’appello per l’omicidio Mattarella. Che all’Adnkronos dice: «Ci credevo e ci credo tuttora alla colpevolezza di Fioravanti. Dalla lettura degli atti mi ero reso conto che c’erano tutti gli elementi per portare alla condanna di Fioravanti».

«E’ vero – ammette Agueci – i giudici di secondo grado dissero che la mafia non poteva affidarsi a un killer esterno. Vi erano però fatti concreti che indicavano la partecipazione di Fioravanti. Mentre non è mai stato acquisito, anche successivamente, alcun elemento di prova concreto che potesse individuare un diverso esecutore».

Agueci cita, in particolare, il riconoscimento di Fioravanti, fatto dalla vedova Mattarella, Irma Chiazzese, che era in compagnia del marito quel 6 gennaio del 1980, quando il presidente siciliano fu ucciso mentre andava alla messa per l’Epifania.

Un riconoscimento, però, avvenuto a distanza di anni. E dopo le dichiarazioni di Cristiano Fioravanti. Che chiamavano in causa il fratello Valerio.
«Questo fortissimo elemento di prova – sostiene ora Agueci – assieme a tanti altri oggettivi riscontri non sono stati riconosciuti però sufficienti per affermare la colpevolezza dei terroristi neri».

Commenti

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  • federico 6 Gennaio 2020

    Per capire chi è responsabile di un crimine occorrerebbe innanzi tutto capire a chi giova, a chi è giovato… e magari non cercare tanto lontano. Resta incredibile che il politico anti Falcone si sia costruito l’immagine di politico antimafia.

  • Pino 6 Gennaio 2020

    Chi è giovane e non ha italica esperienza, non ha appreso la sottile arte di ‘parlarsi senza aprire la bocca’ di odorare l’aria ed i segni che il mondo intorno concede inavvertitamente. Chi, smarrito nella superficiale disattenzione non ricorda cosa è stata ed è l’essenza profonda del possesso del territorio e delle cose, delle anime e degli uomini che da sempre conduce le mosse della mafia siciliana, probabilmente non riesce a capire che i ‘famigli’ mancatori di parola sono infami e come tali meritano LA sanzione che educa i di lui familiari a seguire i giusti consigli e le giuste vie da perseguire. Specialmente se destinati a massima carica collocabile.
    Ricordiamo baci e caffè. Il bar è sempre lo stesso.